10 Gennaio 2023

Riparto dell’onere probatorio nell’opposizione all’esecuzione

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2022, n. 15376 – Pres. Vivaldi – Rel. Rubino

Massima: “Nel giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., l’opponente ha veste sostanziale e processuale di attore e l’10 altrettanti motivi di opposizione e la causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione, come tali soggette al regime sostanziale e processuale della domanda. Nel caso di condanne condizionate o da integrare con dati extratestuali, l’opposto, in caso di tempestiva contestazione avanzata dal debitore, dovrà dimostrare, oltre all’esistenza del titolo, anche l’avveramento della condizione o il dato che integra il dispositivo, ovvero, in caso di condanna a titolo di rivalsa, il pagamento delle somme che intende ripetere, trattandosi di elemento costitutivo della fattispecie posta a fondamento del credito azionato”.

CASO

Nell’ambito di una vicenda negoziale avente per oggetto la vendita simulata di un immobile, l’alienante, convenuto in giudizio dall’acquirente formale che ne chiedeva la condanna alla cancellazione delle formalità pregiudizievoli, chiamava in causa l’acquirente effettivo affinché venisse condannato a manlevarlo da tutti gli oneri conseguenti all’accoglimento delle domande formulate nei suoi confronti.

La richiesta di manleva, respinta in primo grado, veniva accolta in appello; in forza della sentenza così emessa, l’alienante notificava all’acquirente effettivo un atto di precetto, intimandogli il pagamento delle somme che aveva dovuto corrispondere all’acquirente formale.

Avverso detto precetto veniva proposta opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., respinta dal Tribunale di Catania, con sentenza che veniva riformata in appello, essendo risultato che il precettante non aveva fornito la prova di avere pagato alcunché all’acquirente formale, sicché non era stata dimostrata la sussistenza del presupposto della rivalsa.

La sentenza della Corte d’Appello di Catania veniva gravata con ricorso per cassazione, con il quale si lamentava l’erronea applicazione dei principi in tema di riparto degli oneri probatori.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione, pur confermando che colui che promuove l’esecuzione forzata sulla base di una sentenza di condanna a titolo di rivalsa è, di norma, tenuto a documentare l’effettivo esborso delle somme per le quali agisce in ripetizione, costituendo ciò elemento integrativo dell’efficacia esecutiva del titolo, ha accolto il ricorso, dal momento che, nel caso di specie, il debitore opponente, con l’atto introduttivo dell’opposizione proposta ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c., si era limitato a formulare contestazioni in ordine all’esatta interpretazione del titolo esecutivo, mentre non aveva eccepito il mancato pagamento da parte del creditore (circostanza introdotta solo nel corso del giudizio di appello): trattandosi di fatto rimasto estraneo al thema decidendum et probandum, doveva escludersi che in capo al creditore fosse insorto l’onere di fornirne la dimostrazione.

QUESTIONI

[1] Nella vicenda portata all’attenzione dei giudici di legittimità, il creditore aveva notificato un atto di precetto in forza di una sentenza di condanna a titolo di rivalsa, diretta a consentirgli di recuperare le somme pagate a un terzo soggetto e, come tali, non determinate nel quantum nel titolo esecutivo, essendo il loro effettivo ammontare quantificabile soltanto ex post, a seguito dell’effettivo esborso sostenuto.

Avendo il destinatario dell’atto di precetto proposto opposizione pre-esecutiva ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c., respinta in primo grado ma giudicata fondata in appello, la Corte di Cassazione, con la sentenza che si annota, ha fornito interessanti precisazioni in merito al riparto degli oneri probatori nei giudizi di opposizione all’esecuzione.

In linea generale, quando il debitore contesta il diritto del creditore a procedere esecutivamente nei suoi confronti perché il credito non è assistito da un titolo esecutivo, l’accertamento dell’idoneità di quest’ultimo a legittimare l’azione esecutiva si pone come preliminare ai fini della decisione sui motivi di opposizione.

Fatta questa premessa, per individuare le regole sul riparto dell’onere della prova nei giudizi di opposizione all’esecuzione, occorre avere riguardo alla posizione sostanziale delle parti rispetto al rapporto dedotto in giudizio.

Di conseguenza:

  • in presenza di titolo esecutivo formatosi nei confronti di un determinato soggetto, sarà il creditore procedente, convenuto in giudizio dal debitore opponente, a dover fornire la prova che il titolo esecutivo esiste ed è stato emesso nei confronti del destinatario dell’azione esecutiva (ovvero che quest’ultimo è successore di colui che è contemplato nel titolo);
  • se l’esecuzione è stata avviata ai danni del soggetto contemplato nel titolo, spetterà all’esecutato opponente dare la prova del fatto sopravvenuto, idoneo a incidere sulla sussistenza delle condizioni formali per l’esercizio dell’azione esecutiva, che rende inopponibile o ineseguibile nei suoi confronti il titolo esecutivo.

Questa regola generale può, peraltro, operare nel solo caso in cui il provvedimento giurisdizionale di condanna contenga in sé tutti gli elementi utili per la quantificazione della pretesa creditoria azionata; diversamente, vale a dire quando sia necessario procedere a un’integrazione del portato testuale del titolo esecutivo, ovviamente nel limite in cui può essere ammessa, è il creditore a dover fornire la prova (anche) del dato extratestuale, che va a integrare il titolo esecutivo, qualora vi sia contestazione sul punto.

Lo stesso è a dirsi in caso di condanna condizionata, la cui efficacia è subordinata al verificarsi di un evento futuro (circostanza che dev’essere provata dal creditore procedente), nonché di condanna disposta a titolo di rivalsa (che, sebbene presupponga l’avvenuto pagamento – da parte di colui in favore del quale è emessa – di quanto deve formare oggetto della rivalsa medesima, può essere pronunciata anche in via anticipata, fermo restando che il diritto sorgerà in capo al beneficiario della condanna solo a seguito dell’effettivo esborso, da parte sua, della somma di cui potrà chiedere la rifusione).

Non costituisce, invece, titolo esecutivo la sentenza di condanna generica, con la quale, ai sensi dell’art. 278 c.p.c., il giudice abbia dichiarato il diritto di ottenere il risarcimento del danno, rimettendone, tuttavia, la liquidazione a un momento successivo, ovvero a un diverso e separato giudizio: come affermato da Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2021, n. 27686, infatti, quando nella sentenza non sia precisato in termini monetari l’ammontare del risarcimento, né siano enunciati in maniera completa i parametri per determinarlo, è esclusa in radice la configurabilità di un titolo esecutivo, non potendosi né individuare una statuizione di condanna al pagamento di un importo determinato, né quantificare la misura della prestazione spettante all’interessato mediante semplici operazioni aritmetiche, eseguibili sulla base di elementi di fatto contenuti nella medesima sentenza o mediante il richiamo a criteri di legge senza un ulteriore intervento del medesimo o di un altro giudice.

In presenza di una condanna a titolo di rivalsa, dunque, il creditore opposto non può limitarsi ad allegare il possesso di un titolo esecutivo valido ed efficace, ma dovrà – a fronte delle contestazioni mosse in proposito dal debitore opponente – dimostrare che si sono concretizzate le condizioni per l’esercizio dell’azione esecutiva fondata su quel titolo e incidenti sull’esistenza del credito: l’onere della prova, quindi, riguarderà propriamente l’avvenuto pagamento (trattandosi della circostanza che dà diritto di agire ai danni del debitore per la ripetizione degli esborsi sostenuti, o, in altre parole, dell’elemento integrativo dell’efficacia esecutiva del titolo giudiziale) e, qualora la sentenza che dispone la condanna in rivalsa non predetermini il quantum, l’entità della somma corrisposta.

Tali principi, tuttavia, vanno coordinati con quello della domanda nell’ambito dei giudizi di opposizione, dal momento che le eccezioni sollevate dall’opponente, che ha veste sostanziale e processuale di attore, per contrastare l’azione esecutiva minacciata nei suoi confronti, costituiscono la causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione, sicché non possono essere mutate in corso di causa, né il giudice è autorizzato ad accogliere l’opposizione per motivi diversi da quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorché si tratti di eccezioni rilevabili d’ufficio.

Nella fattispecie esaminata, è stato evidenziato che l’eccezione di mancata prova dell’avvenuto pagamento, che avrebbe onerato il creditore opposto della dimostrazione di aver effettivamente corrisposto le somme per le quali agiva in rivalsa sulla base del titolo che a tanto lo legittimava, non risultava essere stata introdotta, da parte del debitore opponente, fin dall’inizio del giudizio di opposizione a precetto, ma, per la prima volta, soltanto in appello.

Non avendo avuto ingresso tempestivamente nel giudizio di opposizione, la questione dell’assenza di prova in ordine al pagamento della somma per cui era stato intimato il precetto in forza della condanna a titolo di rivalsa non aveva contribuito all’individuazione e alla perimetrazione del relativo thema decidendum, con la conseguenza che, in capo al creditore, non poteva reputarsi insorto l’onere di dimostrare tale circostanza.

In definitiva, poiché il mancato pagamento delle somme per le quali la sentenza che aveva disposto la condanna a titolo di rivalsa non faceva parte delle eccezioni formulate dall’opponente, il creditore opposto non era tenuto a documentare di avere sostenuto un tale esborso, sicché i giudici di merito non avrebbero dovuto accogliere l’opposizione, assumendo la mancata evasione di un onere probatorio che, in realtà, non gravava sul creditore, a differenza di quanto sarebbe accaduto se l’opposizione fosse stata fondata proprio su tale circostanza.

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