9 Novembre 2021

La caducazione di un titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo legittima il debitore esecutato a promuovere un autonomo giudizio per la ripetizione dell’indebito

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. III, sent. 26.02.2020 n. 14601. Presidente F. De Stefano – Estensore C. D’Arrigo

Nel caso di azione esecutiva intrapresa in forza di un titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo, la caducazione dello stesso in epoca successiva alla fruttuosa conclusione dell’esecuzione forzata legittima il debitore che l’abbia subita a promuovere nei confronti del creditore procedente un autonomo giudizio per la ripetizione dell’indebito che, avendo ad oggetto un credito fondato su prova scritta, può assumere le forme del procedimento d’ingiunzione”.

CASO

Un professionista del settore edile chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Rieti, nei confronti di un condominio sito nella zona del Terminillo (RI), un decreto ingiuntivo per spettanze professionali provvisoriamente esecutivo, per un importo complessivo pari ad euro 73.434,13. Il medesimo portava successivamente ad esecuzione il decreto menzionato, conseguendo, con l’attivazione di ben due procedure esecutive presso terzi, la somma complessiva di euro 83.671,55.

Il Condominio proponeva opposizione.

All’esito del giudizio portato avanti dal Condominio opponente, il Tribunale di Rieti riduceva il credito del ricorrente ad euro 40.000,00; statuizione poi confermata in grado d’appello.

A sua volta, il Condominio chiedeva ed otteneva in separato giudizio un decreto ingiuntivo nei confronti del professionista, al fine di conseguire da questi la restituzione della differenza tra la somma corrisposta in sede esecutiva e quella rideterminata dal giudice dell’opposizione.

Anche l’ingiunto, a questo punto, proponeva opposizione, ma il Tribunale di Rieti confermava il provvedimento monitorio opposto.

L’originario ricorrente, allora, decideva di appellare la decisione del giudice reatino e la Corte d’Appello di Roma, dando atto dell’adempimento nel frattempo intervenuto, revocava il decreto ingiuntivo opposto, compensando le spese legali.

Avverso tale sentenza, infine, il professionista proponeva ricorso per Cassazione per i seguenti motivi:

  1. nullità della sentenza per motivazione apparente ex 132, comma 2, n. 4 c.p.c.;
  2. violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e degli artt. 327 e 346 c.p.c.
  3. violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c.
  4. violazione e falsa applicazione degli artt. 2033, 2697 e 2928 c.c.
  5. violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1210, 1297 e 2033 c.c.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 14601 del 26.02.2020, ha accolto il ricorso del professionista ingiunto limitatamente al quarto e al quinto motivo di doglianza, giustamente sostenendo la necessità che il Giudice d’Appello rivalutasse la ripartizione dell’onere della prova nell’azione di ripetizione e l’applicazione del corretto regime del decorso degli interessi.                                                         Al contrario, ha rigettato i primi tre motivi di ricorso, fondati sulla pretesa illegittimità dell’azione di ripetizione di indebito.

QUESTIONI

Come preannunciato, il quarto e quinto motivo di ricorso, concernenti la violazione e falsa applicazione delle regole di ripartizione dell’onere della prova, nonché delle norme riguardanti il decorso degli interessi di mora, vengono accolti dalla Corte.

Sostiene il Supremo Collegio che la Corte d’Appello di Roma ha accolto la domanda di ripetizione dell’indebito formulata dal Condominio esclusivamente sulla base dell’ordinanza di assegnazione del Giudice di primo grado, titolo giudiziario da cui scatterebbe una presunzione di effettivo incasso delle somme del ricorrente, il quale, dal canto suo, non aveva offerto la prova contraria di non aver mai percepito tali somme.

Gli Ermellini censurano tale capo della sentenza impugnata, osservando che l’ordinanza di assegnazione non può costituire prova dell’incasso delle somme, poiché la stessa non può considerarsi dotata di efficacia solutoria; così procedendo, il Giudice d’appello ha surrettiziamente imposto al professionista una sorta di onere negativo che ha illegittimamente sovvertito le ordinarie regole di prova vigenti nel giudizio de quo: nella ripetizione di indebito opera, infatti, il principio secondo cui spetta all’attore (in questo caso il Condominio) dare dimostrazione tanto dell’avvenuto pagamento, quanto della mancanza di una causa che lo giustifichi.

Conseguentemente, del pari viziata dovrà ritenersi la statuizione della Corte d’Appello di Roma sul diritto del Condominio agli interessi moratori, dato che la parte resistente non ha in alcun modo dimostrato la riscossione delle somme non dovute del ricorrente.

Per tali ragione, il Supremo Collegio rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione perché questa ristabilisca il regime probatorio comune (art. 2697 c.c.) e provveda a verificare l’effettiva spettanza al Condominio dell’importo contestato.

Si era anticipato che con i primi tre motivi di ricorso, il professionista lamentava l’illegittimità dell’azione di ripetizione di indebito: anzitutto, costui sosteneva che la definitività dell’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. (atto conclusivo dell’esecuzione forzata per espropriazione dei crediti, che attua il trasferimento coattivo del credito pignorato) fosse incompatibile con la revocabilità della stessa nonché con qualsiasi azione autonoma di restituzione: il Condominio, in altri termini, avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avanzando tempestiva opposizione verso le ordinanze di assegnazione pronunciate nelle procedure esecutive del Tribunale di Rieti nn. 150/99 e 161/95, e non proporre successivo e separato giudizio di ripetizione dell’indebito.

Di segno contrario alle deduzioni logico-giuridiche formulate dal ricorrente è la motivazione che sul punto forniscono gli Ermellini, i quali condividono la decisione della Corte d’Appello capitolina.

La Corte di Cassazione avvia il suo percorso argomentativo muovendo dal ribadire il suo consolidato e datato orientamento in tema di irrevocabilità dei provvedimenti esecutivi una volta che questi abbiano avuto esecuzione (art. 487 c.p.c.).

Per regola generale, secondo il Supremo Collegio, il debitore espropriato non può esperire, dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata, l’azione di ripetizione dell’indebito contro il creditore procedente per ottenere la restituzione di quanto costui abbia riscosso, dal momento che la legge, pur non attribuendo efficacia di giudicato al provvedimento conclusivo del procedimento esecutivo, sancisce la irrevocabilità dei relativi provvedimenti una volta che essi abbiano avuto esecuzione (art. 487 c.p.c.), sicché la proposizione dell’azione di ripetizione dopo la scadenza dei termini per proporre opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. sarebbe “in contrasto con i principi ispiratori del sistema e con le regole specifiche sui modi e sui termini delle opposizioni esecutive. Tale principio, secondo la Suprema Corte, va senz’altro tenuto fermo, ma letto in combinato disposto con le altre regole sull’esecuzione forzata in base a titolo giudiziale non definitivo.

Occorre, quindi, considerare che, nel caso in commento, il decreto ingiuntivo ottenuto dal ricorrente e azionato quale titolo esecutivo, non era ancora divenuto definitivo: interposta l’opposizione del Condominio, infatti, veniva revocato dal Tribunale di Rieti che ne riduceva l’importo.

Dunque, per gli Ermellini, risulta pacifico che, successivamente alla conclusione del processo esecutivo, la caducazione di un titolo solo provvisoriamente munito di forza esecutiva ed azionato a suo rischio dal creditore procedente, determina la nullità dell’azione esecutiva che su esso di fonda e la perdita di efficacia degli atti fino a quel momento compiuti.

In altri termini, si verifica in questi casi una sorta di neutralizzazione” degli effetti dell’ordinanza di assegnazione.

Ed è proprio in nome di quel principio di intangibilità degli atti esecutivi già conclusi che la sopravvenuta revoca del titolo esecutivo giudiziale non definitivo non determina la cessazione degli atti espropriativi, dando più semplicemente luogo ad un distinto obbligo restitutorio che deve essere fatto valere da colui che voglia recuperare quanto gli è stato espropriato mediante l’ottenimento di un nuovo e diverso titolo esecutivo.

Pertanto, la Corte applica il principio di diritto secondo cui “soltanto in caso di azione esecutiva intrapresa in forza di un titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo la caducazione dello stesso in un momento successivo alla fruttuosa conclusione dell’espropriazione forzata legittima il debitore che l’abbia subita a promuovere nei confronti del creditore procedente un autonomo giudizio di ripetizione di indebito, che, essendo fondato su prova scritta, può avere inizio anche mediante la presentazione di ricorso per decreto ingiuntivo”.

In secondo luogo, il ricorrente lamentava, attraverso la formulazione di un motivo di ricorso molto articolato, la violazione dell’art. 346 c.p.c., in quanto il Condominio avrebbe dovuto chiedere la restituzione delle somme nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo; avendo mancato tale occasione, l’azione di ripetizione dell’indebito si sarebbe dovuta considerare inammissibile in quanto coperta da preclusione.

Anche questo motivo viene ritenuto infondato dal Supremo Collegio: i Giudici della Corte, infatti, estendono il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva successivamente riformata in appello ai giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, che si concludono con la revoca del decreto provvisoriamente esecutivo.

In tali ipotesi, la domanda di restituzione può essere formulata non solo direttamente davanti al medesimo giudice dell’opposizione, ma anche separatamente, come avvenuto nella vicenda in commento: in tale ultimo caso, il relativo giudizio non deve essere sospeso in attesa della definizione di quello di opposizione, perché la restituzione non è subordinata al passaggio in giudicato della revoca del decreto.

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