21 Aprile 2020

Il nuovo imprenditore agricolo e l’assoggettamento al fallimento

di Marta Bellini, Avvocato e Professore a contratto Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Tribunale di Rimini, 25.2.2020 – Est. S. Rossi – Pres. F. Miconi

Parole chiave: imprenditore agricolo – fallibilità – attività connesse – prevalenza

Massima: Il carattere intensivo dell’allevamento in batteria non nuoce alla qualificazione dell’attività come agricola, essendo la stessa legata solo alla cura di un ciclo biologico della vita dell’animale o anche di una fase del ciclo stesso, a prescindere dalla quantità di animali allevati.

Disposizioni applicate: 1 L. Fall. – 5 L.F. – 2135 c.c.

Il provvedimento del Tribunale di Rimini (25.2.2020) pone nuovamente l’attenzione sulla necessità di individuare i criteri oggettivi della sfera dell’agrarietà, al fine di maggiormente definirne i confini rispetto l’impresa commerciale, rapportando e rilevando la possibile fallibilità dell’imprenditore agricolo, quando per tipologia di attività, dimensioni dell’impresa, organizzazione della stessa e consistenza delle passività riscontrate, possa riferirsi maggiormente all’attività commerciale, assoggettata – per portata normativa dell’art. 1 l.f. – al fallimento.

CASO

La società Alfa adiva il Tribunale di Rimini al fine di veder dichiarato il fallimento di Beta, precisando che la stessa, nonostante l’inquadramento quale società agricola, esercitasse la propria attività di allevamento di pollame in batteria, anziché su fondo agricolo e svolgesse in prevalenza l’attività commerciale di vendita delle uova, quale prodotto derivato dai propri animali.

Ad ulteriore rilievo che Beta – pur svolgendo allevamento di pollame in batteria – non fosse qualificabile come imprenditore agricolo, Alfa rilevava fosse altresì destinataria di un contratto di soccida e come – tale evidenza – confermasse la natura commerciale dell’impresa convenuta, che unitamente all’ulteriore requisito del rilevante indebitamento doveva conseguentemente essere dichiarata fallita.

Il Tribunale di Rimini, respingendo il ricorso, rileva come a seguito della novella dell’art. 2135 c.c., l’impresa agricola abbia acquisito un’estensione maggiore della propria attività, comunque non ritenuta assoggettabile al fallimento nemmeno a seguito delle novità introdotte dal legislatore delle procedure concorsuali.

SOLUZIONE

Il Tribunale di Rimini si trova nuovamente a dover affrontare il tema della fallibilità di un’impresa formalmente agricola, esaminando nello specifico il collegamento funzionale dell’attività con l’elemento terra e l’attività connessa di commercializzazione dei propri prodotti, sotto il profilo in base al quale l’imprenditore agricolo, così come delineato dall’entrata in vigore del D.lgs. 18 maggio 2001, n. 228 (ed integrato con la formulazione della nozione dell’imprenditore ittico dettata dal D.lgs. n. 226 del 2001), possa essere qualificato tale ai sensi dell’art. 2135 c.c. e possa essere comunque esonerato dal fallimento a seguito dell’accertamento dello stato di insolvenza ex art. 5 l.f..

Come noto, a seguito della modifica operata dall’art. 1 del D.lgs. n. 228 del 2001, l’art. 2135 c.c. ha subito una notevole modifica, in parte attraverso l’ ampliamento del novero delle attività agricole principali, che ora risultano incentrate sul ciclo biologico o su una fase essenziale dello stesso, con il conseguente venir meno dell’elemento del fondo, quale requisito specifico dell’attività agricola, e dall’altra attraverso il parallelo progressivo ampliamento delle possibili attività connesse.

È altrettanto vero che l’ampiamento della portata della disciplina dell’impresa agricola, ha indotto parte della dottrina (Russo, Imprenditore agricolo professionale e fallibilità dell’impresa agricola, in Corr. Mer., 2012, p. 1002, Sannini – Stanghellini, L’imprenditore agricolo insolvente tra fallimento e sovraindebitamento: un caso nel florovivaismo pistoiese, in www.ilcaso.it, 20.7.2015; Stanghellini, Il sottile confine tra impresa agricola e impresa commerciale, in Il Fall., 2017, 1, p. 40) e della giurisprudenza (Cass. 22.2.2019, n. 5342; Cass. 24.5.2018, n. 21176; Cass. 8.8.2016, n. 16614; Cass.10.12.2015, n. 24995; CA Catania, 31.5.2012) a voler indurre anche l’imprenditore agricolo all’esame della propria fallibilità, attraverso l’assoggettamento ai nuovi parametri prettamente commerciali, così come ridefiniti dalla riforma del diritto fallimentare.

Se pur l’esenzione storica dell’imprenditore agricolo dall’assoggettamento al fallimento, fosse giustificata dall’esposizione al rischio meteorologico, pericolo in parte ridotto dalle migliorie tecnologiche, è altrettanto vero che oggi, nonostante la riforma delle procedure concorsuali ed alla vigilia dell’entrata in vigore del nuovo codice della crisi, l’articolo 2135 c.c. <<E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento degli animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco, le acque dolci, salmastre o marine>> ed i soggetti sottoposti alla procedura di fallimento, e restano immutati.

QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA

Nella fattispecie che qui rileva, l’attività di allevamento di animali non può prescindere dallo svolgimento di un ciclo biologico o di una fase di esso, individuandosi in tal modo l’agrarietà dell’attività a prescindere dagli strumenti impiegati (i metodi di produzione possono essere alternativi, si vedano ad esempio culture idroponiche ed allevamento in batteria) e dalla presenza del fondo: nessun dubbio pertanto che l’allevamento di animali in batteria risponda ad una delle attività agricole, anche se intesa nel senso meno tradizionale del termine.

È pur vero che l’estensione avvenuta a seguito della novella del 2001 in materia (Buonocore, Il <<nuovo>> imprenditore agricolo, l’imprenditore ittico e l’eterogenesi dei fini, in Giur. Comm., 2002, I, p.5 e ss; Giuffrida, I nuovi limiti ai poteri dell’imprenditore agricolo, Milano, 2003, p. 33), ha sollevato non poche riserve (Costato, La nuova versione dell’articolo 2135 cod. civ. e la Corte di Cassazione, in Il Fall., 2004, p. 3) in merito al possibile assoggettamento anche dell’imprenditore agricolo al fallimento, potendo già accedere non solo alle procedure “minori” in materia di sovraindebitamento di cui alla legge 3/12, ma soprattutto agli accordi stragiudiziali di composizione della crisi ed alla transazione fiscale (Campobasso, Diritto dell’impresa, in Diritto commerciale, I, 2003, 50 e ss. e Abriani – Motti (a cura di), La riforma dell’impresa agricola, Milano, 2003).

A tal proposito si rileva che gli interventi del legislatore in ambito concorsuale (L 80/2005, D.lgs. 5/06, D.lgs169/2007) non hanno apportato alcuna modifica all’art. 1 l.f., così come la riforma della crisi d’impresa (L. 155/17, D.lgs 14/19 di rimandata entrata in vigore al 1.9.2021 dal D.L. 8.2.20, n. 23) non ha provveduto all’ampliamento delle categorie dei soggetti ai quali è destinato l’istituto della liquidazione giudiziale. Ai sensi dell’art. 1 l.f. oggi in vigore pertanto sono sottoposti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.

Di talché almeno dal punto di vista formale l’iscrizione di un’impresa alla sezione speciale delle imprese agricole, esclude l’immediato assoggettamento della stessa al fallimento. Vincolo preliminare che può essere superato qualora si dimostri che l’impresa agricola non abbia i presupposti dell’art. 2135 c.c. così come novellato.

Appurato che il limite dimensionale dell’attività risulta oggi assorbito dalla portata normativa novellata, non resta che analizzare l’eventuale attività connessa della vendita delle uova. Le attività connesse di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti, di evidente estrazione commerciale, restano assorbite all’attività agricola se presenti i requisiti richiesti della connessione soggettiva ed oggettiva. Il requisito della connessione soggettiva si ritiene superato qualora sia il medesimo imprenditore agricolo ad esercitare l’attività connessa, mentre il requisito oggettivo è specificamente indicato dalla norma, che richiede che i prodotti siano ottenuti <<…prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali..>> (Germanò, Manuale di diritto agrario, Torino, 2010, p. 71 e ss.; Jannarelli, Pluralismo definitorio dell’attività agricola e pluralismo degli scopi legislativi. Verso un diritto agrario post-moderno, in Riv. Dir. Agr., 2006, p. 183). La vendita delle uova dell’impresa Beta è conseguenza dell’allevamento intensivo, trattandosi della commercializzazione del prodotto derivato dall’attività principale.

In ultima analisi, si rileva che l’istituto della soccida, così come previsto dall’art. 2170 c.c., sia essa semplice o industrializzata, è un contratto tipico del mondo agrario, che richiede ai fini soggettivi di stipula e registrazione non solo di essere imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 c.c., bensì di essere produttori agricoli come definiti dal comma 2 dell’articolo 34 D.P.R. 633/72 che individua come tali:

  • coloro che esercitano un’attività tra quelle previste all’articolo 2135 cod. civ.;
  • chi esercita l’attività di pesca in acque dolci ovvero le attività di piscicoltura, mitilicoltura, di ostricoltura e di allevamento di rane e altri molluschi e crostacei;
  • le cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 228/2001, le associazioni e loro unioni, che effettuano cessioni di beni prodotti prevalentemente dai soci, associati o partecipanti, nello stato originario o previa manipolazione o trasformazione;
  • gli organismi agricoli di intervento che operano in applicazione di regolamenti comunitari relativi all’OCM.

A nulla rileva l’esposizione debitoria, né che i ricavi della commercializzazione del prodotto risultino superiori ai proventi dell’allevamento, trattandosi di prevalenza di prodotto rispetto all’eventuale prodotto esterno, l’elemento richiesto dal comma 3 dell’art. 2135 c.c. (Cass. 22.2.2019, n. 5342; Cass. 10.12.2010, n. 24995, in merito alla prevalenza di attività e non di prodotti si veda invece. Cass. 6.11.2014, n. 23719; Cass. 21.1.2013, n. 1344; Cass. 17.7.2012, n. 12215 e Cass. 24.3.2011, n. 6853).

In conclusione, il Tribunale di Rimini, rigetta la richiesta di fallimento, a seguito di un approfondito esame degli elementi che contraddistinguono il “nuovo imprenditore” agricolo, così come delineato dalla riforma del 2001, e rilevando come molti degli elementi che un tempo avrebbero contraddistinto più correttamente l’attività commerciale anziché l’agricola, oggi debbano essere valutati ed inseriti all’interno della nuova formulazione dell’art. 2135 c.c., precisa che << Il carattere intensivo dell’allevamento in batteria non nuoce alla qualificazione dell’attività come agricola, essendo la stessa legata solo alla cura di un ciclo biologico della vita dell’animale o anche di una fase del ciclo stesso, a prescindere dalla quantità di animali allevati>>