26 Marzo 2024

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa: presupposti di ammissibilità

di Carlo Trentini, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Genova, 13 ottobre 2023 – Pres. R. Braccialini – Est. A. Balba

Parole chiave: Accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa – condizioni di ammissibilità – controlli del tribunale

Massima: “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa in tanto possono omologarsi in quanto: i) tutti i creditori siano stati informati dell’avvio delle trattative e posti in condizione di parteciparvi in buona fede: ii) la procedura non abbia carattere liquidatorio; iii) in tutte le categorie, la percentuale degli aderenti sia pari ad almeno il 75%; iv) i creditori cui gli effetti sono estesi siano soddisfatti in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale”.

Riferimenti normativi: Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza art. 61

CASO E SOLUZIONE

Il Tribunale di Genova, a fronte della domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa, sottopone la domanda e i documenti alla stessa allegati ad un puntuale scrutinio del rispetto delle condizioni previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza: la tempestiva e completa informazione di tutti i creditori circa le trattative in corso, con facoltà di parteciparvi secondo buona fede; il carattere non liquidatorio del piano di soluzione della crisi; il rispetto delle percentuali di legge di adesione dei creditori (60% del totale dell’indebitamento; 75% per tutte le categorie in cui sia prevista le estensione degli effetti ai non aderenti; tale ultima percentuale è ridotta al 60% se la procedura fa seguito ad un procedimento di composizione negoziata della crisi, svoltosi regolarmente); la soddisfazione dei creditori estesi in misura non inferiore da quella prevedibile mediante la liquidazione giudiziale.

QUESTIONI

La decisione in commento si presenta interessante costituendo un esempio del corretto esercizio della funzione giurisdizionale nel vaglio da parte del tribunale delle condizioni normativamente previste per l’omologazione di un procedimento rientrante nel subgenus di accordi di ristrutturazione rappresentato dagli accordi ad efficacia estesa.

I precedenti giurisprudenziali pubblicati possono come di seguito enumerarsi.

Trib. Milano 11 febbraio 2016, in Il Fallimento, 2016, 914 con nota di M. Fabiani (relativa ad un procedimento ex art. 182-septies l.fall.) aveva enucleato come di seguito i presupposti necessari per l’estensione degli effetti degli accordi ai creditori non aderenti: a) la sussistenza del presupposto soggettivo (imprenditore commerciale in possesso dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1 l.fall.); b) la sussistenza del presupposto oggettivo (lo stato di crisi); c) il raggiungimento di accordi con creditori che rappresentino almeno il 60% dell’indebitamento complessivo; d) un ammontare dell’indebitamento complessivo verso banche ed intermediari finanziari di almeno il 50% del totale; e) la percentuale di almeno il 75% delle adesioni delle categorie in cui sono suddivisi i creditori bancari e finanziari; f) l’allegazione alla domanda dei documenti di cui all’art. 161 l.fall:, g) la presenza di una relazione di attestazione circa l’attuabilità dell’accordo con particolare riguardo alla soddisfazione dei creditori estranei.

Sempre in tema di accordi con creditori bancari ed intermediari finanziari, da Trib. Napoli 30 novembre 2016, in Il Fallimento, 2017, 841, con nota di M. Aiello, è stato negato che comportasse inammissibilità della domanda il mancato deposito del bilancio ed il rispetto dell’art. 2447 c.c., mentre è stato reputato in violazione degli obblighi informativi e di buona fede nelle trattative, l’omessa indicazione ai creditori dell’esistenza delle garanzie; a tale riguardo, l’omessa informazione sulla presenza delle garanzie è stata considerata tale da far venir meno la valutazione di omogeneità tra crediti assistiti e crediti non assistiti, la discriminazione comportando altresì una diversità anche sotto il profilo dell’interesse economico.

Per Trib. Prato 30 marzo 2020, (est. Brogi), in Il Fallimento, 2021, 537, con nota di I.L. Nocera e in www.ilcaso.it (in cui l’anno – 2020 – è indicato erroneamente come 2021), negli accordi ex art. 182-septies l.fall., il creditore non aderente che si trovi in conflitto d’interessi può non essere computato nel totale ai fini della determinazione del 75% degli aderenti. Tale esclusione non può peraltro essere frutto di una semplice richiesta del debitore, ma l’effetto della verifica giurisdizionale, che tenga conto della distinzione tra conflitto d’interessi e contrasto d’interessi. Ricorre il primo allorquando, patologicamente, la posizione del singolo è opposta a quella degli altri creditori; ricorre il secondo allorquando il singolo creditore giunga alla decisione, se aderire o non aderire, considerati i propri interessi; il conflitto comporta la sterilizzazione della posizione del singolo creditore; il contrasto, invece, non determina tale effetto.

Per quanto specificamente attiene alle questioni riguardanti le categorie, i punti fermi possono come di seguito enunciarsi.

Innanzi tutto, la nozione di categorie è sostanzialmente assimilabile a quella delle classi nel concordato preventivo.

In secondo luogo, considerato il rilievo che, negli accordi ad efficacia estesa, presenta l’estensione degli effetti alla minoranza dei creditori non aderenti, al tribunale incombe uno scrutinio rigoroso, in ordine alla correttezza nella formazione delle categorie, al fine di evitare che creditori che non presentino uniformità di posizione giuridica e d’interessi economici, si vedano limitati i loro diritti.

A completamento, registriamo le seguenti definizioni: per “posizione giuridica”, s’intende “la tipologia dell’operazione creditizia da cui il debito trae origine”; per “interesse economico” s’intende “la tipologia della garanzia di soddisfazione per il creditore, con la conseguente necessità di tenere conto di eventuali garanzie collaterali detenute da altri creditori facenti parte della categoria” (Trib. Forlì 5 maggio 2016, in www.ilcaso.it).

Peraltro, l’erronea ricomprensione di un creditore all’interno di una categoria, se certamente è inidonea a determinare l’estensione degli effetti dell’accordo raggiunto con il creditore impropriamente collocato in quella categoria, non determina, di per sé, il venir meno della possibilità di estendere gli effetti dell’accordo raggiunto con la maggioranza qualificata con gli altri creditori minoritari; il tribunale dovrà infatti vagliare se, operata la prova di resistenza, si possa affermare che, con i creditori di quella categoria, sia stata effettivamente raggiunto l’accordo con creditori che rappresentino quanto meno il 75% del totale degli appartenenti a quella categoria (Trib. Prato 30 marzo 2020, cit.).

Se è poi indubbio che la formazione delle categorie deve rispettare canoni ben precisi, non è invece necessario, almeno secondo un precedente, che la ripartizione dei creditori nelle varie categorie debba manifestarsi mediante individuazione esplicita delle stesse, potendosi ricavare anche implicitamente l’appartenenza di uno o dell’altro creditore ad una determinata categoria (nel caso di specie, si trattava di un creditore appartenente al ceto dei creditori bancari chirografari): Trib. Parma 15 febbraio 2023, in www.ilcaso.it. Quanto ai creditori bancari, per poter predicare l’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici può farsi riferimento, quanto alla prima, alla distinzione tra chirografari e privilegiati (cfr. Trib. Padova 31 dicembre 2016, in Juris Data); quanto alla seconda, all’aspettativa di soddisfazione, soprattutto in presenza di garanzie (Trib. Bergamo 30 marzo 2022 (est. De Simone), in Diritto della crisi); si veda anche Trib. Milano 11 febbraio 2016, cit., che distingue, quanto alla posizione giuridica, tra creditori privilegiati e chirografari, da un lato, nonché a seconda della forma tecnica del titolo del finanziamento (conto corrente, mutuo, etc.) e, quanto all’interesse economico, tra crediti diretti e crediti per fideiussioni rilasciate per altre società del gruppo.

In una pronunzia (Trib. Forlì 5 maggio 2016, cit.) si è affermato che il tribunale, nell’operare la doverosa verifica circa la correttezza nella formazione delle categorie, nel caso in cui accerti l’erronea collocazione di un creditore in una categoria ovvero ravvisi l’erroneità dei criteri adottati, potrebbe procedere ad una riformulazione delle categorie, d’ufficio; oppure potrebbe imporre la creazione di nuove categorie o la modificazione di quelle già create (Trib. Milano 19 luglio 2011, in Dir. fall., 2012, II, 387 – peraltro in una pronunzia relativa ad una procedura di concordato preventivo). Entrambe tali tesi non possono condividersi, perché il tribunale ha il potere di segnalare criticità, non certamente quello d’intervenire sugli accordi, sul piano, sulla formazione delle categorie, il tutto essendo riservato all’autonomia negoziale.

Infine, quanto al tema delle comunicazioni ai creditori, va segnalato come della regola generale circa le modalità di dette comunicazioni (in ispecie, chiaramente, negli accordi ad efficacia estesa) e dei problemi che possono derivarne con riferimento a creditori sprovvisti di PEC si è occupato un precedente (Trib. Ivrea 20 febbraio 2023, in www.ilcaso.it) disponendo che ai creditori, sia stranieri che italiani, non muniti di PEC il ricorso fosse notificato a mezzo posta elettronica ordinaria, con conferma di ricezione, e, in via residuale, nelle forme ordinarie previste dal codice di rito o dalle convenzioni internazionali. In tale precedente il tribunale ha onerato il ricorrente di depositare, all’esito, apposita relazione esplicativa con allegata la documentazione delle notificazioni eseguite.

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