15 Febbraio 2022

La prova dell’animus possidendi ai fini dell’usucapione della proprietà di terreni agricoli

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., 20 gennaio 2022, n. 1796, Ord., Pres. Dott. F. Manna

Usucapione In genere – Possesso idoneo ad usucapire – coltivazione di fondo agricolo

Massima: “Non è sufficiente la mera coltivazione del fondo, ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem, perché essa…non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l’intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l’attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario.

La coltivazione deve quindi essere accompagnata da “univoci indizi , i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus; l’interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso” . 

CASO

Tizio e Caio citano in giudizio Sempronio, chiedendo l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione del fondo agricolo in proprietà di quest’ultimo.

Il tribunale adito rigetta la domanda attorea, ritenendo insufficiente, ai fini della prova del possesso ad usucapionem, la dimostrazione della mera coltivazione del fondo.

Viceversa, la Corte d’Appello, adita da Tizio e Caio per la riforma della sentenza di primo grado, accogliendo il gravame dichiara l’intervenuto acquisto della proprietà per usucapione del fondo oggetto di causa.

Sempronio ricorre quindi alla Corte di Cassazione, di cui sollecita la riflessione sull’idoneità della coltivazione del fondo da parte degli originari attori ai fini dell’acquisto per usucapione della proprietà dello stesso.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, accoglie il ricorso e rinvia alla Corte d’Appello, esprimendo il principio di diritto di cui alla massima (non ufficiale), invitando la Corte territoriale ad attenervisi.

QUESTIONI

La vicenda in commento ruota attorno ai requisiti che il possesso deve avere ai fini dell’acquisto del diritto (in questo caso, la proprietà) per usucapione.

È noto che gli elementi costitutivi dell’usucapione sono il possesso e il tempo.

Per ciò che riguarda il possesso, l’importanza di questo fattore nell’ambito dell’usucapione si spiega in ragione del fondamento dell’istituto, quale modo di acquisto del diritto che favorisce chi utilizza il bene nel tempo a discapito del proprietario che invece lo trascura.

Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 c.c.).

Gli elementi costitutivi del possesso sono dunque il potere di fatto sulla cosa e, secondo l’opinione dominante, la volontà del soggetto di tenere la cosa come propria con esclusione di altri (c.d. animus possidendi).

Ai fini dell’usucapione, il possesso deve essere poi pacifico e palese, come chiarisce l’art. 1163 c.c. laddove precisa che il possesso conseguito in modo violento o clandestino non giova per l’usucapione se non dal momento in cui la violenza  o la clandestinità è cessata. La violenza, infatti, rende riprovevole il possesso e non giustifica la preferenza accordata al possessore in danno dell’effettivo proprietario. Per lo stesso motivo, la clandestinità del possesso preclude l’usucapione perché l’utilizzazione nascosta del bene non è socialmente apprezzabile, al pari di quella acquisita in modo violento.

Il possesso deve essere altresì continuo (art. 1158 c.c.) e non interrotto (art. 1167 c.c.) e cioè costante nel tempo – a nulla valendo un possesso occasionale o saltuario – senza che sia intervenuta una causa di interruzione – per fatto del terzo o per eventi naturali – che sia durata per oltre un anno.

Ciò chiarito, a livello di principi, occorre prestare attenzione in particolare al requisito dell’animus possidendi e ai caratteri della prova che di questo elemento deve dare chi intende proporre domanda di usucapione di un fondo agricolo.

Di per sé, osserva la Corte, la mera coltivazione del fondo non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere il fondo agricolo, che è per sua stessa natura destinato allo sfruttamento agricolo; tale attività è infatti pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario. Occorre, quindi, che la coltivazione del fondo sia accompagnata da indizi univoci che consentano di presumere che l’attività è svolta invece uti dominus (Cass. 20/6123; Cass. 13/18215).

Serve cioè una manifestazione esteriore dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui (c.d. interversione nel possesso), rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso (Cass. 18/17376; Cass. 06/4404).

Ma quali potrebbero essere in concreto questi indizi univoci atti a caratterizzare il possesso utile all’usucapione?

Secondo gli Ermellini, poiché la connotazione principale del diritto di proprietà è la facoltà di escludere i terzi dal godimento del bene che ne costituisce oggetto (cd. ius excludendi alios), il giudice di merito deve accertare, in concreto, se il soggetto che si trova in relazione materiale con la res abbia dimostrato non soltanto di averlo utilizzato, ma di averne appunto precluso ai terzi la fruizione. Considerato poi che la più eclatante espressione del diritto di proprietà è rappresentata dalla facoltà di chiudere il fondo, ai sensi dell’art. 841 c.c., la recinzione materiale del fondo agricolo costituisce quindi la più importante espressione dello ius excludendi alios.

 Ciò non esclude, secondo la Corte, che la prova del comportamento idoneo ad escludere i terzi dal godimento del bene possa essere conseguita anche in altro modo; ma è certo che la recinzione materiale del terreno costituisca una manifestazione di volontà non equivoca, del soggetto che si trovi in relazione materiale con il bene, di escludere i terzi da qualsiasi relazione con esso e forse, potremmo dire, la primaria espressione di questa volontà.

In conclusione, pertanto, colui che si trovi nella detenzione di un fondo agricolo, del quale intenda usucapire la piena proprietà, è onerato di dimostrare di aver compiuto tutti gli atti idonei ad esprimere, in concreto, il suo diritto di proprietà su detto cespite, e dunque di aver escluso i terzi dal relativo godimento; esclusione che trova la sua primaria espressione, come già detto, nella recinzione del fondo.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello non aveva condotto alcuna valutazione ulteriore rispetto alla verifica del mero fatto che Tizio e Caio avessero coltivato il terreno e pertanto aveva erroneamente ritenuto questo elemento sufficiente ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem. Per questo motivo, la sentenza impugnata è stata cassata e rinviata alla Corte d’Appello competente, che nel decidere dovrà conformarsi al principio di diritto appena espresso.

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