28 Agosto 2018

Cuius commoda… La prova liberatoria del caso fortuito ex art. 2051 c.c. al vaglio della Cassazione

di Mattia Polizzi Scarica in PDF

Cassazione civile, Sez. VI-III, ord. 19 marzo 2018, n. 6703, Pres. Amendola, Est. Scrima

Prova – Onere della prova – Responsabilità aquiliana – Responsabilità per cose in custodia – Prova liberatoria – Caso fortuito – Fondamento – Limiti (Cod. proc. civ., art. 112, 115, 116; cod. civ., art. 1227, 2051, 2056, 2697, 2699 ss.; cod. pen., art. 40)

[1] Il disposto di cui all’art. 2051 c.c. implica che il custode vada esente da responsabilità solo ove provi il caso fortuito, da identificarsi nell’ipotesi in cui l’evento dannoso sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee causate da terzi ovvero in quella in cui l’evento abbia già esplicato la propria potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore del custode, essendo in entrambe le fattispecie inesigibile un tempestivo intervento manutentivo ad opera del custode

Prova – Onere della prova – Responsabilità aquiliana – Responsabilità per cose in custodia – Prova liberatoria – Pubblica Amministrazione – Beni del demanio – Opera (Cod. proc. civ., art. 112, 115, 116; cod. civ., art. 1227, 2051, 2056, 2697, 2699 ss.; cod. pen., art. 40)

[2] La disciplina della responsabilità per cose in custodia di cui all’art. 2051 c.c. e la relativa prova liberatoria operano anche nei confronti della P.A. in relazione ai beni appartenenti al demanio.

CASO

[1-2] Un motociclista cita in giudizio un Comune al fine di ottenere il risarcimento dei danni occorsigli allorché, mentre si trovava alla guida del proprio ciclomotore, perdeva il controllo del mezzo rovinando a terra, in ragione della presenza sulla strada di una chiazza di materiale vischioso, non visibile e non segnalata.

L’adito Giudice di Pace rigetta la domanda, reputando che l’attore non abbia fornito la prova della circostanza costitutiva della propria pretesa.

Il Tribunale, in veste di giudice dell’appello, conferma la sentenza di primo grado, affermando che l’attore non abbia provato da quanto tempo il materiale vischioso fosse presente sulla strada: per l’effetto, nell’opinione del giudicante, “non risulta provata la conoscenza da parte dell’ente obbligato alla manutenzione della strada della macchia di sostanza scivolosa e quindi allo stesso tempo non può essere imputato di non aver effettuato un intervento per eliminarla” (cfr. pag. 6 dell’ordinanza). Tale circostanza rappresenta, secondo la sentenza, il caso fortuito che ai sensi dell’art. 2051 c.c., esclude la responsabilità del custode.

Il motociclista ricorre per Cassazione denunciando la violazione – per ciò che più da vicino interessa – degli artt. 2051 e 2697 c.c., per aver i giudici di merito addossato al danneggiato (e non al custode) l’onere di provare la insussistenza del caso fortuito, così introducendo una sorta di presunzione di caso fortuito.

SOLUZIONE

[1-2] La Suprema Corte accoglie il ricorso, cassando con rinvio al Tribunale la sentenza impugnata. I giudici di piazza Cavour evidenziano come il Tribunale non si sia conformato al principio di diritto più volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, alla luce del quale il disposto dell’art. 2051 c.c. si applica anche alla P.A. (con riferimento ai beni demaniali) ed implica che l’Amministrazione sia liberata dalla responsabilità per danni derivanti dalle cose in custodia solo ove dimostri, con onere a suo carico, che l’evento dannoso sia stato determinato da caso fortuito, ossia “da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione […] la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode (così il punto 4.2 della decisione in nota).

QUESTIONI

[1] La pronuncia in esame costituisce un’ulteriore affermazione di un principio piuttosto consolidato in giurisprudenza, ma non per questo privo di profili di criticità e di ricadute sul piano operativo, ossia quello della esatta latitudine operativa della prova liberatoria in caso di responsabilità derivante da cose in custodia ex art. 2051 c.c. (cfr., ex pluribus, anche con precipuo riferimento alla responsabilità della P.A., Cass., ord. 27 marzo 2017, n. 7805; Cass., 23 marzo 2016, n. 5695; Cass., 22 marzo 2016, n. 5622; Cass., 11 marzo 2016, n. 4768; Cass., 12 marzo 2013, n. 6101; Cass., 18 ottobre 2011, n. 21508; Cass., 18 luglio 2011, n. 15720, in Resp. civ. e prev., 2012, 2, 522 ss., con nota di E. Balucani, Condotta omissiva dell’Ente pubblico e prevedibilità dell’evento dannoso nella responsabilità ex art. 2051 c.c.: due casi a confronto; Cass., 20 novembre 2009, n. 24529; Cass., 3 aprile 2009, n. 8157; Cass., 6 giugno 2008, n. 15042).

Come noto, l’attuale sistema codicistico della responsabilità aquiliana segue la logica di un – per così dire – doppio binario: da un lato il generale principio del neminem laedere, codificato nell’art. 2043 c.c., a norma del quale «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno»; dall’altro le varie ipotesi di responsabilità extracontrattuali speciali codificate, che presentano – spesso con particolare riferimento al criterio di imputazione soggettiva – elementi di differenza rispetto allo schema generale. Tra queste ultime rientra la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., norma che disciplina la responsabilità di danno cagionato da cose in custodia disponendo che «ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito».

Il testo della norma, invero piuttosto scarno, non consente di evincere con certezza la natura di tale forma di responsabilità e getta ombre pure sulla natura della relativa prova liberatoria.

Per alcuni, in analogia con quelli che sono i criteri penalistici di imputazione soggettiva della condotta, la norma introduce un’ipotesi di responsabilità per colpa presunta, con la conseguenza che resta ineludibile la necessità di ravvisare un collegamento psicologico tra condotta ed evento dannoso.

Altri, invece, muovendo da una concezione della causalità più aderente ai principi civilistici – ispirata all’esigenza di allocare un danno, e non tanto a quella di punire un comportamento antigiuridico (cfr. R. Garofoli, Manuale di diritto penale. Parte generale, Roma, 2017, 557 ss.)  – ritengono che l’art. 2051 c.c. altro non rappresenterebbe se non una ipotesi (tra le tante) di responsabilità oggettiva, ispirata al brocardo per cui cuius commoda, eius et incommoda.

Infine, una terza opinione riconosce nella fattispecie de qua una forma di responsabilità semi-oggettiva: la prova liberatoria, dunque, sarebbe raggiunta non solo attraverso l’identificazione di una causa estranea alla sfera di potere custode, ma anche tramite la dimostrazione della condotta diligente del custode stesso, senza che operi – a differenza della prima tesi – alcuna presunzione di colpa.

La giurisprudenza, dal canto proprio, ha per diverso tempo focalizzato la propria attenzione sull’obbligo di diligenza gravante sul custode, in tal modo asseverando la teorica che vede nell’art. 2051 c.c. un’ipotesi di responsabilità (per colpa) presunta.

Tale impostazione è stata superata dalle Sezioni Unite che, con la sent., 11 novembre 1991, n. 12019 hanno optato per la natura oggettiva della responsabilità del custode, evidenziando due punti fondamentali nella materia: in primo luogo l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. al solo c.d. fatto della cosa, con conseguente esperibilità dell’art. 2043 c.c. nel caso in cui il danno sia dovuto al c.d. fatto dell’uomo; in secondo luogo la necessità di tenere presente che il requisito della custodia non deve essere inteso tanto come obbligazione di custodire in termini tecnico-legali, quanto – piuttosto – come mera situazione di fatto. Consegue da tal premessa (alla quale, invero, non tutta la giurisprudenza successiva ha aderito) la sufficienza, per l’attore, di dare prova del solo nesso causale tra cosa e pregiudizio subito, gravando così sul custode l’onere di fornire la prova (liberatoria) del fortuito.

[2] Ulteriore questione inerente il tema in parola è quello della applicabilità o meno dell’art. 2051 c.c. alla P.A.

In riferimento a tale querelle, una parte della giurisprudenza ne ha escluso l’operatività con riferimento al danno causato da beni di rilevanti dimensioni appartenenti alla P.A. (cfr. Cass., 26 settembre 2006, n. 20827; Cass., 23 luglio 2003, n. 11446; Cass., 4 dicembre 1998, n. 12314).

Un altro orientamento pretorio, invece, ne ammette l’applicazione solo qualora la res possa essere oggettivamente governata, presumendo (iuris tantum) la controllabilità delle strade comunali incluse nel perimetro del centro abitato (si v., in tal senso, Cass., 21 luglio 2006, n. 16770; Cass., 12 luglio 2006, n. 15779; Cass., 6 luglio 2006, n. 15383).

Infine, una terza – ad oggi prevalente – impostazione opera un distinguo tra il pericolo «immanentemente comune alla struttura o alla pertinenza» del bene, reputando in tal caso applicabile l’art. 2051 c.c. ed il pericolo «provocato dagli stessi utenti [della strada, n.d.a.] ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa», affermando, per tale evenienza, l’operatività del solo rimedio di cui all’art. 2043 c.c., con il relativo (e maggiormente gravoso per l’attore) onere della prova (cfr. Cass., 19 maggio 2011, n. 11016, in Diritto&Giustizia, 2 giugno 2011, con nota di A. Villa, Volpe in carreggiata: l’autostrada deve rifondere i danni se non prova il caso fortuito; Cass., 23 marzo 2011, n. 6677; Cass., 24 febbraio 2011, n. 4495).

Il vasto – e non del tutto lineare – panorama dottrinale e giurisprudenziale che fa da sfondo al tema della responsabilità ex art. 2051 c.c. consente di salutare con favore l’ordinanza in commento, in quanto tesa a porre dei punti fermi nella materia, senza snaturare la portata letterale della norma, ma, al contempo, evitando «zone franche» da responsabilità.

Sugli argomenti trattati si v., oltre ai contributi già evidenziati, C.M. Bianca, Qualche spunto critico sugli attuali orientamenti (o disorientamenti) in tema di responsabilità oggettiva e di danni da cose, in Giust. civ., 2010, 1, 19 ss.; G. Chinè, M. Fratini, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, Roma, 2017, 2422 ss.; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2015, 729 ss.