9 Novembre 2021

La determinazione del compenso del prestatore d’opera intellettuale

di Abigail Owusu, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, ord. 4 febbraio 2021, n. 2631 – Pres. Di Virgilio, Rel. Giusti

Parole chiave:

Compensi al prestatore d’opera intellettuale – accordo tra le parti – tariffe professionali – usi – determinazione giudiziale – criteri – ordine gerarchico – importanza dell’opera – decoro professionale

In tema di compensi spettanti ai prestatori d’opera intellettuale, l’art. 2233 c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale, indicando in primo luogo l’accordo delle parti ed in via soltanto subordinata le tariffe professionali, ovvero gli usi: le pattuizioni tra le parti risultano dunque preminenti su ogni altro criterio di liquidazione ed il compenso va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera soltanto in mancanza di convenzione [Massima non ufficiale].

Disposizioni applicate:

Art. 2233 c.c.

CASO

L’avv. Sempronio assisteva i fratelli Tizio e Caio nell’ambito di una causa di risarcimento dei danni da illegittima espropriazione, promossa da questi ultimi, contro la Provincia di Beta.

Successivamente al deposito della sentenza di condanna al risarcimento dei danni dell’amministrazione provinciale, in data 7-16 settembre 2002, Tizio e Caio sottoscrivevano con l’avv. Sempronio una scrittura privata contenente un patto di quota lite.

In data 20 gennaio 2005, nell’ambito di una conversazione telefonica le parti rideterminavano il compenso dovuto al difensore per l’attività defensionale svolta; il contenuto di tale nuovo accordo veniva poi formalizzato con scrittura privata del 21 gennaio 2005 con cui il difensore veniva autorizzato ad accreditare sul proprio conto corrente l’importo pattuito e a trattenere le competenze professionali.

L’avv. Sempronio procedeva dunque con la liquidazione a proprio favore della somma pattuita.

Successivamente, Tizio conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale competente l’avv. Sempronio, chiedendo di dichiarare nulla e inefficace inter partes la scrittura privata datata 7-16 settembre 2002, in quanto contenente un illegittimo patto di quota lite, chiedendo, inoltre, che il convenuto venisse condannato alla restituzione delle somme percepite in eccesso rispetto al compenso previsto per la prestazione professionale svolta.

Nel rigettare integralmente le domande avanzate, il Tribunale rilevava come la conclusione della seconda scrittura privata, da considerarsi valida ed efficace, avesse tolto efficacia al precedente accordo del settembre 2002.

Il Tribunale osservava poi che sarebbe comunque pervenuto al rigetto della domanda di parte attrice anche se fosse stato ritenuto rilevante l’accordo intercorso tra le parti nel settembre 2002. Più precisamente, il Giudice di prime cure escludeva la ricorrenza nel caso di specie del patto di quota lite, evidenziando altresì l’assenza dei presupposti per l’annullamento di tale accordo, in ragione della esecuzione volontaria del negozio.

Tizio proponeva appello avverso la sentenza di primo grado.

Il giudice di seconde cure aderiva alla ricostruzione del giudice di primo grado e rigettava il gravame.

Secondo la Corte d’appello, le domande di parte appellante, volte ad una rideterminazione del corrispettivo dovuto all’avv. Sempronio ai sensi dell’art. 2233 c.c., non meritavano di essere accolte a fronte dell’esistenza di un valido accordo sull’entità del compenso dovuto al prestatore d’opera intellettuale.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, investita della questione, confermava la decisione della Corte d’appello ritenendo che l’accordo sulla misura del compenso stipulato in un secondo momento fosse pienamente valido ed efficace, tale da impedire al giudice, ai sensi dell’art. 2233 c.c., di intervenire in senso modificativo di una previsione espressione dell’autonomia negoziale delle parti.

QUESTIONI

La pronuncia in commento (già annotata da F. Olivelli, L’accordo delle parti sul compenso oltre la corrispettività del lavoro prestato, in Giur.it., 2021, 6, p. 1413 ss.), si occupa della portata interpretativa del secondo comma dell’art. 2233 c.c., in tema di determinazione del compenso dovuto al prestatore d’opera intellettuale.

La Corte di Cassazione chiarisce anzitutto che, in tema di compensi spettanti ai prestatori d’opera intellettuale, l’art. 2233 c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale, indicando in primo luogo l’accordo delle parti ed in via soltanto subordinata le tariffe professionali, ovvero gli usi.

Secondo la Suprema Corte, le pattuizioni tra le parti risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione ed il compenso va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera soltanto in mancanza di espressa convenzione tra le parti.

Con specifico riguardo alla materia degli onorari forensi, la Suprema Corte, richiamando la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite del 26 febbraio 1999, n. 103, riconosce la validità della convenzione tra professionista e cliente avente ad oggetto dei compensi superiori al massimo tariffario.

La sentenza in commento offre un’occasione per svolgere alcune riflessioni sull’interpretazione dei criteri previsti dall’art. 2233 c.c. in tema di determinazione del compenso spettante al prestatore d’opera intellettuale.

Ai sensi dell’art. 2233 c.c., le fonti per la determinazione del compenso professionale sono la convenzione tra le parti, le tariffe e gli usi; in loro mancanza il compenso è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale cui appartiene il professionista.

La norma in esame sancisce, dunque, in linea di principio, la prevalenza della volontà delle parti su ogni altro criterio di determinazione del compenso (in dottrina v., tra i tanti, F. Caroccia, in F. Marinelli e F. Caroccia, Contratto d’opera e prestazione d’opera intellettuale, in Tratt. dir. civ. Cons. Naz. Not., diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2013, 201; R. De Matteis, Il contratto d’opera intellettuale: profili generali e obblighi delle parti, in Tratt. dei contr., diretto da V. Roppo e condiretto da A. M. Benedetti, III, Opere e servizi, Milano, 2014, 652; in giurisprudenza, v., fra le altre, Cass., 18 settembre 2012, n. 15628, in Giur. it., 2012, p. 1972; Cass., 29 dicembre 2011, n. 29837, in Studium Iuris, 2012, p. 910; Cass., 28 gennaio 2003, n. 1223, in Pluris.).

Qualora il compenso non sia stato fissato pattiziamente, lo stesso dev’essere determinato secondo le tariffe, che hanno pertanto valore sussidiario (cfr., tra gli altri, G. Giacobbe e D. Giacobbe, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera, Artt. 2222-2228, in Il c.c. Comm., fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, 2ª ed. aggiornata a cura di P. Virgadamo, Milano, 2009, p. 179).

Nell’ipotesi in cui il compenso non possa essere commisurato sulla base di pattuizioni private, ovvero di tariffe o di usi, la sua determinazione avviene ad opera del giudice, sentito il parere (obbligatorio ma non vincolante) dell’associazione professionale cui il professionista appartiene (G. Carraro, Riflessioni su professione intellettuale forense, liberalizzazione dei compensi e disciplina contrattuale, in NGCC, 2013, p. 173. In giurisprudenza v., tra le tante, Cass., ord. 21 ottobre 2011, n. 21934, in Rep. Foro it., 2011, voce «Professioni intellettuali», n. 120, p. 1644; Cass., 1 settembre 2004, n. 17564, in Pluris); in ogni caso, però, la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione (art. 2233, comma 2, c.c.).

Secondo una prima tesi, fatta propria dalla sentenza in commento, il comma 2 dell’art. 2233 c.c. opererebbe solo con riguardo ai compensi determinati (sulla base – delle tariffe oppure, da ultimo – dei parametri o degli usi) dal giudice, non anche per quelli oggetto di specifica pattuizione tra le parti.

A sostegno di questa ricostruzione, si argomenta che, in caso contrario, si attribuirebbe al giudice un potere correttivo dell’autonomia privata che finirebbe di fatto per vanificarla (A. Torrente, in Del lavoro, Libro V, (Artt. 2222-2324), a cura di A. Torrente e C. Ruperto, in Comm. c.c. redatto a cura di magistrati e docenti, Torino, 1962, II, p. 40 s.; in giurisprudenza, Cass., 16 gennaio 1986, n. 224, in Mass. giust. civ., 1986, p. 76 s.).

Un’altra parte della dottrina ha condivisibilmente rilevato come tale tesi urti fatalmente contro il tenore letterale del comma 2 dell’art. 2233 c.c., dove chiaramente si precisa che l’importanza dell’opera e il decoro della professione debbono essere tenuti in conto in ogni caso (G. Musolino, Contratto d’opera professionale, in Il c.c. Comm., fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Artt. 2229-2238, 3ª ed., Milano, 2020, p. 421).

I sostenitori di questo secondo orientamento hanno altresì osservato che, dal punto di vista sistematico, la stessa collocazione della disciplina sul contratto d’opera nel libro V (e non, come pure sarebbe stato possibile, nel libro IV) smentisce la pretesa intangibilità dell’accordo tra le parti, deponendo in favore di un potere correttivo del giudice nell’interesse del lavoratore, senza contare che in tal senso depongono pure gli artt. 1 e 35 Cost. (G. Musolino, op. cit., 422.).

Sembra pertanto preferibile la tesi secondo cui gli elementi dell’importanza dell’opera e del decoro della professione incidono sul compenso del prestatore d’opera intellettuale anche là dove esso sia stato convenuto dalle parti, esprimendo tali elementi un vero e proprio principio inderogabile.

Nel tentativo di concretizzare detto principio, quanto alla nozione dell’importanza dell’opera, si è sostenuto che essa designerebbe semplicemente una proporzionalità oggettiva con il risultato utile per il committente (V. L. Riva Sanseverino, Lavoro autonomo, Libro V, Del lavoro, Art. 2188-2246, in Comm. c. c., a cura di A. Scialoja e G. Branca, 2ª ed., Bologna – Roma, p. 232) secondo un criterio immanente al lavoro autonomo sia intellettuale sia manuale.

Una attenta dottrina ha osservato come un simile ragionamento, perfettamente condivisibile nella parte in cui instaura uno stretto collegamento tra gli artt. 2225 e 2233 c.c., inquadrando in termini fondamentalmente unitari i corrispettivi del prestatore d’opera manuale e del prestatore d’opera intellettuale, sia in realtà molto pericoloso nella parte in cui sembra enfatizzare unicamente il rilievo del risultato utile nel contratto d’opera a fini retributivi; sia l’art. 2225 sia l’art. 2233 c.c., infatti, contengono altresì indicazioni, a loro volta fondamentalmente unitarie per il lavoro manuale e per quello intellettuale, ma a ben vedere di segno opposto, ovverosia i riferimenti, rispettivamente, al lavoro normalmente necessario e al decoro della professione (M. Tescaro, Unitarietà e centralità del contratto d’opera nel panorama dei contratti di servizi, Milano, 2017, p. 321).

In questa prospettiva, in caso di raggiungimento di un risultato utile per il cliente, il prestatore d’opera intellettuale ha diritto a un corrispettivo pieno, che, in assenza di un preventivo accordo tra le parti, dovrà essere determinato in via equitativa sulla base dei parametri tariffari, da considerare nei loro valori non inferiori a quelli medi (M. Tescaro, op. cit., p. 323).

In presenza di un preventivo accordo tra le parti, dovrebbe invece ritenersi ammissibile un corrispettivo particolarmente elevato, purché non talmente eccessivo da perdere ogni possibilità di giustificazione alla luce del decoro della professione (A. Perulli, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L Mengoni, Milano, 1996, XXVII, p. 669) quest’ultima circostanza può presumersi, salva possibilità di prova contraria, nel caso in cui sussistano parametri di riferimento e il corrispettivo pattuito risulti superiore addirittura al relativo valore massimo (M. Tescaro, op. cit., p. 324).

Là dove, al contrario, il risultato utile non sia stato raggiunto, il prestatore d’opera intellettuale, se non in colpa, pur perdendo il diritto a un corrispettivo pieno, dovrebbe conservare, proprio in forza del criterio del decoro della professione, il diritto a un corrispettivo ridotto, che gli dia comunque una qualche forma di ristoro per il lavoro svolto diligentemente (Cfr. A. Perulli, op. cit., p. 671).

Detto corrispettivo, in assenza di un preventivo accordo tra le parti, dovrà essere determinato ancora una volta in via equitativa sulla base dei citati parametri ora, però, nei loro valori inferiori a quelli medi (M. Tescaro, op. cit., p. 324 ss.).

In presenza di un preventivo accordo tra le parti, dovrebbe inoltre ammettersi pure un corrispettivo minimo, purché non talmente contenuto da perdere qualsivoglia possibilità di giustificazione alla luce del criterio del decoro della professione, ciò che può presumersi, salva possibilità di prova contraria, nel caso in cui sussistano parametri di riferimento e il corrispettivo pattuito risulti inferiore addirittura al relativo valore minimo.

In conclusione, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza in commento, il riferimento al decoro della professione contenuto nel secondo comma dell’art. 2233 c.c. risulta dunque idoneo a giustificare un potere correttivo, da parte del giudice, delle pattuizioni relative al corrispettivo, sia pure solo in casi estremi, e cioè, come si è detto, quando il corrispettivo sia così elevato da perdere qualsivoglia giustificazione alla luce dell’attività svolta, e anche quando il corrispettivo sia così contenuto da non apportare al prestatore d’opera nemmeno quel minimo ristoro che gli si deve per l’attività svolta diligentemente. Indici presuntivi, ma non decisivi né esclusivi, della ricorrenza di tali ipotesi possono considerarsi, nel caso in cui sussistano parametri di riferimento, rispettivamente, i relativi valori massimi e minimi (M. Tescaro, op. cit., p. 326).

A mente delle considerazioni che precedono, la Corte di Cassazione avrebbe dovuto disporre la verifica della compatibilità dell’accordo sul corrispettivo con il criterio inderogabile di cui all’art. 2233, comma 2, c.c., e in caso di contrasto con lo stesso, riconoscere al giudice del rinvio il potere di rideterminarlo alla luce dei parametri previsti dalla tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, con riferimento ai relativi valori massimi.

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