8 Luglio 2025

L’improcedibilità dell’esecuzione per assenza originaria di titolo esecutivo è rilevata d’ufficio dal giudice dell’esecuzione anche nella fase distributiva, fatto salvo l’acquisto dell’aggiudicatario

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2025, n. 3172 – Pres. De Stefano – Rel. Saija

Esecuzione forzata – Originario difetto di titolo esecutivo – Mancanza di pignoramenti successivi – Inammissibilità dell’esecuzione – Rilevabilità d’ufficio da parte del giudice dell’esecuzione anche nella fase distributiva – Nullità di tutti gli atti esecutivi – Sussistenza – Salvezza dell’acquisto dell’aggiudicatario

Massima: “In assenza di altro creditore munito di titolo esecutivo che abbia effettuato un pignoramento successivo ex art. 493 c.p.c., l’accertamento giudiziale, ritualmente acquisito al processo, della mancanza del diritto di procedere in executivis in capo al creditore procedente per originario difetto di titolo esecutivo esige il rilievo di ufficio da parte del giudice dell’esecuzione, senza che rilevi l’inerzia del debitore, con conseguente invalidità di tutti gli atti esecutivi, compresi quelli della fase distributiva, restando, tuttavia, salvo l’acquisto dell’aggiudicatario, ove non sia applicabile l’eccezione prevista dall’art. 2929 c.c.”

CASO

Avviata in suo danno un’espropriazione immobiliare, il debitore esecutato proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c., sostenendo che il creditore non disponesse di un valido titolo esecutivo, in quanto la cambiale posta a fondamento dell’esecuzione non era in regola con l’imposta di bollo.

L’opposizione veniva accolta con sentenza di cui era disposto l’inserimento nel fascicolo dell’espropriazione immobiliare, che, tuttavia, proseguiva con l’aggiudicazione dell’immobile pignorato e l’emissione del decreto di trasferimento.

Solo a quel punto l’esecutato chiedeva che fosse dichiarata l’improcedibilità dell’esecuzione, ma l’istanza veniva respinta con provvedimento che fissava il termine per l’introduzione della fase di merito di quella che era stata qualificata come nuova opposizione all’esecuzione e, nel contempo, disponeva che si desse corso alla distribuzione del ricavato dalla vendita dei beni pignorati.

Tale opposizione era rigettata sia in primo che in secondo grado, dal momento che l’acquisto dell’aggiudicatario doveva considerarsi valido ed efficace ex art. 2929 c.c., mentre la tardiva iniziativa del debitore – attivatosi solo a seguito dell’aggiudicazione dell’immobile pignorato – non era meritevole di tutela, essendosi determinato un legittimo affidamento in capo ai creditori.

L’esecutato proponeva, dunque, ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che, accertata l’inesistenza di un titolo esecutivo che regga l’esecuzione, vuoi perché quello azionato dal creditore procedente è invalido, vuoi per assenza di ulteriori pignoramenti dello stesso bene eseguiti a iniziativa di altri creditori, l’improcedibilità dell’esecuzione va rilevata d’ufficio, indipendentemente da un’iniziativa dell’esecutato, sicché, ferma restando l’intangibilità dell’acquisto dell’aggiudicatario, tutti gli atti del processo esecutivo debbono considerarsi illegittimi, con conseguente diritto del debitore di promuovere le azioni volte a ripetere dai creditori le somme che fossero state loro indebitamente assegnate in sede di distribuzione.

QUESTIONI

[1] Con la sentenza che si annota, è stato affermato, in continuità con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, che l’inesistenza di un valido titolo esecutivo idoneo a sorreggere l’esecuzione ne determina l’improcedibilità, che va rilevata d’ufficio e legittima il debitore che ha subito un’espropriazione ingiusta a ripetere le somme ricavate dalla vendita del bene pignorato e indebitamente distribuite ai creditori, nulla potendo, invece, pretendere nei confronti dell’aggiudicatario, il cui acquisto è fatto salvo per effetto di quanto previsto dagli artt. 2929 c.c. e 187-bis disp. att. c.p.c.

Infatti, sulla scorta di quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la pronuncia n. 61 dell’1 febbraio 2014, l’azione esecutiva intrapresa sulla base di un atto che non costituisce titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 c.p.c. non può proseguire, dovendo essere disposta la chiusura anticipata del processo di espropriazione forzata, anche nel caso in cui fossero intervenuti altri creditori muniti di titolo esecutivo che, tuttavia, non abbiano effettuato un autonomo pignoramento ex art. 493 c.p.c.

Tale situazione, che inficia ab origine la validità dell’azione esecutiva, dev’essere rilevata d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, indipendentemente da un’iniziativa in tale senso dell’esecutato: diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito con il provvedimento impugnato, il fatto che il debitore avesse atteso alcuni anni dalla pronuncia della sentenza che, accogliendo l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., aveva rilevato l’inesistenza di un valido titolo esecutivo (essendosi egli attivato solo dopo l’aggiudicazione dell’immobile pignorato al fine di impedire l’emissione del decreto di trasferimento), non vale a escludere il dovere del giudice di disporre la chiusura anticipata dell’esecuzione, dal momento che non è ravvisabile un abuso del diritto, ovvero la lesione di un legittimo affidamento formatosi in capo ai creditori partecipanti all’esecuzione.

Da questo punto di vista, nella sentenza che si annota viene sottolineato che:

  • il tardivo esercizio di un diritto, ovvero la protratta inerzia del suo titolare, non integra, nell’ambito di un rapporto di carattere processuale (e non sostanziale), violazione del dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede desumibile dagli artt. 1175 e 1375 c.c.;
  • una volta intervenuta l’aggiudicazione, l’acquisto del terzo è fatto definitivamente salvo per effetto dell’applicazione delle regole dettate dagli artt. 2929 c.c. e 187-bisp.c., sicché la richiesta dell’esecutato di dichiarare l’improcedibilità dell’esecuzione per impedire l’emissione del decreto di trasferimento e il consolidamento, in questo modo, dell’acquisto dell’aggiudicatario non può configurare un esercizio abusivo del diritto, per la semplice ragione che non consente al debitore di raggiungere il risultato avuto di mira;
  • il fatto che il creditore procedente, pur avendo partecipato al giudizio culminato con la pronuncia della sentenza che aveva accertato l’invalidità del titolo esecutivo azionato ed essendo, dunque, perfettamente consapevole dell’inesistenza del suo diritto di proseguire l’esecuzione forzata, avesse, ciononostante, coltivato il processo esecutivo, astenendosi dall’assumere le condotte conseguenti alla rilevata insussistenza delle condizioni perché ciò potesse legittimamente avvenire, costituiva, di per sé, circostanza assorbente, idonea a escludere, da un lato, la legittimità dell’affidamento eventualmente nutrito a fronte dell’assenza di iniziative da parte dell’esecutato e, dall’altro lato, la predicabilità di un abuso commesso da quest’ultimo;
  • in ogni caso, il nostro ordinamento prevede specifiche regole per garantire la correttezza della condotta processuale delle parti e per sanzionare quella che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, sicché non possono importarsi in ambito processuale concetti – peraltro elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla base di principi propri di altri ordinamenti – dettati sul piano sostanziale, ovvero con riguardo al rapporto obbligatorio, potendo venire meno la facoltà di esercitare un potere processuale in funzione del tempo trascorso solo se una specifica norma lo preveda, sanzionando l’inerzia della parte con la decadenza (come avviene, per esempio, per l’opposizione all’esecuzione ex 615 c.p.c. e agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.);
  • di conseguenza, l’iniziativa dell’esecutato avrebbe potuto considerarsi abusiva o illegittima, al limite, se fosse stata promossa al di là e al di fuori dei termini all’uopo previsti, il che non era avvenuto nel caso di specie.

L’affermata inesistenza dell’unico titolo esecutivo posto a fondamento e a sostegno dell’esecuzione aveva, dunque, determinato la radicale invalidità di tutti gli atti dell’espropriazione forzata, fatta eccezione per quelli attinenti al subprocedimento di vendita, per effetto di quanto disposto dall’art. 2929 c.c.: l’acquisto dell’aggiudicatario, infatti, è fatto salvo, a meno che non sia ravvisabile la sua collusione con il creditore procedente, con la conseguenza che l’esecutato non può accampare alcun diritto sul bene ormai definitivamente fuoriuscito dal suo patrimonio, ma può farsi assegnare il ricavato dalla vendita dello stesso, nonché ottenere il risarcimento dei danni nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al processo esecutivo in difetto di un titolo idoneo.

La Corte di cassazione, infine, ha precisato che la domanda di restituzione del ricavato dalla vendita illegittimamente distribuito ai creditori non può essere proposta all’interno del processo esecutivo, che, in quel momento, deve ritenersi già concluso (coincidendo la sua chiusura con l’approvazione del progetto di distribuzione, come affermato da Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2023, n. 32143), ma dev’essere necessariamente veicolata attraverso un apposito giudizio.

Nonostante la tipicità e la tassatività degli strumenti impugnatori a disposizione delle parti del processo esecutivo, stante il sistema chiuso dei rimedi che lo caratterizza, l’accertamento della nullità di tutti gli atti del processo esecutivo che si sia nondimeno concluso con la distribuzione della somma ricavata dalla vendita divenuta irretrattabile integra una di quelle ipotesi eccezionali nelle quali deve ritenersi consentito agire con un’autonoma azione di cognizione per ottenere utilità altrimenti conseguibili attraverso le opposizioni esecutive, trattandosi dell’unico modo attraverso il quale l’esecutato può ottenere concreta ed effettiva tutela.

In linea generale, infatti, va considerato che connotato comune a tutti i provvedimenti conclusivi delle procedure esecutive è la tendenziale definitività degli stessi, da intendersi tuttavia non in termini di idoneità a costituire cosa giudicata (inconcepibile, vista la natura del processo di esecuzione forzata), ma piuttosto come inconfigurabilità e conseguente inammissibilità di pretese di tutela esperibili successivamente alla chiusura del procedimento per porne in discussione la validità degli atti o degli effetti.

Da ciò la giurisprudenza ha fatto discendere che il soggetto espropriato non può esperire, dopo la chiusura dell’esecuzione forzata, azioni di ripetizione di indebito dirette a ottenere la restituzione di quanto riscosso dai creditori, sul presupposto di illegittimità verificatesi nel corso del processo esecutivo, salvo che le abbia fatte valere mediante opposizione proposta nel corso dello stesso, ma accolta successivamente alla sua chiusura (così, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2024, n. 23283).

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