23 Maggio 2023

Non basta mettere in relazione le parti per il diritto alla provvigione del mediatore 

di Donatella Marino, Avvocato Scarica in PDF

Parole Chiave

mediatore – agenzia immobiliare – provvigione – affare – efficacia causale adeguata –  causalità adeguata – trattative – compravendita immobiliare

Sintesi

Al mediatore spetta la provvigione solo quando la conclusione dell’affare sia l’effetto causato adeguatamente dal suo intervento. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3165 del 2 febbraio 2023, ha così deciso sulla dibattuta questione del diritto alla provvigione del mediatore, chiarendo la necessità di una efficacia causale adeguata dell’attività del mediatore alla conclusione dell’affare.

La Suprema Corte ha in particolare affermato che se, da una parte, l’intervento di un secondo mediatore non è sufficiente di per sé a privare ex post l’opera del primo mediatore dell’adeguatezza alla conclusione dell’affare, dall’altra, nemmeno il mettere in relazione delle parti tra di loro ad opera del mediatore è di per sé sufficiente a conferire all’intervento di questi il carattere di adeguatezza e quindi il diritto alla provvigione.

Il fatto

L’acquirente X, dopo aver accompagnato la madre Y dal mediatore immobiliare Alfa, venendo a conoscenza dell’immobile di cui è causa, perfezionava la compravendita per effetto dell’attività del diverso mediatore immobiliare Beta. Il mediatore Alfa decideva di agire per il riconoscimento del proprio compenso per la mediazione, ma risultava soccombente sia in primo sia in secondo grado. Ricorreva dunque davanti alla Suprema Corte chiedendo, quanto alla questione esaminata,  l’accertamento del rapporto di mediazione ex art. 1754 c.c. intercorso con le convenute,  il valore causale del suo intervento nella conclusione del contratto con condanna delle convenute al pagamento del compenso di mediazione e, in via subordinata, se fosse accertata la cooperazione di più mediatori, il riconoscimento della misura della provvigione a lui spettante. Di contro, il venditore Z rilevava che le persone messe in contatto tra di loro dall’attrice Alfa erano differenti dalle parti che avevano concluso la compravendita, sostenendo che dopo la scadenza del contratto con il mediatore Alfa si era rivolto, per l’appunto, all’agenzia Beta.

Il mediatore e il diritto alla provvigione

La sentenza esaminata riprende i principi fondanti del diritto alla provvigione previsti nel nostro ordinamento. In particolare:

  • l’Art. 1754 c.c. definisce mediatore “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare …” garantendosi così il diritto alla provvigione “… da ciascuna delle parti se l’affare è concluso per mezzo del suo intervento” (Art. 1755 c.c.); se l’affare è concluso per l’intervento di più mediatori, l’Art. 1758 c.c. prevede che ciascuno di essi abbia diritto ad una quota della provvigione;
  • l’orientamento più recente della giurisprudenza interpreta il concetto di “affare” in termini economico-giuridici: “l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’Art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato” (Cass. n. 30083/2019);
  • quanto al nesso causale, la Corte di Cassazione aveva recentemente chiarito che il diritto del mediatore alla provvigione sorge quando “la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, pur non richiedendosi che tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, ed essendo, viceversa, sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo, la “messa in relazione” delle stesse costituisca l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto” (Cass. n. 21712/2019).

La quaestio iuris e il concetto di “causalità adeguata”

La Suprema Corte parte dunque dal concetto di “antecedente indispensabile”, ponendo il quesito a cui rispondere per dirimere la controversia: “al fine di considerare che la conclusione dell’affare sia l’effetto dell’intervento del mediatore, è sufficiente o meno che questi abbia messo in relazione le parti e così abbia posto l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto?”

Secondo la ricorrente, la risposta a questa domanda è positiva, ponendo l’accento sulla “messa in relazione” delle parti da parte del mediatore, “mentre è fatto scivolare in secondo piano il carattere adeguato dell’apporto causale di quest’ultimo, al fine di affermare che la conclusione dell’affare sia l’effetto dell’intervento del mediatore”.

La Sentenza procedere ad un’analisi testuale e logica del combinato disposto dei due articoli menzionati, che rispondono a due distinte domande: “(a) chi è il mediatore (art. 1754 c.c.); b) che cosa deve fare il mediatore per avere diritto alla provvigione (art. 1755, comma 1 c.c.)” tornando così sul concetto di causalità adeguata già elaborato da parte della giurisprudenza e sviluppato “proprio al fine di mitigare la rigorosa imputazione dell’evento in base alla causalità condizionalistica (o della condicio sine qua non), nel senso che non tutte le condizioni sono considerate cause”. Nei rapporti tra l’Art. 1754 e Art. 1755, co. 1 c.c., il riferimento giurisprudenziale alla causalità adeguata assolve alla stessa funzione: “evitare che la causalità efficiente dell’intervento del mediatore di cui all’Art. 1755, comma 1 c.c. si riduca alla causalità condizionalistica, si appiattisca cioè sulla definizione della figura del mediatore di cui all’Art. 1754 c.c. In altri termini, la nozione di causalità adeguata serve a rendere elastico il termine “effetto” di cui all’Art. 1755, comma 1 c.c., nonostante sia prima facie percepibile la sua sudditanza linguistica alla teoria della causalità condizionalistica, se non della causalità naturale (“causa-effetto”). Il concetto di “effetto” si arricchisce della qualità della “adeguatezza”. 

In concreto, nella fattispecie esaminata rilevavano tre circostanze:

  • (a) la parte interessata all’acquisto che è stata messa in relazione con il venditore” dal mediatore Alfa “in esecuzione dell’incarico ricevuto da quest’ultimo” è Y, la madre dell’acquirente X, e non coincide dunque con l’acquirente X. In particolare, la figlia X aveva solo “accompagnato la madre nelle visite all’immobile svoltesi nel periodo di efficacia dell’incarico” al mediatore Alfa;
  • “(b) l’affare si è concluso dopo un lasso di tempo significativo dalla scadenza dell’incarico conferito al primo mediatore;
  • (c) il venditore si è rivolto ad un secondo mediatore, la cui opera – autonoma rispetto a quella del primo – ha avuto un ruolo di efficienza causale adeguata rispetto alla conclusione dell’affare”.

Su tali basi la Suprema Corte giunge così ad “escludere l’efficienza causale adeguata dell’opera del primo mediatore” rispetto alla conclusione della compravendita in esame, ma non per l’intervento del secondo mediatore, che “non spezza di per sé il nesso di causalità tra l’opera del primo mediatore e la conclusione dell’affare”, ma perché la messa “in relazione di due o più parti per la conclusione di un affare” (art. 1754 c.c.) non è elemento sufficiente, di per sè, a far ritenere che l’affare sia “concluso per effetto” dell’intervento del mediatore (art. 1755 c.c.)”. Enuncia pertanto il principio di diritto secondo cui, al fine del sorgere del diritto alla provvigione ex Art. 1755, co. 1 c.c., “è necessario che la conclusione dell’affare sia effetto causato adeguatamente dal suo intervento, senza che il mettere in relazione delle parti tra di loro ad opera del mediatore sia sufficiente di per sé a conferire all’intervento di questi il carattere di adeguatezza, nè che l’intervento di un secondo mediatore sia sufficiente di per sé a privare ex post l’opera del primo mediatore di tale qualità di adeguatezza”.

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