2 Febbraio 2021

Danno da emotrasfusione: se il danneggiato muore nel corso del giudizio deve tenersi conto della durata effettiva della vita

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III, 06.05.2020, n. 8532 – Pres. Frasca – Rel. Scoditti

Risarcimento del danno da emotrasfusione – Indennizzo – Tabelle di Milano – Compensatio lucri cum damno – Cumulo – Scomputo – Criteri.

(art. 2043 c.c., L. 210/1992)

[1] Le somme liquidate ad un soggetto a seguito dell’accertamento del diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV, a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, devono essere scomputate dalle attribuzioni indennitarie previste dalla legge n. 210 del 1992 eventualmente già corrisposte al danneggiato, venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero della Salute) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo.

[2] In caso di intervenuto decesso della parte danneggiata, il danno liquidato secondo le tabelle di Milano deve essere ridotto dal giudice di merito proporzionalmente, avuto riguardo al tempo di effettiva sopravvivenza del danneggiato. In particolare, il giudice di merito dovrà adottare il criterio della proporzione, secondo cui il risarcimento che si sarebbe liquidato a persona vivente sta al numero di anni che questi aveva ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità, come il risarcimento da liquidare a persona già defunta sta al numero di anni da questa effettivamente vissuti tra l’infortunio e la morte.

CASO

L’attore conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Napoli, il Ministero della Salute, onde ottenerne la condanna al risarcimento del danno da contagio da epatite HCV, in conseguenza di emotrasfusione infetta.

In primo grado la domanda veniva rigettata e gli eredi dell’attore, medio tempore deceduto, proponevano gravame avanti alla Corte d’Appello, la quale, sia pure con una motivazione diversa (l’intervenuta prescrizione del diritto), lo rigettava.

Proposto ricorso in Cassazione, la Suprema Corte annullava l’impugnata sentenza.

A seguito della riassunzione del processo, la Corte d’Appello di Napoli nuovamente negava il diritto al risarcimento del danno, in ragione della carenza probatoria circa il decorso della malattia.

Gli eredi soccombenti ricorrevano nuovamente in Cassazione, ove le relative doglianze venivano parzialmente accolte.

SOLUZIONE

Nel caso di persona già defunta al momento del giudizio, il risarcimento agli eredi, da parte del Ministero della Salute, per il danno da contagio da epatite HCV in conseguenza di emotrasfusione, va liquidato secondo le tabelle milanesi e non applicando un criterio “equitativo puro”. L’intervenuto decesso della parte tuttavia comporta che “la valutazione probabilistica connessa all’ipotetica durata della vita del soggetto danneggiato vada sostituita con quella del concreto danno effettivamente prodottosi”. Cosicché l’ammontare del danno biologico che gli eredi richiedono iure successionis deve essere calcolato “non con riferimento alla durata probabile della vita della vittima, ma alla sua durata effettiva”.

QUESTIONI

[1] [2] Con il primo ed il secondo motivo di ricorso, gli eredi del danneggiato hanno denunciato la violazione o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1226 c.c., ai sensi dell’art. 360, co. 1°, n. 3, osservando che il Giudice di seconde cure non aveva applicato, nel caso di specie, le Tabelle del Tribunale di Milano, ma il criterio equitativo puro, sull’erroneo presupposto che il consolidamento dei postumi ed il decesso erano avvenuti quando il danneggiato aveva più di 80 anni ed aveva superato l’aspettativa di vita (secondo le statistiche di mortalità Istat all’incirca 80 anni). Secondo i ricorrenti, invece, la durata della vita media va rapportata ad ogni singola fascia di età e, posto che la vita media è di 82 anni, un soggetto che abbia superato gli 80 anni ha un’aspettativa di vita di circa 12 anni in più.

La Suprema Corte, senza dilungarsi sul punto, ha censurato la decisione della Corte territoriale per aver applicato il criterio equitativo puro in luogo delle tabelle milanesi. Una volta individuato il criterio per la liquidazione del danno, gli Ermellini affermano che il pregiudizio iure hereditatis avrebbe dovuto essere determinato in relazione alla durata effettiva di sopravvivenza del danneggiato, deceduto nel corso del giudizio, e non con riferimento alla durata probabile della vita della vittima.

Sul punto la Cassazione si limita a citare un proprio precedente (Cass. civ., 15.02.2019, n. 4551), che si inserisce in un solido filone giurisprudenziale, secondo cui “ai fini della liquidazione del danno biologico, l’età intanto assume rilevanza in quanto col suo crescere diminuisce l’aspettativa di vita, sicché è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica. Ne consegue che, quando, invece, la durata della vita futura cessa di essere un valore ancorato alla probabilità statistica e diventa un dato noto per essere il soggetto deceduto, allora il danno biologico (riconoscibile tutte le volte che la sopravvivenza sia durata per un tempo apprezzabile rispetto al momento delle lesioni) va correlato alla durata della vita effettiva, essendo lo stesso costituito dalle ripercussioni negative…della permanente lesione dell’integrità psicofisica del soggetto per l’intera durata della sua vita residua” (Cass. civ., 24.10.2007 n. 22338).

Laddove il danneggiato deceda nel corso del giudizio di liquidazione del danno per causa indipendente dal fatto lesivo di cui il convenuto è chiamato a rispondere, la determinazione del danno biologico, che gli eredi del defunto richiedano iure successionis, va effettuata non con riferimento alla durata probabile della vita futura del soggetto ma alla sua durata effettiva (così Cass. civ., 30.06.2015, n. 13331).

Per tenere debito conto della vita effettivamente vissuta dalla vittima, deve essere adottato il criterio della proporzione, secondo cui il risarcimento che si sarebbe liquidato a persona vivente sta al numero di anni che questa aveva ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità, come il risarcimento da liquidare a persona già defunta sta al numero di anni da questa effettivamente vissuti tra l’infortunio e la morte.

Con il terzo motivo i ricorrenti hanno denunciato violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e della legge 210/1992, ritenendo che, ferma la diversa natura delle due erogazioni, il diritto al risarcimento del danno cagionato da una emotrasfusione infetta non viene meno per il fatto che sia già stata riconosciuta l’attribuzione indennitaria.

La pronuncia in commento, decisamente laconica nella motivazione, pur affermando la diversa natura del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusione infetta e l’indennizzo previsto dalla legge 210/1992, tuttavia ritiene che l’attribuzione indennitaria riconosciuta al danneggiato deve essere scomputata dalla somma corrisposta a titolo di risarcimento, venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento, consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero della salute) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass. civ., SS.UU., 11.01.2008, n. 584; Cass. civ., 14.03.2013, n. 6573).

E ciò in quanto opera il principio della compensatio lucri cum damno, in base al quale il danno non deve essere fonte di lucro per il danneggiato e la misura del risarcimento non deve superare quella dell’interesse leso o condurre, comunque, ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato.

Queste le conclusioni della pronuncia in commento; le quali, tuttavia, costituiscono lo spunto per una, sia pur breve, disamina del tema dei rapporti tra risarcimento del danno ed attribuzione indennitaria, secondo la disciplina dettata dalla legge 210/1992, in ipotesi di contagio post-trasfusionale.

L’indennizzo di cui alla citata legge ha carattere assistenziale; è stato cioè istituito per dare un sostegno a soggetti danneggiati in modo irreversibile da trasfusioni o somministrazione di emoderivati in contesto ospedaliero di ricovero, e dunque per il solo fatto di aver riportato un danno irreversibile, in conseguenza e per effetto di emotrasfusione infetta (per l’ipotesi che qui ci occupa). Diversamente il risarcimento del danno presuppone un rapporto, un nesso causale tra fatto illecito e danno.

Tali erogazioni patrimoniali sono oppure no cumulabili? 

Sebbene l’art. 2, co. 1, l. 210/1992 preveda la cumulabilità dell’indennizzo “con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito”, tuttavia è sorto un dibattito nella giurisprudenza di merito sul cumulo o la detrazione delle due erogazioni.

Secondo l’orientamento più risalente (per tutti, v. Trib. Roma, 08.01.2003), l’oggettiva identità del fatto lesivo costituisce un evidente impedimento all’operatività dello scomputo; mentre, l’indirizzo giurisprudenziale più recente (Trib. Bari, 20.03.2004, Trib. Roma, 26.09.2003), valorizzando le funzioni attribuite al risarcimento, nega   il cumulo tra i due tipi di erogazioni patrimoniali.

A dirimere il contrasto sono intervenute le S.S. UU. della Cassazione con la sentenza 11.01.2008, n. 584, che, su una questione analoga a quella in esame, hanno effettuato lo scomputo delle somme corrisposte a titolo di indennizzo, ai sensi della legge 210/1992, dagli importi erogati a titolo di risarcimento del danno, affermando che se così non fosse la vittima si gioverebbe di un ingiustificato arricchimento, dal momento che in relazione allo stesso fatto lesivo si vedrebbe riconoscere sia l’integrale risarcimento del danno, sia l’attribuzione indennitaria, dovute entrambe dal medesimo soggetto (il Ministero della salute).

Successivamente le quattro sentenze pronunciate a Sezioni Unite dalla Cassazione (Cass. civ., SS.UU. 22.05.2018, nn. 12564, 12565, 12566, 12567), aderendo al precedente del 2008, hanno sancito l’operatività dello scomputo in tutti i casi in cui il soggetto responsabile del fatto lesivo e quello tenuto all’erogazione dell’indennizzo coincidano.

A ben vedere, però, l’unicità del soggetto non deve considerarsi risolutiva in quanto, diversamente argomentando, si arriverebbe ad affermare l’operatività della regola del cumulo, laddove l’azione risarcitoria non venga instaurata – come solitamente accade – contro il soggetto pubblico nelle sue varie articolazioni (Ministero della Salute, Asl, strutture ospedaliere pubbliche), con conseguente applicazione della compensatio in virtù del presupposto dell’unicità “sostanziale” del soggetto, ma, ad esempio, nei confronti di una struttura ospedaliera privata.

In tali casi, quindi, la presenza di un rapporto trilaterale determinerebbe la regola del cumulo, nonostante l’indiscussa funzione risarcitoria dei benefici, con ciò determinando una disparità di trattamento ex artt. 3 e 24 cost., basata sul soggetto tenuto ad adempiere alla pretesa risarcitoria.

Inoltre, la teoria del cumulo darebbe luogo ad erogazioni lucrose, compatibili con una funzione punitiva del risarcimento, la quale esula, però, dalla funzione compensativo-riparatoria del risarcimento propria del nostro ordinamento, secondo cui il risarcimento deve riparare la perdita subìta dal danneggiato, rimuovendo le conseguenze negative dell’illecito, senza corrispondere alla vittima nulla di più e nulla di meno, secondo il c.d. principio di indifferenza.

Non può, tuttavia tacersi un mero riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 06.07.2017, n. 16601 che per la prima volta hanno ammesso che l’istituto del risarcimento punitivo “non è …ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano, in quanto la c.d. polifunzionalità del sistema della responsabilità civile è testimoniata da numerosi indici normativi (per tutti l’art. 96 c.p.c. “….che consente la condanna della parte soccombente al pagamento di una “somma equitativamente determinata”, in funzione sanzionatoria dell’abuso del processo), che evidenziano “un’evoluzione della tecnica di tutela della responsabilità civile verso una funzione anche sanzionatoria e deterrente” (Cass. civ., 15.04.2015, n. 7613); funzione riconosciuta anche dalla giurisprudenza costituzionale (C. Cost. 303/2011; 238/2014; 152/2016).