13 Maggio 2025

Omessa pronuncia all’esito del giudizio d’appello

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. I, 18 aprile 2025, n. 10291, Pres. Abete, Est. Fidanzia

[1] Questione implicita o assorbita in altre statuizioni della sentenza – Assenza di specifica argomentazione – Vizio di omessa pronuncia – Configurabilità – Esclusione.

Massima: “Il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito”.

CASO

[1] La curatela del fallimento di una s.r.l. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Palermo, un soggetto al fine di acquisire all’attivo fallimentare le somme ricevute dallo stesso da parte della società fallita in occasione della vendita di un immobile sito in Roma e intestato alla medesima società. In particolare, la vendita era stata effettuata dal convenuto quale procuratore dell’amministratore unico della società, e le somme ricavate dalla vendita furono versate al convenuto in parte dall’amministratore della società e in parte direttamente dall’acquirente.

Parte convenuta, costituendosi, invocava l’esistenza di un accordo fiduciario risalente nel tempo e avente ad oggetto il trasferimento del bene immobile, in quanto acquistato con risorse proprie del fiduciante stesso; adduceva che, stante la successiva vendita dell’immobile e la conseguente sopravvenuta impossibilità di ritrasferirlo in natura, l’obbligo restitutorio si era trasferito sul ricavato dell’alienazione del bene.

In ragione di tali difese, con memoria ex art. 183, 6°co., n. 1), c.p.c. la curatela precisava la propria domanda, chiedendo di “ritenere e dichiarare inopponibile e/o inammissibile e/o illecito e/o nullo e/o annullabile il negozio fiduciario” intercorso tra il convenuto e la società in bonis nonché di ritenere e dichiarare il negozio fiduciario intercorso tra il medesimo e la società in bonis stipulato in conflitto di interessi.

L’adito Tribunale di Palermo dichiarava l’inefficacia del negozio fiduciario, in quanto ritenuto in frode ai creditori, nonché inefficaci, ai sensi dell’art. 64 l.fall., i versamenti ricevuti dal convenuto in occasione della vendita dell’immobile intestato alla società.

La Corte d’Appello di Palermo, all’esito del giudizio di secondo grado, rigettava l’appello proposto dal convenuto soccombente. Il giudice di seconde cure, in particolare affermava non dimostrata la prospettazione in fatto del convenuto, difettando la prova che l’esborso effettuato a suo favore traesse origine dal negozio fiduciario, ciò evincendosi anche dalla lettura del documento redatto dall’amministratore unico della s.r.l., che imputava il pagamento quale rimborso al convenuto “per anticipazioni infruttifere effettuate in periodi precedenti”. In sostanza, l’esborso a favore del convenuto aveva una causa ben diversa dall’esecuzione di un precedente accordo fiduciario di trasferimento dell’immobile.

Avverso tale decisione, l’appellante soccombente interponeva ricorso per cassazione mediante il quale, per quanto di interesse ai fini del presente commento, deduceva, in relazione all’art. 360, n. 4), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia. Espone il ricorrente di aver evidenziato nell’atto di appello che la valutazione del carattere fraudolento dell’adempimento dell’obbligazione andasse condotta con riferimento al momento temporale in cui era stato assunto l’obbligo da parte del debitore e non con riferimento al momento dell’esecuzione dell’obbligazione. Ne consegue che, nel caso di specie, per valutare se l’obbligazione era stata assunta dalla società con intento fraudolento per i creditori sociali, occorreva aver riguardo a un’epoca in cui nessuna frode ai creditori avrebbe potuto animare l’operazione posta in essere, avendo la società chiuso i propri bilanci in utile. Si duole il ricorrente che la Corte di merito, anziché pronunciarsi, ha omesso la corrispondente decisione, rigettando il motivo per altra ragione.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte ritiene infondato il motivo proposto, rigettando il ricorso e confermando la sentenza di seconde cure.

QUESTIONI

[1] Parte ricorrente si duole, in sostanza, del vizio di omessa pronuncia in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello di Palermo, per non avere deciso su alcune prospettazioni difensive avanzate dalla medesima.

A tal riguardo, è opportuno ricordare come l’omissione di pronuncia sia integrata da una violazione della regola, di c.d. corrispondenza tra chiesto e pronunciato, posta dall’art. 112 c.p.c., secondo il quale «Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda […]». In altri termini, l’ordinamento pone in capo al giudicante un potere-dovere di pronunciarsi sulla domanda giudiziale proposta dalla parte, ossia sulla richiesta di tutela giurisdizionale di una determinata situazione sostanziale dalla stessa avanzata (sull’istituto dell’omessa pronuncia si vedano i classici lavori di B. Lasagno, Premesse per uno studio sull’omissione di pronuncia nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1990; C. Calvosa, Omissione di pronuncia e cosa giudicata, in Riv. dir. proc., 1950; F. Carnelutti, Effetti della cassazione per omessa pronunzia, in Riv. dir. proc. civ., 1938; G. Cristofolini, Omissione di pronunzia, in Riv. dir. proc. civ., 1938).

Se tale definizione certamente si attaglia al giudizio di cognizione di primo grado, occorre però definire quando il giudice di seconde cure incorra in tale vizio, in considerazione del fatto che (almeno direttamente), lo stesso non si pronuncia sulla domanda giudiziale proposta dalla parte, bensì sui motivi d’appello dalla stessa proposti.

In effetti, la communis opinio sul tema ravvisa omissione di pronuncia all’esito del procedimento di secondo grado nel caso in cui il giudice manchi di pronunciarsi su uno o più motivi d’appello (Cass., 7 giugno 2023, n. 16028; Cass., 13 ottobre 2022, n. 29952; Cass., 9 giugno 2022, n. 18697). L’approccio che appare preferibile è quello di muovere dalla natura dell’appello il quale, come noto, è da riguardarsi come mezzo di impugnazione avente natura sostitutiva, ossia diretto a ottenere dal giudice superiore una nuova decisione che, all’esito del riesame, nei limiti delle questioni specificamente devolute, della domanda proposta in prime cure, si sostituisca alla sentenza impugnata. In altri termini, in virtù dell’effetto sostitutivo proprio dell’appello, la nuova pronuncia, che verte sul medesimo oggetto della decisione resa in primo grado, implica la rimozione di quest’ultima dal mondo giuridico (in tale senso, per tutti, A. Tedoldi, Natura dell’appello. Provvedimenti appellabili. Appello avverso le sentenze non definitive, in A. Tedoldi (diretto da), Le impugnazioni civili, Bologna, 2019, 301). Indice normativo comprovante la natura sostitutiva dell’appello sarebbe peraltro rappresentato dall’art. 393 c.p.c., nella parte in cui ricollega all’estinzione del giudizio di rinvio l’estinzione dell’intero processo, senza prevedere alcuna reviviscenza della pronuncia di primo grado per effetto dell’intervenuto annullamento di quella d’appello. Dunque, se il giudice d’appello deve pronunciarsi sul medesimo oggetto già dedotto in primo grado, possiamo affermare come il dovere decisorio del giudice di seconde cure si estenda, in effetti, sulla medesima domanda giudiziale già conosciuta e decisa all’esito del precedente grado di giudizio: di talché, l’espressione «domanda» di cui all’art. 112 c.p.c. mantiene, nel processo d’appello, lo stesso significato che assume in relazione al giudizio di cognizione di primo grado.

Tornando, ora, al caso di specie, la Corte d’Appello di Palermo appare aver assolto correttamente al proprio dovere decisorio (scongiurando, con ciò, l’integrazione del vizio di omessa pronuncia), essendosi pronunciata sulla domanda giudiziale avanzata dalla parte: è ininfluente, a detto fine, che la stessa abbia mancato di esplicitamente pronunciarsi su entità differenti e “inferiori” rispetto alla domanda giudiziale, quali alcune prospettazioni difensive rimaste senza (esplicita) risposta. In tal caso, infatti, il provvedimento potrà essere censurato sotto un differente profilo (ad esempio, quello della carenza motivazionale), ma non per omessa pronuncia. E lo stesso è a dirsi quando la pronuncia su una determinata istanza possa considerarsi implicita, laddove cioè la sua sorte (ad esempio, di rigetto) possa pacificamente desumersi dal tenore complessivo del provvedimento adottato.

A tal proposito, il provvedimento che si commenta correttamente richiama l’arresto di Cass., 25 giugno 2020, n. 12652, secondo cui il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione e argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4), c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (conf., tra le molte, Cass., 20 gennaio 2010, n. 868).

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