3 Giugno 2025

La sola locazione di locali sanitari nei confronti di una società di medici esclude la diretta responsabilità della struttura sanitaria in caso di malpractice da parte del medico che non è conduttore

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Ordinanza del 27.03.2025 n. 8163, Terza Sezione Civile, Presidente Dott. E. Vincenti, Estensore Dott. G. Cricenti.

Massima: In tema di responsabilità medica, la struttura sanitaria che ha dato in locazione suoi immobili ad una società di medici non risponde dei danni causati da uno di questi ad un paziente nell’esercizio dell’attività svolta nei beni locati, poiché il mero rapporto di locazione intercorrente tra struttura e medico (o – a maggiore ragione – tra struttura e una società di medici) non comporta che la prima debba rispondere degli errori professionali degli altri.”.

CASO

Tizio si sottoponeva ad un intervento di laser agli occhi presso la Casa di Cura Beta ed eseguito dal Dott. Caio.

A seguito dell’intervento citato, Tizio riportava danni alla vista e per tali ragioni citava in giudizio il medico Caio onde ottenere il ristoro dei pregiudizi subiti per un ammontare di  €.160.000,00.

Caio, costituitosi in giudizio chiamava in causa sia la propria compagnia assicuratrice che la Casa di cura Beta ove aveva eseguito l’intervento.

La compagnia di assicurazione Gamma, tuttavia si costituiva eccependo che il portafoglio delle polizze assicurazioni fosse stato ceduto alla Società Epsilon S.p.A..

La Compagnia Epsilon S.p.A. a sua volta si costituiva con intervento volontario, eccependo a sua volta che il medico non avesse azione diretta e che pertanto non avrebbe potuto citarla direttamente in giudizio: alla chiamata in questione, infatti, provvedeva autonomamente la Casa di Cura Beta.

Il Tribunale di Ascoli Piceno rigettava le domande attoree in ragione della esperita CTU in sede istruttoria che avrebbe messo in discussione l’effettiva sussistenza del nesso di causalità tra l’intervento e il danno riportato dal paziente.

Soccombente in primo grado, Tizio interponeva appello innanzi la Corte di Appello di Ancona, la quale riformava parzialmente la sentenza oggetto di gravame, attribuendo una diversa interpretazione alla esperita Consulenza Tecnica d’Ufficio “nel senso che, secondo i giudici di appello, nella consulenza, il nesso di causalità era affermato come altamente probabile”.

Dal punto di vista risarcitorio, invero, ridimensionava l’entità del danno “limitandolo ad un offuscamento della vista, e dunque ha concesso un risarcimento di molto inferiore rispetto alla iniziale domanda”.

Proponeva ricorso in Cassazione la Casa di Cura Beta sulla base di cinque motivi di censura e memoria e da parte di Epsilon S.p.A. con ricorso incidentale basato su due motivi e memoria.

Si costituivano nel giudizio di legittimità sia Tizio che il medico Caio il quale depositava anche memoria.

La Casa di Cura Beta notificava altresì controricorso al ricorso incidentale.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 8163 del 27 marzo 2025, accoglieva il primo motivo di ricorso principale ed entrambi i motivi di ricorso incidentale. Riteneva assorbiti gli altri motivi. Cassava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Disponeva in caso di utilizzazione dell’ordinanza in qualsiasi forma che venisse omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di Tizio riportati nel provvedimento.

QUESTIONI

La Corte esaminando i ricorsi rilevava come sopramenzionato la proposizione da parte della Società Epsilon S.p.A. di ricorso incidentale basato su due motivi “formulati a supporto del primo motivo del ricorso principale”.

Pertanto la Corte di Legittimità riteneva di poter esaminare il ricorso incidentale integrale con il primo motivo di ricorso del ricorso in via principale dal momento che relativi alla medesima questione.

La questione oggetto dei motivi di cui sopra è relativa alla chiamata in giudizio da parte di Caio della Casa di cura Beta, la quale si costituiva eccependo l’inesistenza di qualsivoglia rapporto tale da renderla responsabile delle condotte poste in essere dal medesimo medico.

Circostanza smentita dalla Corte distrettuale la quale affermava che fosse stato stipulato un contratto di spedalità con effetti protettivi di garanzia nei confronti del terzo.

Ebbene la medesima questione veniva così sottoposta al giudizio di legittimità del Supremo Collegio.

Con il primo motivo di ricorso principale si censurava l’omesso esame di un fatto controverso e rilevante. Beta infatti, rilevava di avere eccepito che “il suo rapporto con il medico era di semplice locazione di un locale interno alla struttura”, dal momento che aveva con esso concluso un contratto di locazione a mezzo del quale la stessa concedeva in godimento un locale interno munito di relativa strumentazione alla Società Omega S.r.l. di cui il sanitario Caio era socio.

Ne consegue che tra Beta e Caio non vi era alcun rapporto tale per cui la medesima avesse dovuto rispondere dell’operato del medico, visto che conduttore era Omega Srl e non Caio.

Parimenti con il ricorso incidentale si rilevava la medesima questione denunciando con il primo motivo la violazione degli artt. 1218 e 1228 c.c.; e con il secondo motivo la violazione degli artt. 1218, 1228 e 1372 c.c..

Orbene, occorre innanzitutto sottolineare come la responsabilità sanitaria sia attualmente disciplinata dalla legge n. 24/2017 cd. Gelli-Bianco.

La l. n. 24/2017 è, per ora, l’epilogo di una lunghissima elaborazione giurisprudenziale in materia: essa giunge a delineare il c.d. “doppio binario” (c.d. double track) di responsabilità laddove prevede, all’art. 7, che l’esercente la professione sanitaria risponda ai sensi dell’art. 2043 (responsabilità extracontrattuale) e che la struttura sanitaria (indipendentemente che sia pubblica o privata, vista la coincidenza delle prestazioni fornite, il collegamento con l’art. 32 Cost., ed il bisogno di scongiurare disparità di trattamento tra coloro che usufruiscono di cure private o che siano utenti del S.S.N.) abbia una responsabilità contrattuale (artt. 1218 e 1228 c.c.).

Nel caso di specie, posta questa premessa, la Corte di Cassazione accoglieva il motivo di appello in via principale valutando come errata la decisione della Corte distrettuale di Ancona laddove riteneva responsabile Beta per l’operato del medico dal momento in cui – e lo si evince dal ricorso in via incidentale – la Casa di cura Beta aveva instaurato con la Società Omega – di cui Caio era socio – un rapporto di locazione e non di collaborazione professionale “dunque non è titolo perché la casa di cura risponda dell’attività del medico: essa ne risponde solo se costui è un dipendete, un ausiliario o un collaboratore, ossia contribuisce alla prestazione professionale”.

Pertanto i tre motivi, tra di loro connessi, devono ritenersi meritevoli di accoglimento.

La Corte di Appello di Ancona, invero, adottava l’orientamento in ragione del quale “tra il medico e la casa di cura sussiste un contratto che rientra nella fattispecie del contratto con effetti protettivi a favore del terzo. Da tale contratto, a fronte del pagamento del corrispettivo, sorgono a carico della clinica obblighi di tipo alberghiero, di messa a disposizione del personale, di fornitura dalle strutture necessarie, nonché di quanto necessario anche a far fronte all’insorgere di eventuali complicazioni […] inoltre la Casa di cura è responsabile ai sensi dell’art. 1228 c.c. poiché, sebbene tra la stessa e il medico non esista rapporto di lavoro subordinato, quando il chirurgo opera all’interno della clinica, assume la veste di ausiliario necessario della struttura stessa”.

Il Supremo Collegio, invero riteneva tali posizioni del giudice del secondo grado come errate.

Il primo luogo riteneva che il richiamo al contratto con effetti protettivi a favore del terzo – utilizzato in passato dalla giurisprudenza – fosse un orientamento superato dalla medesima Corte la quale ha al contrario negato che “nel contratto fra medico e struttura possa ravvisarsi un contratto con effetti protettivi per il paziente[1].

Infatti, per la Corte di legittimità sia prima che dopo la disciplina intervenuta con la Gelli Bianco – e nel caso di specie ci si trovava nel regime previgente – “presuppone che vi sia un rapporto professionale tra i due, ossia che il medico collabori con la struttura, in forma autonoma o dipendente, alla prestazione, vale a dire che presuppone che la struttura sia coinvolta nella prestazione sanitaria: occorre un titolo perché essa risponda del fatto del medico”.

Nella causa per cui è lite invece, la Casa di cura Beta aveva unicamente concesso in locazione il proprio locale con la strumentazione medica alla società Omega srl  di cui era socio il medico Caio.

Inoltre, il fatto che parte del compenso fosse costituito dagli utili non basta a trasformare il contratto di locazione in un contratto di collaborazione di tipo professionale tra il medico Caio e la Casa di cura Beta “così come non lo rende tale il fatto che la strumentazione fosse fornita dalla casa di cura”, e questo dal momento che “la pattuizione di una percentuale sugli utili, costituisce una parte del canone di locazione, ed in quanto la concessione in godimento delle strumentazioni fa parte anche essa della locazione, che ben può estendersi alla strumentazione tecnica”.

Nemmeno la circostanza per cui fossero oggetto di locazione espone Beta ad ipotesi di responsabilità – eccetto per il caso in cui si ravvisi un difetto di funzionamento nella strumentazione – “ma per il quale la responsabilità è a diverso titolo”, che comunque resta inconferente con il caso del Sig. Tizio in quanto il danno è derivato da una malpractice sanitaria e non dal difetto del funzionamento dello strumentario.

La Struttura Sanitaria pertanto risponde del fatto del medico nel caso in cui la medesima si sia avvalsa dello stesso per adempiere alla propria prestazione, cioè abbia assunto una obbligazione verso il paziente e per adempiervi si sia servita dell’attività del medico.

Al contrario, ove la Struttura sanitaria affidi la logistica ad una azienda diversa nella quale esegue la propria attività un proprio medico – legato ad essa cioè da un rapporto professionale – “essa è chiamata a rispondere dell’operato del sanitario, di cui non risponde invece l’azienda a cui è stata meramente affidata la logistica[2].

Ciò a riprova del fatto che la struttura sia responsabile dell’operato del medico nella misura in cui il medesimo concluda col nosocomio un rapporto di collaborazione, agendo nell’interesse della struttura stessa anche se “materialmente l’intervento è stato eseguito presso una diversa azienda cui era stata affidata semplicemente la logistica”.

Detta responsabilità per fatto proprio – derivante dal fatto del medico – è consolidata da ben prima dell’intervento della Legge Gelli Bianco, infatti la stessa Cassazione conferma che “in tema di responsabilità medica, nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, la responsabilità della struttura sanitaria, integra, ai sensi dell’art.1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario, la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall’utilizzazione di terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l’imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell’art.2049 c.c.[3].

Affinchè si integri la ridetta responsabilità è sempre necessario accertare appunto che la struttura si serva del medico per la prestazione sanitaria e che con esso ne condivida l’interesse alla esecuzione della prestazione.

Anche a voler considerare una responsabilità della struttura per fatto altrui “allora deve esistere un rapporto con il medico che giustifichi il fatto che la struttura risponde non per un fatto proprio ma per la condotta di costui, e questo rapporto non può essere quello di aver locato ad una società, di cui il medico è parte, i locali dove costui svolge a sua attività”.

In sintesi, non è sufficiente che sussista un rapporto di locazione tra struttura sanitaria ed il medico che ha esercitato la prestazione professionale da cui è derivata malpractice per imputare la responsabilità per il fatto di questo al nosocomio dal momento che: “la locazione non comporta l’assunzione di una obbligazione alla prestazione sanitaria in capo al locatore, né può dirsi che costui trae utilità dall’attività svolta da conduttore nei locali dati in godimento”.

Né alla struttura sanitaria sorgono responsabilità dal contratto di locazione: infatti il locatore è esposto ad addebiti per i danni subiti da terzi e derivanti dalla cosa oggetto di locazione, non da quanto personalmente commesso dal conduttore.

Inoltre, la Corte di Cassazione rilevava con un ulteriore spunto di riflessione che la circostanza in ragione della quale, la Casa di cura Beta ha concesso in locazione i locali alla Società Omega, invero “sorge una diversa struttura di riferimento, per l’appunto costituita dalla Società omega, e dunque semmai è lei a rispondere del fatto dei propri medici”.

Sul punto infatti riprendendo l’orientamento di legittimità “l’affidamento della logistica ad un altro soggetto non esclude la responsabilità dall’affidante, purchè il medico sia suo, ossia purchè il medico che ha operato presso la società cui la logistica è stata affidata, sia uno che ha rapporti con l’affidante. Ma se invece l’azienda affida la logistica (e non è neanche questo il caso, poiché ha solo concesso in locazione una parte dell’immobile) ad un’altra struttura i cui medici hanno rapporti solo con quest’ultima, è per l’appunto quest’ultima a dover rispondere per fatto del medico[4].

La Corte di Cassazione pertanto sulla questione per cui è lite pronunciava il seguente principio di diritto: “la struttura sanitaria che abbia concesso in locazione alcuni suoi immobili ad una società di medici non risponde dei danni causati da uno di questi ad un paziente, in quanto il rapporto di locazione tra una struttura ed un medico, ed a maggiore ragione tra una struttura ed una società di medici, non comporta che la prima debba rispondere degli errori professionali dei secondi”.

Dall’accoglimento dei tre motivi, uno di ricorso principale e gli altri due di ricorso incidentale comportano l’assorbimento del secondo del terzo del quarto e del quinto motivo di ricorso principale, in quanto relative alla regolamentazione delle spese e che postulano l’accertamento della responsabilità della Casa di cura Beta per il fatto del medico.

Non sussistendo alcun profilo di responsabilità addebitabile in capo alla Casa di cura Beta, viene logicamente meno il conseguente regime delle spese.

[1] Cass. Civ. n. 11320/22

[2] Cass. Civ. n. 34516/23

[3] Cass. Civ. n. 29001/21

[4] Cass. Civ. n. 34516/23

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