12 Aprile 2022

Quando ricorre il vizio di motivazione apparente ex art. 360, n. 5), c.p.c.?

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. VI, 1° marzo 2022, n. 6758, Pres. Bisogni – Est. Iofrida

[1] Sentenza – Motivazione apparente – Vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c. – Sussistenza – Fondamento (artt. 360 c.p.c.)

Massima: “Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture”.

CASO

[1] Il provvedimento in commento trae origine da un giudizio di impugnazione di un provvedimento di rigetto della richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, e di protezione umanitaria avanzata da un cittadino del Gambia.

L’adito Tribunale di Bologna, per quanto di interesse ai fini del presente commento, emanava tale decisione di rigetto in quanto riteneva insussistenti i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione; in particolare, ritenuto che non vi fossero allegazioni valutabili sotto il profilo della protezione internazionale, escludeva che quanto dichiarato dal ricorrente (il quale, nel richiedere la protezione internazionale, esponeva di aver lasciato il proprio Paese a causa di un problema di salute allo stomaco, che lì aveva inutilmente tentato di curare) consentisse il riconoscimento della protezione umanitaria o della protezione speciale.

Avverso tale provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione mediante il quale, tra l’altro, il ricorrente lamentava violazione dell’art. 360, 1°co., n. 5), c.p.c. – motivazione apparente circa un fatto controverso decisivo ai fini del giudizio. Nel dettaglio, il ricorrente denunciava la mera apparenza della motivazione del Tribunale, avendo quest’ultimo omesso di dare seguito al suo dovere di cooperazione istruttoria e di indagine circa l’efficienza del sistema sanitario gambiano, a fronte della incontestata credibilità della problematica di salute riferita dal ricorrente.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione si pronuncia nel senso dell’inammissibilità di tale motivo di ricorso, per l’assoluta genericità della sua formulazione.

In ogni caso, la Suprema Corte si premura di precisare come, nel caso di specie, non ricorra vizio di motivazione apparente o illogica, anche alla luce delle considerazioni dalla stessa svolte in relazione agli altri due motivi di ricorso presentati, fondamentalmente risolventisi nel fatto che il Tribunale non ha esercitato i suoi doveri di cooperazione e indagine in conseguenza della sua valutazione di non gravità della patologia denunciata dal ricorrente e non attualità delle cure.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dalla Suprema Corte si risolve nell’identificazione dei confini della censurabilità del vizio di motivazione del provvedimento del giudice, alla luce della rinnovata formulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c.

Prima di scendere nell’analisi di tale questione, è senz’altro opportuno effettuare un breve excursus sull’evoluzione conosciuta dal motivo di ricorso per cassazione appena richiamato.

L’art. 360, n. 5), c.p.c., nella sua versione precedente alla riforma operata con d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012, consentiva di ricorrere per cassazione avverso un provvedimento giurisdizionale per «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio»: come noto, la genericità di tale formulazione consentiva alle parti di dolersi di qualsiasi tipo di vizio inficiante la motivazione del procedimento, e attribuiva alla Cassazione un libero controllo sulla stessa.

Allo scopo di ridurre il contenzioso in cassazione, evidente alimentato da siffatta previsione estensiva, la riforma del 2012 è intervenuta sul motivo di ricorso considerato dal n. 5) dell’art. 360 c.p.c. operandone una riscrittura idonea a ridurre il numero di ricorsi per cassazione fondati su vizi motivazionali del provvedimento impugnato. La riforma segna in realtà un ritorno al passato, in quanto sostanzialmente ripristina la formulazione originariamente dettata dal nostro codice di rito, rimasta in vigore fino alla novella del 1950.

Non è possibile in questa sede soffermarsi sulle reazioni, per lo più negative, che la dottrina ha riservato a tale innovazione (si rinvia, per i dovuti approfondimenti, a M. Bove, Giudizio di fatto e sindacato della Corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360, n. 5, c.p.c., in www.judicium.it; G. Trisorio Liuzzi, Il ricorso in cassazione: le novità introdotte dal D.L. n. 83/2012, in www.judicium.it; R. Caponi, La modifica dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in www.judicium.it; M. Fornaciari, Ancora una riforma dell’articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c.: basta, per favore, basta!, in Rassegna forense, 2012, 496).

Passiamo perciò immediatamente al nuovo art. 360, n. 5), c.p.c., il quale consente oggi di ricorrere per cassazione «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

Il primo dato differenziale che emerge dalla lettura della norma è la scomparsa della possibilità di denunciare l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, a tutto vantaggio della sola facoltà di dolersi dell’omissione della stessa, nelle forme della denuncia dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha costituito oggetto di discussione tra le parti.

In effetti, a favore di una lettura restrittiva del nuovo art. 360, n. 5), c.p.c. si erano da subito espresse le Sezioni Unite della Cassazione, le quali avevano affermato che “la riformulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c. ad opera dell’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in legge n. 134 del 2012, implica la riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, per cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che risulti dal testo della sentenza e si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza stessa della motivazione, non avendo più rilievo il mero difetto di sufficienza” (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Sui confini da riconoscere al nuovo sindacato ex art. 360, n. 5), c.p.c. – e, dunque, sull’identificazione dei casi in cui ricorre omessa motivazione del provvedimento – la giurisprudenza di legittimità sembra oggi essersi assestata su alcuni principi di diritto: si afferma, cioè, che il vizio di motivazione del provvedimento ricorre quando lo stesso “si fondi su motivazione omessa o apparente, qualora, cioè, il giudice di merito pretermetta del tutto la indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza, peraltro, compierne alcuna approfondita disamina logica e giuridica” (Cass., 29 settembre 2014, n. 20533).

A tale riguardo, la motivazione è stata reputata apparente in quanto articolata attraverso “brevi proposizioni […] assolutamente inidonee al raggiungimento dello scopo di evidenziare una motivazione percepibile come tale, cioè come ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo a spiegare il risultato cui si perviene” (Cass., 25 febbraio 2014, n. 4488).

Ancora, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (così, Cass., sez. un., 3 novembre 2016, n. 22232).

Nel caso di specie, la Cassazione mostra di dare continuità a tali principi, ritenendo insussistente il vizio di omessa motivazione del provvedimento del Tribunale di Bologna: come dalla stessa rilevato, infatti, era possibile desumere dal corpo del provvedimento le motivazioni per cui il giudice non ha ritenuto di fare ricorso ai propri poteri di cooperazione istruttoria e di indagine, omissione poi posta a fondamento della decisione di rigetto della richiesta di protezione avanzata dal ricorrente.

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