12 Giugno 2018

Sulle conseguenze della violazione del Protocollo siglato il 17.12.2015 dalla Cassazione e dal Consiglio Nazionale Forense

di Piervito Bonifacio Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. I, 24 aprile 2018, n. 10112, Pres. Genovese – Rel. Di Marzio

[1] Cassazione civile – Ricorso – Contenuto del ricorso – Protocollo del 17 dicembre 2015 sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria – Violazione – Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 366)

La violazione delle regole per la redazione del ricorso per cassazione secondo il Protocollo siglato il 17 dicembre 2015 dalla Corte di cassazione e dal Consiglio nazionale forense, a mezzo dei loro presidenti, in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria, dà luogo ad inammissibilità, laddove tale violazione implica la violazione – non già, ovviamente, del Protocollo in sé, bensì – del dato normativo di riferimento, ed in particolare delle norme relative al contenuto del ricorso, nell’interpretazione recepita nello stesso Protocollo.

CASO

[1] L.F e La.Ce. proponevano domanda volta ad ottenere la declaratoria di nullità, annullamento o risoluzione di talune operazioni di investimento da loro poste in essere nell’ambito di un contratto quadro stipulato con un intermediario finanziario. La domanda veniva rigettata e anche l’appello proposto contro la sentenza di primo grado veniva respinto.

L.F. e La.Ce. proponevano, pertanto, ricorso per cassazione con cui denunciavano, tra gli altri, l’errore in cui era incorsa la Corte d’appello nel ritenere privo di specificità il motivo con cui si lamentava l’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario.

SOLUZIONE

La Suprema Corte rigettava il ricorso, dichiarandolo inammissibile, per violazione dei principi di specificità e autosufficienza, come recepiti nel Protocollo del 17 dicembre 2015, nella parte in cui i ricorrenti non avevano fornito alcuna indicazione circa la collocazione e la rilevanza degli atti e dei documenti da cui si sarebbe dovuto desumere l’errore della Corte d’appello.

QUESTIONI

Con la pronuncia in oggetto la Suprema Corte, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ha richiamato espressamente il Protocollo d’intesa siglato il 17.12.2015 tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria (in questa Rivista, 18 gennaio 2016, con commento di R. Donzelli). Tale Protocollo veniva stipulato non già per colmare una lacuna legislativa, ma per far fronte a due esigenze di carattere pratico: da un lato, arginare il «sovradimensionamento» dei ricorsi per cassazione in ossequio ai canoni di «sinteticità» e «chiarezza»; dall’altro, definire «i precisi limiti» del principio di autosufficienza, la cui applicazione aveva spesso assunto «i caratteri dell’abnormità, arbitrarietà e talora dell’ingiustizia» (F. Santangeli, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2012, 611), ed era, in parte, la causa del sovradimensionamento dei ricorsi.

A tal fine, nel Protocollo sono state dettate prescrizioni relative alla redazione dei ricorsi ed è stata definita l’esatta portata del principio di autosufficienza, il cui rispetto «non comporta un onere di trascrizione integrale» degli atti e dei documenti ai quali si faccia riferimento, ma piuttosto un onere di «specifica indicazione del luogo» dell’atto o del documento al quale ci si riferisce, nonché del tempo del relativo deposito. Peraltro, si è precisato che il mancato rispetto delle prescrizioni relative alla redazione dei ricorsi non comporta l’inammissibilità o l’improcedibilità degli stessi («salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge»), ma è valutabile ai fini della liquidazione delle spese del giudizio.

In ordine alla portata applicativa del Protocollo sono state avanzate diverse opzioni.

Secondo alcuni si tratterebbe di una regolamentazione pattizia che si inserisce nel regime legale del ricorso per cassazione e ne completa la disciplina, delineando «raccomandazioni» valevoli tanto per gli avvocati nella redazione dei ricorsi, quanto per i giudici nell’applicazione del principio di autosufficienza (C. Punzi, Il principio di autosufficienza e il «Protocollo d’intesa» sul ricorso in Cassazione, in Riv. dir. proc., 2016, 585 ss.).

Secondo altri, pur trattandosi di una «mera raccomandazione», il Protocollo ha «ricadute delicatissime in punto di allocazione delle spese» e costituirebbe un accordo con cui gli avvocati avrebbero rinunziato alla libertà «di modulare, secondo logica ed esperienza, il contenuto dei propri scritti difensivi», a fronte della promessa che la Cassazione avrebbe abbandonato l’indirizzo assai restrittivo in tema di c.d. autosufficienza (A. Panzarola, La difesa scritta ed orale in cassazione dopo il Protocollo d’intesa Mascherin-Santacroce e la legge 25 ottobre 2016 n. 197, in Il giusto processo civile, 2016, 1061 ss.).

Altri ancora hanno sostenuto che il Protocollo ha valore di soft law ed impone, in ossequio al principio di autosufficienza, un onere di localizzazione «interna» ed «esterna» degli atti e dei documenti cui ci si riferisce all’interno del ricorso (C. Consolo, Il ricorso per cassazione tra sinteticità e completezza – il Protocollo redazionale CNF-Cassazione: glosse a un caso di scuola di soft law (…a rischio di essere riponderato quale hard black letter rule), in Giur. it., 2016, 2768 ss.).

Parte della dottrina, poi, ha sottolineato come il Protocollo, pur costituendo un «accordo processuale» dall’efficacia persuasiva, ha una valenza peculiare sia perché frutto dell’accordo di soggetti istituzionali, sia perché detta regole la cui violazione è «correlata alla valutazione che il giudice compie nella liquidazione delle spese» (I. Pagni, Il ricorso per cassazione tra sinteticità e completezza – chiarezza e sinteticità negli atti giudiziali: il Protocollo d’intesa tra Cassazione e CNF, in Giur. it, 2016, 2768 ss.).

Da ultimo, infine, si è rilevato che il Protocollo, pur non delineando una nuova ipotesi di inammissibilità, crea un dovere istituzionale di interpretare l’art. 366 c.p.c. (e, dunque, la norma sui requisiti di contenuto-forma) in conformità a quanto in esso sancito, in considerazione della circostanza che «esso è frutto di una decisione “concordata”, che, dal punto di vista della Corte esprime e preannuncia la volontà di osservarlo» (R. Frasca, Glosse e commenti sul protocollo per la redazione dei ricorsi civili convenuto fra Corte di cassazione e Consiglio nazionale forense, in www.judicium.it).

Quest’ultima sembrerebbe l’opzione accolta dalla Suprema Corte che, nella pronuncia in commento, precisa che «il Protocollo testimonia di un condiviso orientamento interpretativo che ha la sua base nel dato normativo, sia per quanto attiene all’esigenza di specificità, sia per quanto attiene all’esigenza di autosufficienza, sicché legittima l’interpretazione della norma in conformità al protocollo, con l’ulteriore conseguenza che la violazione delle regole del protocollo dà luogo ad inammissibilità laddove esso rifletta opzioni interpretative di quel dato».

Pertanto, l’inammissibilità non può discendere dalla violazione del Protocollo in quanto tale, ma soltanto dalla violazione del dato normativo relativo ai requisiti di contenuto-forma del ricorso, secondo l’interpretazione recepita nel Protocollo.

In particolare, la Suprema Corte richiama i requisiti di specificità e di autosufficienza.

Il primo viene inteso come requisito intrinseco del ricorso per cassazione, essendo quest’ultimo diretto a «demolire il provvedimento impugnato in ragione della sussistenza di uno dei vizi normativamente previsti, con la conseguente necessità di individuare il vizio e spiegare in qual modo esso si annida nella decisione impugnata». Ciò in conformità al consolidato orientamento secondo cui il principio di specificità del ricorso per cassazione «è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorché la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo» (Cass., sez. III, 4 marzo 2005, n. 4741).

Quanto, invece, al requisito dell’autosufficienza, la Corte recepisce «l’orientamento più elastico», secondo cui tale requisito si concreta nella mera indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso, con la specificazione della sede processuale in cui essi risultino prodotti, e a patto che sia rispettato l’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369, co. 2, n. 4, c.p.c., relativo al deposito di tali atti e documenti (Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161).

In relazione a ciò, occorre, tuttavia, sottolineare che, nonostante il Protocollo dovrebbe avere portata bilaterale e operare anche nei confronti della Suprema Corte, quest’ultima, anche in epoca successiva alla sua sottoscrizione, ha talvolta continuato ad intendere rigidamente il principio di autosufficienza come onere di trascrizione del contenuto (quanto meno essenziale) degli atti e dei documenti richiamati (si vedano, ex multis, Cass., sez. V, 3 febbraio 2016, n. 2093; Cass., sez. VI – 3, 10 agosto 2017, n. 19985; Cass., sez. V, 16 febbraio 2018, n. 3830; Cass., sez. lav., 3 aprile 2018, n. 8148). Con la conseguenza che, al fine di evitare pronunce di inammissibilità (per difetto di autosufficienza o, eventualmente, di specificità), sembrerebbe tuttora opportuno, in via cautelativa, provvedere, oltre che alla mera indicazione, anche alla riproduzione, per lo meno indiretta e, dunque, riassuntiva, del contenuto dell’atto o del documento richiamati (nel senso che il Protocollo non abbia escluso, ma piuttosto confermato un onere di riproduzione diretta o indiretta dell’atto o del documento richiamato si veda R. Frasca, op. cit.).