5 Luglio 2022

Uso (abuso) della facciata condominiale, alterazione della sicurezza, del decoro architettonico e del peso proporzionale di proprietà

di Ilaria Ottolina, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, seconda sezione civile, sentenza 20 febbraio 2020, n. 4439

Comunione e condominio – parti comuni dell’edificio – facciata – uso della cosa comune senza le concessioni o autorizzazioni – risarcimento del danno per il condominio – esclusione – innovazioni – maggioranze – uso della cosa comune – modificazioni del condomino per il miglior godimento della cosa comune – legittimità – sussiste -tabelle millesimali – presupposto della revisione – non sussiste.

Riferimenti normativi: art. 1102 c.c. – art. 1120 c.c. – art. 1122 c.c. – art. 69 disp. att. c.c.

Massima: “… qualora uno dei condòmini, senza violare i limiti di cui all’art. 1102 c.c., faccia uso della cosa comune (nella specie mediante la costruzione di un comignolo sul tetto dell’edificio), la mera mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative non può essere invocata dal condominio quale fonte di risarcimento del danno, riflettendosi esclusivamente nei rapporti tra il privato e la pubblica amministrazione …”

Massima: “… la norma di cui all’art. 1120 c.c., nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condòmini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l’approvazione di quelle innovazioni che comportino, per tutti i condòmini, oneri di spesa; ma, in caso contrario, opera, in tutta la sua estensione, il principio generale di cui all’art. 1102 c.c., in forza del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condòmini di farne uguale uso secondo il loro diritto e pertanto può apportare, a proprie spese, le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune …” 

Massima: “… in ipotesi di divisione orizzontale in due parti di un appartamento in condominio non si determina alcuna automatica incidenza dell’opera sulle tabelle millesimali ai fini della revisione dei valori delle unità immobiliari, ove non ricorra il presupposto della rilevante alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano, così come richiesto dall’art. 69 disp. att. c.c. …”.

CASO

La sentenza in commento ha ad oggetto l’ennesimo caso di lite riguardante l’utilizzo della cosa comune (segnatamente della facciata condominiale), da parte di una società comproprietaria, evocata in giudizio da altra società titolare di unità immobiliare all’interno del medesimo condominio.

In primo grado, il Tribunale di Milano aveva parzialmente accolto la domanda della ricorrente in cassazione, condannando la società condomina convenuta a ripristinare lo stato del portale di ingresso dell’edificio e a versare una somma a titolo di risarcimento del danno; aveva invece rigettato tutte le altre domande avanzate, con conseguente impugnazione della sentenza da parte dell’attrice solo parzialmente vittoriosa.

La Corte di Appello di Milano confermava la sentenza del primo giudice; in particolare, per quanto interessa in questa sede, rilevava che “… a) i potenziali profili di irregolarità amministrativa concernenti i lavori oggetto di causa, attenendo al rapporto fra il privato e la pubblica amministrazione, erano privi di rilievo nel presente procedimento; … d) diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, dovevano ritenersi oggetto di proprietà comune anche i muri portanti interni alle porzioni di proprietà esclusiva; e) tuttavia, come accertato dal consulente tecnico, alla demolizione di alcuni muri portanti era seguita, da parte della [resistente in Cassazione], un contestuale rinforzo di altre strutture, la cui idoneità era comprovata dall’assenza di fessurazioni o cedimenti di sorta; f) la realizzazione di una soletta interna, comportante la divisione del secondo piano dell’edificio in due piani e la contestuale apertura di sei finestre sulla facciata principale dell’edificio, oltre a non arrecare alcun danno di carattere statico, non avevano comportato pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato; g) … neppure era fondata l’eccezione circa il pregiudizio al pari uso alla quale [la ricorrente in Cassazione] aveva diritto, non essendo dato intendere quale utilizzazione della facciata avrebbe potuto fare quest’ultima, proprietaria di un piccolo locale al pian terreno dell’edificio …”.

La soccombente promuoveva quindi ricorso per Cassazione sulla scorta di quattro motivi, cui resistevano le resistenti con controricorso (la resistente principale provvedeva infatti a citare in giudizio il proprio dante causa).

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, ritenuti infondati tutti i motivi di impugnazione, rigettava il ricorso.

QUESTIONI GIURIDICHE

Tre sono le questioni giuridiche che vale la pena di commentare in questa sede.

1) Generale irrilevanza dell’irregolarità urbanistico-edilizia nei rapporti tra privati (salvo eccezioni)

Il primo principio sancito dalla Suprema Corte riguarda le (eventuali) conseguenze giuridiche, rispetto al condominio, nel caso del condòmino che modifichi il bene comune, al fine del miglior godimento dello stesso, incorrendo in (generiche) irregolarità amministrative.

Ebbene, al riguardo la Cassazione esclude la rilevanza di tale condizione, la quale coinvolge il solo rapporto tra privato proprietario esecutore dei lavori e pubblica amministrazione, come del resto è stato sancito da risalente giurisprudenza in merito al caso della costruzione di un comignolo sul tetto di un edificio[1].

E’ tuttavia evidente che detta irrilevanza giuridica è destinata a venire meno nel momento in cui venisse dimostrato dal condominio che l’opera posta in essere pregiudica, in concreto, la sicurezza, la stabilità o anche il decoro architettonico dell’intero edificio (secondo il disposto di cui all’art. 1122 c.c.)[2].

2) Uso della cosa comune ex art. 1102 c.c. e opere su parti di proprietà o uso individuale ex art. 1122 c.c.: ambito di applicazione e limiti

Il secondo argomento giuridico trattato dalla Corte di Cassazione commentata coinvolge l’art. 1102 c.c. (“Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto …”), posto che il caso di specie riguarda la realizzazione di una nuova unità immobiliare percepibile dall’esterno e dotata di propri ingressi: a questo proposito, la società ricorrente aveva lamentato come le vaste demolizioni di muri portanti avessero violato la predetta disposizione, peraltro concorrendo a modificare il proporzionale diritto di comproprietà sulle parti comuni, di cui all’art. 1118 c.c. (“1. Il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene …”).

A ciò si aggiunga che, secondo le doglianze della parte ricorrente in Cassazione, la realizzazione di un’unità immobiliare visibile sulla facciata condominiale con ingressi indipendenti avrebbe comportato un’innovazione vietata, in quanto incidente sulla stabilità, sull’armonia e sul decoro architettonico dell’edificio (art. 1122 c.c.).

La Suprema Corte, tuttavia, rigetta entrambi i motivi, sia perché non vi erano stati mutamenti di destinazione della cosa comune (segnatamente, la facciata condominiale) – l’opera realizzata dal singolo (a proprie spese), infatti, non aveva impedito agli altri condòmini di utilizzare la parte comune in questione secondo il loro diritto – sia perché le relazioni tecniche, acquisite nel corso dei giudizi di merito, attestavano come le modifiche apportate sulla facciata e sui muri portanti non avessero inciso sulla stabilità, sulla sicurezza e sul decoro architettonico dell’edificio (la Corte in commento, al fine di corroborare la propria decisione sul punto, richiama il caso deciso di Cass. n. 1554/1997, che aveva ritenuto legittima “… l’apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato anche all’apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva …”)[3].

3) Alterazione del peso proporzionale di proprietà delle cose comuni (art. 69 disp. att. c.c.) 

A mente dell’art. 69 disp. att. c.c., I valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all’articolo 68 possono essere rettificati o modificati all’unanimità. Tali valori possono essere rettificati o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, secondo comma, del codice, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione …”.

La ricorrente aveva genericamente affermato che le opere realizzate dal singolo condomino sulle parti comuni avessero comportato un’illegittima appropriazione delle stesse, in ragione dell’aumento proporzionale del suo diritto su di esse.

La Cassazione commentata, tuttavia, ha escluso la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 69 disp. att. c.c., non essendosi concretizzata alcuna “… rilevante alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano …”: invero, è principio consolidato sul punto che “… in materia di condominio negli edifici, le tabelle millesimali, ex art. 69, comma 1, n. 2, disp. att. c.c., possono essere rivedute e modificate (anche nell’interesse di un solo condomino) se è notevolmente alterato il rapporto originario dei valori dei singoli piani o porzioni di piano. Tale notevole alterazione del rapporto tra i valori proporzionali non è necessariamente correlata ad una modificazione materiale dello stabile, potendosi anche avere la creazione di un nuovo piano con mantenimento degli originari valori proporzionali. Compete, perciò, al giudice del merito stabilire, di volta in volta, se il mutamento delle condizioni dei luoghi o le opere realizzate siano tali da implicare la revisione di detti valori e il suo giudizio sul punto, che si concreta in un accertamento di puro fatto, rimane sottratto al controllo di legittimità se risulta sorretto da adeguata motivazione”[4].

— 

[1] Così Cass. civ., sez. II, 08/08/1990, n. 8040, a cui tenore “… In tema di condominio negli edifici, qualora uno dei condomini, senza violare i limiti di cui all’art. 1102 c.c., faccia uso della cosa comune (nella specie mediante la costruzione di un comignolo sul tetto dell’edificio), la mera mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative, non può essere invocata dal condominio quale fonte di risarcimento del danno, riflettendosi esclusivamente nei rapporti tra il privato e la p. a.”.

[2] “Con riguardo ad edificio in condominio, per cui il regolamento condominiale prevede l’assoluto divieto di sopraelevazione, l’erezione da parte del proprietario dell’ultimo piano di un comignolo sul tetto di proprietà comune per la fuoriuscita del fumo di un camino installato nella sua abitazione, ove non comporti pregiudizio per la stabilità e la sicurezza del fabbricato ovvero l’alterazione del suo decoro architettonico, non costituisce innovazione vietata ai sensi dell’art. 1122 c.c. bensì una mera modificazione del tetto comune, consentita a termini dell’art. 1102 c.c., allorquando non incida sulla sostanza e struttura del bene comune, sì da alterare l’originaria ed unica funzione di copertura dell’edificio, senza impedire agli altri condomini l’eventuale identico uso del tetto stesso (Cass. n. 8040/1990, cit.).

[3] Si veda Corte di Appello di Bologna, I sez. civile, sentenza 13/05/2020, n. 1244, in cui si legge che “… Il legislatore, pur riconoscendo espressamente ad ogni partecipante il diritto della cosa comune nella sua interezza, pone due limitazioni all’esercizio di tale diritto: la prima di natura quantitativa, consiste nell’obbligo imposto a ciascun compartecipe di non impedire agli altri comunisti di fare parimenti uso della cosa comune, secondo il proprio diritto; la seconda di natura qualitativa, in base alla quale in nessun caso la volontà e l’azione del compartecipe, che si serve della cosa comune, può spiegare un’efficacia tale da mutare la funzione attuale e specifica alla quale la cosa comune appare essere stata destinata …” (sia consentito rinviare al commento alla predetta sentenza di OTTOLINA I., “Indebito trasferimento del diritto edificatorio dalla res in comunione a quella di proprietà esclusiva”, in www.eclegal.it, edizione del 24/11/2020). Ancora, ex multis, si vedano Cass. civ., 12/02/1993, n. 1781; Cass. civ. 27/12/2004, n. 24006; Cass. civ., 21/12/2010, n. 25872; Cass. civ., 14/11/2014, n. 24295; Cass. civ., 05/12/2018, n. 31462.

[4] Cass. civ., sez. II, ord. 17/06/2021, n. 17391.

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