8 Febbraio 2022

L’installazione dell’impianto di riscaldamento autonomo in condominio non può comportare la collocazione di tubazioni sul terrazzo altrui

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sezione 2, sentenza n. 27375 dell’8 ottobre 2021. Presidente Lombardo, Relatore Gorjan

Massima: “L’autorizzazione condominiale a staccarsi dal riscaldamento centralizzato per installare un impianto autonomo, così come la sua completa dismissione, non autorizza anche all’apposizione delle tubature su parti dell’edificio, come la terrazza, che sono nella disponibilità di altri condomini. Allo stesso modo, resta vietata la realizzazione di fori di rilevanti dimensioni su parti di terzi.”

CASO

Il condomino A) avviava il procedimento di tutela possessoria nei confronti della condomina B), in quanto quest’ultima aveva realizzato delle tubature sui muri del terrazzo annesso all’appartamento di A) nonché praticato, negli stessi muri, dei fori di notevoli dimensioni a servizio dell’impianto autonomo di riscaldamento della propria unità abitativa. Il Tribunale di Roma emetteva ordine di rimozione a carico di B), la quale reclamava il provvedimento davanti al Tribunale capitolino in composizione collegiale, che lo confermava, rigettando il ricorso di B).

Ad esito del procedimento sul merito possessorio, il Tribunale romano accoglieva la domanda di tutela proposta da A); tuttavia contro tale pronuncia B) proponeva appello. Il Collegio capitolino rigettava il gravame osservando, tra l’altro, come la terrazza era in realtà in possesso esclusivo di A) in quanto accessibile solamente dal suo alloggio, contrariamente a quanto dedotto da B), la quale sosteneva che il terrazzo in questione era comune a tutti i condomini poiché accessibile dal vano della finestra prospiciente le scale comuni. Del pari la Corte d’Appello capitolina rigettava l’eccezione sollevata da B) relativa alla carenza del requisito del possesso ultrannuale ai fini dell’esercizio dell’azione di manutenzione, in primis, perché la stessa era stata proposta tardivamente e, in secundis, poiché A) aveva agito quale possessore a tutela dell’immobile di cui era legittimamente proprietario/possessore esclusivo.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, il condomino B) proponeva ricorso per Cassazione fondato su tredici motivi. Il condomino A resisteva con controricorso.

SOLUZIONE

La Suprema Corte riteneva tutti i motivi addotti dalla ricorrente inammissibili e di conseguenza rigettava il ricorso proposto, confermando la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte d’Appello di Roma. 

QUESTIONI

In primo luogo, la pronuncia della Cassazione ha sottolineato l’assoluta importanza della chiarezza e della sinteticità nell’esposizione dei fatti di causa nonché della specificità dei motivi di ricorso, che inderogabilmente devono riportare in modo preciso e puntuale le disposizioni di legge che si assumono violate. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso della condomina B) inammissibile precipuamente per violazione dell’art. 366 comma 1 numero 3 c.p.c.

Infatti, l’istanza presentata dalla ricorrente constava di ben 171 pagine, di cui 68 contenenti l’illustrazione dei fatti di causa. L’esposizione degli stessi, secondo gli Ermellini, non poteva quindi in alcun modo ritenersi sommaria e sintetica, come prescritto dalla citata disposizione, ovvero funzionale né alle censure di parte ricorrente né tantomeno alla decisione del Giudice di legittimità, il quale, trovandosi costretto a ricostruire i fatti secondo il proprio criterio, si sarebbe dovuto addirittura intromettere nell’ambito dell’oggetto stesso sottoposto al suo giudizio. In tal senso la Cassazione richiamava la propria linea giurisprudenziale secondo la quale “è inammissibile, per inosservanza del necessario requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa di cui all’art. 366 comma 1 numero 3 c.p.c , il ricorso per cassazione che si limiti a riprodurre, in via diretta o indiretta, il testo integrale di una serie di atti dello svolgimento processuale, così onerando la Suprema Corte di procedere alla loro lettura, similmente a quanto avviene in ipotesi di mero rinvio ad essi, non potendosi ritenere assolta da elementi estranei al ricorso la funzione riassuntiva sottesa alla previsione della sommarietà dell’esposizione del fatto”. (Cassazione Civile, Sezione 3, sentenza del 9 febbraio 2012 n. 1905; in senso conforme, Cassazione Civile, Sezione 6 3, ordinanza n. 16059 del 27 giugno 2017).

In secondo luogo la Suprema Corte ha rilevato come la maggior parte dei motivi di ricorso (in particolare il primo, secondo, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo) assumessero come omesso l’esame da parte del Giudice di secondo grado circa fatti rilevanti, quando invece gli stessi erano stati oggetto di un’attenta disamina da parte della Corte d’Appello capitolina. Ad esempio, con la seconda doglianza la ricorrente B lamentava la nullità della decisione poiché il Giudice di secondo grado non aveva tenuto conto della esatta consistenza dei lavori da lei eseguiti, ovvero che le opere poste in essere erano necessarie, in conformità alla normativa vigente, alla messa in sicurezza dell’impianto di riscaldamento autonomo disposto ed autorizzato dall’assemblea condominiale, mentre tale circostanza era stata debitamente considerata e motivata dal Giudice d’appello. Altre censure (in particolare, il terzo, nono, decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo motivo di ricorso) venivano poi reputate prive di specificità od autosufficienza.

Per quanto più di interesse in questa sede, verranno presi in esame solamente alcuni dei motivi di ricorso, da cui emergono gli aspetti maggiormente rilevanti.

Con il quarto mezzo d’impugnazione la ricorrente criticava la conferma, da parte del Collegio capitolino, della statuizione del Tribunale in ordine alla circostanza che il condomino A) aveva proposto domanda di tutela possessoria qualificandosi quale proprietario dell’alloggio e del pertinente terrazzo, senza tuttavia produrre il titolo, invero versato in causa da B). La censura a ben vedere non si confrontava con l’effettiva ragione posta dalla Corte capitolina a fondamento della propria decisione sul punto, ossia che dall’atto introduttivo del giudizio possessorio appariva evidente che A) aveva agito quale possessore del bene, sicché ogni questione circa il diritto di proprietà e la prova dello stesso erano questioni irrilevanti nella causa.

La quinta censura adduceva la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 1170 c.c., atteso che la Corte capitolina non aveva rilevato che A) non era legittimato all’azione di manutenzione in quanto possessore del bene da meno di un anno. La doglianza risultava tuttavia inammissibile in quanto l’eccezione, come peraltro già correttamente rilevato dal Giudice di secondo grado, era stata tardivamente proposta.

La sesta ragione di impugnazione deduceva l’omesso esame di fatto rilevante in causa individuato nel compossesso del terrazzo, stante l’accessibilità anche dal finestrone del vano scala condominiale, come confermato da alcuni degli informatori sentiti in sede di reclamo. La censura si palesava priva di pregio giuridico posto che il Collegio romano aveva puntualmente esaminato la questione, rilevando come dalle stesse dichiarazioni rese dagli informatori non si ricavava la possibilità di accedere normalmente al terrazzo – bensì mediante l’utilizzo di particolari accorgimenti – siccome invece possibile esclusivamente dall’alloggio del condomino A). La censura pertanto era palesemente tesa ad un diverso apprezzamento dei dati probatori acquisiti in causa, non vertendo su un fatto storico non esaminato dalla Corte distrettuale, e in quanto tale del tutto inammissibile. Sulla base dell’affermata e comprovata esclusiva proprietà del terrazzo in capo al condomino A), veniva rigettato anche il settimo motivo di ricorso, relativo alla nullità della sentenza per la sussistenza di litisconsorzio necessario.

Correttamente infatti la Corte capitolina non riteneva che gli altri condomini fossero litisconsorti necessari, circostanza che avrebbe altrimenti comportato la nullità del procedimento per loro mancata evocazione in giudizio. La Corte d’Appello di Roma precisava poi che, non trattandosi di giudizio petitorio non poteva configurarsi litisconsorzio con tutti i condomini, poiché gli unici interessati erano i soggetti evocati nel giudizio possessorio quali autori delle condotte di disturbo dell’altrui possesso, unica azione proposta dal condomino A).

Con l’ottava doglianza la ricorrente lamentava la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 1130 c.c. in quanto il Collegio capitolino non aveva tenuto conto delle delibere dell’assemblea condominiale, le quali disponevano la dismissione dell’impianto centralizzato di riscaldamento e l’installazione, da parte dei singoli condomini, di impianti autonomi.

Tale argomentazione tuttavia non si confrontava con la ragione posta dalla Corte di merito alla base della sua statuizione sul punto, ossia che le delibere assembleari non erano oggetto di causa poiché non contenevano disposizioni tese a ledere il pacifico possesso da parte del singolo condomino del bene in suo esclusivo godimento.

Infatti la delibera assembleare autorizzava i singoli condomini ad installare impianto autonomo di riscaldamento non anche a farlo collocandolo, in tutto od in parte, su bene in possesso ad altri, sicché rettamente la Corte capitolina evidenziava l’irrilevanza, nella controversia, della questione collegata alle delibere assembleari.

Il nono mezzo d’impugnazione – relativo all’asserita nullità della decisione impugnata per violazione dell’art. 1170 c.c. – riproponeva la questione afferente la mancanza del requisito dell’ultrannualità del possesso per l’esercizio dell’azione di manutenzione e poneva nuovamente la questione della condominialità del muro nonché dell’attuazione delle delibere assembleari.

Secondo la Suprema Corte, l’argomentazione critica sviluppata nella nona censura risultava conforme a quella precedentemente svolta in altri motivi di ricorso, scontandone quindi l’inammissibilità già rilevata.

Con la decima ragione di doglianza la ricorrente denunziava la nullità della decisione impugnata, senza peraltro indicare – come osservato dai Giudici di legittimità – la norma violata che positivamente prevedesse l’asserita nullità, in quanto aveva confermato la statuizione del Tribunale in relazione al possibile diverso posizionamento delle tubazioni, statuizione criticata con apposito motivo di gravame.

L’inammissibilità della censura era del tutto evidente posto che non vi era alcun confronto con la motivazione addotta sul punto dalla Corte capitolina, ossia l’irrilevanza circa la possibilità di un diverso posizionamento dell’impianto senza ledere il possesso del condomino A) poiché nel procedimento aveva assunto rilievo solo l’accertamento che, per come posizionate, le tubazioni ed i fori incidevano, turbandolo, sul possesso pacifico della terrazza.

L’undicesimo motivo di ricorso deduceva nullità della sentenza impugnata per non aver la Corte capitolina esposto motivazione in relazione al rigetto del corrispondente undicesimo motivo di gravame.

La censura era anch’essa infondata poiché la Corte distrettuale ne aveva rilevato l’assorbimento in relazione alla statuizione inerente al sesto motivo d’appello, posto che veniva nuovamente contestato l’accertamento che A) era possessore esclusivo del terrazzo poiché l’accesso naturale – ossia senza l’uso di appositi accorgimenti – poteva avvenire esclusivamente dal suo appartamento. Peraltro, l’argomentazione critica svolta si compendiava nella mera proposizione di valutazione alternativa delle dichiarazioni rese dai sommari informatori, senza ritrascrivere integralmente le loro dichiarazioni, bensì solo sunteggiandole a propria discrezione, sicché non solo la censura non era caratterizzata da autosufficienza ma era volta ad una sollecitazione alla Suprema Corte d’inammissibile esame circa il merito della lite possessoria.

Con il dodicesimo mezzo di ricorso, anch’esso ritenuto non autosufficiente ed in quanto tale inammissibile, veniva censurata la violazione dell’art.112 c.p.c. in relazione alla condanna generica del danno subito dal condomino A) posto che, invece, questi aveva chiesto anche la liquidazione del ristoro indicando espressamente una somma determinata. Sul punto gli Ermellini hanno osservato come la Corte capitolina avesse in realtà specificatamente affermato che, nel ricorso introduttivo, A) proponeva anche domanda di condanna generica al ristoro del danno, sicché per contestare detta affermazione era onere della ricorrente di ritrascrivere le conclusioni adottate da A) nel corso del giudizio possessorio di prime cure. In assenza di ciò, la Suprema Corte non poteva apprezzare l’esistenza del vizio dedotto.

Con la tredicesima ed ultima ragione di doglianza la ricorrente lamentava l’omessa motivazione in relazione al suo ultimo motivo di gravame, ossia la contestazione della sua condanna alle spese di lite. Gli Ermellini reputavano la critica scarsamente comprensibile e priva del requisito dell’autosufficienza atteso che, in primo luogo non veniva ritrascritto il motivo di gravame necessario per poter apprezzare l’oggetto effettivo della censura mossa.

Dalla lettura della motivazione posta a sostegno della doglianza, si rilevava che l’erroneità circa la condanna alle spese era basata sulla ritenuta infondatezza della pretesa del condomino A).

In secondo luogo, proseguivano i Giudici di Piazza Cavour, il Tribunale aveva accolto la domanda di tutela possessoria proposta da A) sicché correttamente aveva applicato la regola iuris ex art 91 c.p.c.: non sussistevano infatti i presupposti di legge per l’applicazione del disposto ex art 96 comma 3 c.p.c.

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