15 Febbraio 2022

Amministratore condominiale nominato dal Tribunale non può essere equiparato a quello nominato dall’assemblea

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. III, sent. 05.05.2021 n. 11717. Presidente F. De Stefano – Estensore L. A. Scarano

Massima:In tema di condominio negli edifici, l’amministratore nominato dal Tribunale ex art. 1129 c.c., in sostituzione dell’assemblea che non vi provvede, sebbene non rivesta la qualità di ausiliario del giudice ma instauri, con i condomini, un rapporto di mandato, non può essere equiparato all’amministratore nominato dall’assemblea, in quanto la sua nomina non trova fondamento in un atto fiduciario dei condomini ma nell’esigenza di ovviare all’inerzia del condominio ed è finalizzata al mero compimento degli atti o dell’attività non compiuta; pertanto, il termine di un anno previsto dall’art.1129 c.c. non costituisce il limite minimo di durata del suo incarico ma piuttosto il limite massimo di durata dell’ufficio, il quale può cessare anche prima se vengono meno le ragioni presiedenti la nomina (nella specie, per l’avvenuta nomina dell’amministratore fiduciario), restando applicabile, ai fini della determinazione del compenso, l’art.1709 c.c.”.

CASO

La pronuncia di legittimità che ci si appresta a commentare trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Messina, la quale, in parziale accoglimento del gravame interposto dal Condominio convenuto e in riforma della pronunzia del Tribunale di Messina del 16.03.2015, rigettava la domanda proposta nei confronti del medesimo da un amministratore condominiale di nomina giudiziaria: in particolare, costui si doleva dell’illegittimità dell’anticipata revoca disposta dall’assemblea condominiale con delibera del 23.05.2012 e chiedeva che il Condominio convenuto venisse condannato al risarcimento dei danni (pari alla privazione dei compensi a lui spettanti, quale amministratore, dal 29.05.2012 al 17.11.2012).

Il Tribunale di Messina, compiendo un’operazione di equiparazione in tutto e per tutto rispetto all’amministratore nominato direttamente dall’assemblea condominiale, accoglieva la domanda dell’attore, accordando il risarcimento dei danni per le restanti retribuzioni spettantigli nell’anno 2012, tuttavia, soccombeva in appello, a fronte del gravame interposto dal Condominio.

Avverso la pronunzia d’Appello, l’amministratore proponeva ricorso per Cassazione, affidato a 3 motivi:

  1. violazione e falsa applicazione degli artt. 1725 e 1129 c.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che fosse possibile revocare la nomina di un amministratore di condominio disposta dall’Autorità Giudiziaria, senza alcun risarcimento per l’anticipato recesso anche in assenza di giusta causa, a differenza di quanto previsto dall’art. 1725 c.c.;
  2. violazione dell’art. 101 c.p.c., in riferimento all’art. 360, 10 co. n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’Appello di Messina affrontato la questione ex officio senza previamente sollecitare il contraddittorio ex 101, comma 2, c.p.c.;
  3. violazione degli artt. 112, 342, 346 c.p.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la Corte di merito accolto un’eccezione sollevata dal Condominio che doveva essere dichiarata inammissibile, in quanto sollevata per la prima volta in grado d’appello.

SOLUZIONE

Il Supremo Collegio, ritenendo che i motivi fossero da considerarsi in parte inammissibili ed in parte infondati, rigettava il ricorso, così confermando la pronuncia della Corte d’Appello di Messina.

QUESTIONI

Gli Ermellini hanno avuto modo di fornire un’interessante chiave di lettura in tema di nomina dell’amministratore di condominio, sottolineando le incolmabili differenze che sussistono tra l’amministratore cui sia conferito mandato pieno dall’assemblea condominiale e l’amministratore nominato giudizialmente per l’inerzia di quel medesimo organo ed in esito al procedimento di nomina in volontaria giurisdizione.

In primo luogo, il Supremo Collegio, nel respingere perché inammissibili il secondo ed il terzo motivo di censura, ha avuto modo di riaffermare il proprio consolidato orientamento in tema di requisiti di ammissibilità del ricorso per Cassazione ex art. 366 c.p.c. In particolare, perché l’impugnazione possa essere legittimamente vagliata dalla Suprema Corte, è fondamentale che:

a) l’esposizione dei fatti, seppur sommaria, sia idonea a permettere al Giudice di legittimità di ricostruire in modo completo la vicenda e lo svolgimento del processo, cosicché le censure formulate dal ricorrente possano considerarsi chiare ed intelligibili in base alla lettura del ricorso. Al contempo, tuttavia, la Corte, attraverso un duro monito, ha ribadito che il requisito della sommaria esposizione dei fatti di causa ex 366, comma 1, n. 3, non può ritenersi soddisfatto allorquando nel ricorso vengano pedissequamente riprodotti atti e documenti del giudizio di merito, in contrasto con lo scopo precipuo della disposizione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, essendo necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità, con l’eliminazione del “troppo e del vano”, non potendosi attribuire alla Cassazione il gravoso compito (che spetta evidentemente al ricorrente) di selezionare i punti della sentenza impugnata considerati utili ai fini della decisione;

b) gli atti processuali sui quali il ricorso si fonda siano specificamente indicati ex 366, comma 1, n. 6: in altri termini, il ricorrente non può, come nel caso di specie, far riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito, senza espressamente richiamarli, debitamente riprodurli ovvero puntualmente fornire indicazioni necessarie ai fini della loro individuazione e secondo il rispetto delle regola di “autosufficienza” del ricorso. Allo stesso modo, il ricorrente, al fine di non gravare il Supremo Collegio dell’onere ingiustificatamente gravoso di individuare i capi e i punti della sentenza che si intendono impugnare, deve autonomamente distinguerli e portarli all’attenzione della Corte.

Per queste ragioni, dunque, il secondo ed il terzo motivo sono stati respinti dagli Ermellini, i quali hanno correttamente rispostato sul ricorrente l’onere di proporre ricorso nel rispetto dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., non potendo la Corte sostituirsi alla trascuratezza di costui, pena l’inutile aggravio dei tempi del processo e lo svilimento del ruolo nomofilattico che la Cassazione è chiamata a svolgere.

Con riguardo al primo motivo di ricorso, al contrario, il Supremo Collegio si è spinto sino all’analisi del merito, purtuttavia considerando infondata la doglianza.

Secondo la Corte, infatti, sarebbero da considerarsi prive di fondamento le tesi del ricorrente secondo cui: a) è illegittima la revoca anticipata dell’amministratore di condominio nominato giudizialmente; b) l’amministratore nominato dal Tribunale è in tutto e per tutto assimilabile ad un qualsiasi amministratore nominato dall’assemblea e pertanto deve ritenersi integralmente soggetto alla disciplina di cui agli artt. 1129 e 1725 c.c. (durata del mandato di almeno un anno e revoca anticipata solo per giusta causa, pena il risarcimento dei danni subiti per la mancata corresponsione dei compensi dovuti).

A tal riguardo, la Corte si premura anzitutto di specificare che il decreto giudiziale di nomina ex art. 1129, comma 1, c.c. non è di per se stesso in grado di mutare il ruolo dell’amministratore condominiale, il quale, benché designato dall’autorità giudiziaria, non è assimilabile ad un ausiliario del giudice. Costui, infatti, instaura con i condomini un vero e proprio rapporto di mandato, con la rilevante conseguenza di dover rendere conto del suo operato soltanto all’assemblea, non sussistendo in ciò alcuna differenza con l’amministratore di fiducia.

L’elemento che, tuttavia, rileva e permette di distinguere la figura dell’amministratore “giudiziario” da quella dell’amministratore di nomina assembleare è l’aspetto fiduciario che impronta l’atto di affidamento dell’incarico e il rapporto che ne scaturisce.

In particolare, la nomina dell’amministratore giudiziario trova la propria ragion d’essere unicamente nell’esigenza di ovviare all’inerzia del condominio ed è finalizzata al mero compimento dell’atto o dell’attività non compiuta e necessaria per la corretta gestione degli affari condominiali. Per tali ragioni, la durata dell’ufficio dell’amministratore giudiziario resta per così dire “sospesa” all’inerzia del condominio e alla necessità di compiere una certa attività nel suo interesse: l’ufficio, pertanto, cesserà non appena siano venute meno le ragioni presiedenti la relativa nomina (il che, come nel caso di specie, spesso accade per l’avvenuta nomina dell’amministratore fiduciario e per il conseguente venir meno dello stato di inerzia dell’assemblea).

Sostiene a questo punto il Supremo Collegio che, attesa l’evidente diversità di natura e funzioni tra le due figure, non si pongono neppure analoghe esigenze di tutela, sicché all’amministratore giudiziario non dovranno applicarsi pedissequamente tutte le norme disciplinanti il mandato, ma solo quelle considerate compatibili.

L’amministratore giudiziario, dunque, non può fare affidamento sul termine di un anno previsto dall’art. 1129 c.c. come limite minimo di durata del suo incarico, che va viceversa inteso come limite massimo di durata del medesimo, entro il quale assolvere le incombenze che ne hanno funzionalmente giustificato la nomina.

Da ciò consegue che, qualora l’assemblea provveda a deliberare la nomina dell’amministratore fiduciario anteriormente allo spirare del termine annuale, l’incarico di quest’ultimo viene a cessare, e per la determinazione del relativo compenso troveranno (qui sì) applicazione le norme sul mandato e, in particolare, l’art. 1709 c.c.

In altre parole, al momento della nomina dell’amministratore giudiziario, il giudice sarà chiamato a determinare l’ammontare del compenso spettantegli, sulla base dell’attività effettivamente svolta. Nulla, invece, sarà dovuto all’amministratore giudiziario per il periodo di tempo successivo alla revoca, anche se questa sia intervenuta prima dello spirare del temine annuale ex art. 1129 c.c.

Nel tentativo di riassumere in poche righe quanto statuito dalla Corte di Cassazione in una pronuncia tutt’altro che scontata, si può concludere che l’amministratore c.d. giudiziario può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea, essendo caratterizzato il suo ruolo da una tendenziale caducità e dalla totale carenza di un rapporto fiduciario con l’insieme dei condomini. Al contrario, viene riconosciuto un pieno diritto del condominio di fornirsi in ogni tempo di un amministratore fiduciario; diritto che si conserva anche a seguito di un lungo periodo di mancato esercizio. Qualora, dunque, l’organo incaricato di amministrare il bene comune resti inerte nonostante la necessità di compiere attività amministrative fondamentali, a questo potrà sostituirsi, nei modi previsti dall’art. 1129 c.c., l’autorità giudiziaria; nel momento in cui, tuttavia, l’assemblea superi il proprio stato di inerzia e sia nuovamente in grado di nominare autonomamente un amministratore di fiducia, le cariche non direttamente assegnate si considereranno irrimediabilmente caducate ed il potere di nomina definitivamente riespanso.

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