14 Luglio 2020

Riduzione del canone di affitto per impossibilità parziale della prestazione dell’affittante durante la pandemia di Coronavirus

di Valerio Sangiovanni, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Roma, 29 maggio 2020

Parole chiave

Affitto d’azienda – Pagamento dell’affitto – Impossibilità della prestazione dell’affittante – Impossibilità parziale della prestazione – Corrispondente riduzione dell’affitto

Massima

In tema di contratti di affitto d’azienda, essendo – in forza di provvedimento legislativo (factum principis) – rimasti chiusi i locali nei quali viene svolta l’attività aziendale nel periodo dall’11 marzo 2020 al 18 maggio 2020, è divenuta temporaneamente e parzialmente impossibile la prestazione del affittante, con la conseguenza che l’affittuario ha diritto a una riduzione dell’affitto.

Disposizioni applicate

Art. 2562 c.c. (affitto dell’azienda), art. 1464 c.c. (impossibilità parziale)

CASO

La fattispecie affrontata dal Tribunale di Roma può essere così riassunta. Fra le parti è stato concluso un contratto di affitto di azienda, relativo a un negozio sito in un centro commerciale romano, che prevede che sia pagato un affitto mensile di circa € 6.600. A causa delle misure di contenimento, il negozio rimane chiuso per un periodo di poco più di due mesi (e precisamente dall’11 marzo 2020 al 18 maggio 2020). L’affittuario, non avendo alcun introito dagli incassi durante questo periodo, si trova in difficoltà a pagare gli affitti mensili. L’affittuario era in realtà già moroso per altri importi rispetto ai quali era intervenuto un accordo transattivo, che prevedeva il pagamento di circa € 49.000 a saldo e stralcio. L’affittuario, non essendo in grado di far fronte a questi due pagamenti in conseguenza della chiusura per pandemia, chiede in via d’urgenza al Tribunale di Roma che inibisca i pagamenti.

SOLUZIONE

Il Tribunale di Roma ritiene che le misure di contenimento rendano parzialmente impossibile la prestazione dell’affittante, con conseguente riduzione del canone di affitto. Tuttavia, rigetta la domanda cautelare dell’affittuario, non potendosi configurare alcun periculum in mora, poiché la somma che l’affittuario è tenuto a pagare per gli affitti ridotti nei mesi di sospensione è modesta, e il suo pagamento non è in grado di generare un pregiudizio imminente e irreparabile per l’affittuario. Questi difatti risulta debitore di altre, e molto maggiori, somme nei confronti dell’affittante.

QUESTIONI

L’art. 1464 c.c. prevede che “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta”. Nel contratto di affitto d’azienda, le prestazioni tipiche delle parti sono:

  • per l’affittante, mettere a disposizione il godimento del bene produttivo (nel caso affrontato dalla decisione di Roma si trattava di un negozio in un centro commerciale);
  • per l’affittuario, pagare regolarmente gli affitti.

Si è verificata, nel caso di specie, un’impossibilità della prestazione?

Partendo dalla prestazione dell’affittuario (pagare gli affitti), la giurisprudenza è orientata nel senso che una prestazione fungibile come quella di pagare delle somme di danaro non diventa mai impossibile. Certo che il debitore potrebbe non avere danaro, ma ciò non lo libererebbe dalla sua obbligazione; non si potrebbe insomma invocare l’impossibilità della prestazione per andare esenti da responsabilità, per il solo fatto di non disporre della provvista per pagare.

Un ragionamento più articolato va svolto con riferimento alla prestazione dell’affittante. La legge prevede che “l’affittante è tenuto a consegnare la cosa … in istato da servire all’uso e alla produzione a cui è destinata” (art. 1617 c.c.). Sotto questo profilo non possono muoversi contestazioni all’affittante, che ha consegnato all’affittuario le chiavi del negozio. Si tratta del resto di una disposizione che concerne il momento della consegna del bene, e non le vicende successive.

Esiste poi una disposizione speciale, in tema di affitto, in forza della quale “se, in conseguenza di una disposizione di legge … o di un provvedimento dell’autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere chiesto un aumento o una diminuzione del fitto” (art. 1623 comma 1 c.c.). Questa norma potrebbe reputarsi applicabile al caso di specie, e giustificare almeno una diminuzione del fitto. Si noti tuttavia che, secondo un precedente della Corte di cassazione (5 marzo 2018, n. 5122), il riequilibrio del piano contrattuale in conseguenza di un provvedimento autoritativo che abbia alterato l’originaria previsione negoziale, ai sensi dell’art. 1623 c.c., è legittimamente disposto dal giudice, su richiesta della parte che risenta della perdita, con decorrenza dalla domanda giudiziale, non potendo essere disposta l’applicazione retroattiva del rimedio.

Il Tribunale di Roma, nell’ordinanza in commento, non dà applicazione all’art. 1623 c.c. (norma speciale per l’affitto), ma all’art. 1464 c.c. (norma generale valevole per tutti i contratti). E in effetti la prestazione dell’affittante è divenuta impossibile per effetto delle misure di contenimento. Il Tribunale di Roma specifica che si tratta di un’impossibilità:

  • temporanea;
  • parziale.

Secondo il Tribunale di Roma, l’impossibilità della prestazione dell’affittante è temporanea, perché dura solo per il periodo in cui – in forza di provvedimento legislativo – il negozio è chiuso. L’impossibilità della prestazione è altresì parziale, perché l’azienda – seppure chiusa – non perde del tutto la sua utilità. Secondo il giudice romano, vero è che non si sono potute effettuare vendite dall’11 marzo 2020 al 18 maggio 2020; tuttavia il bene oggetto dell’affitto (ossia i locali) ha mantenuto una residua utilità per l’affittuario: i locali sono serviti quantomeno come magazzino. Il Tribunale di Roma ritiene che la prestazione sia divenuta impossibile nella misura del 70% e riduce l’affitto in misura corrispondente (70%) esclusivamente per il periodo di chiusura (e non per il periodo anteriore né per quello successivo).

Pur dando dunque parzialmente ragione nel merito al ricorrente, il Tribunale di Roma non concede la misura cautelare richiesta. Oggetto del contendere difatti non era solo la debenza degli affitti nel periodo di due mesi di chiusura, ma anche il pagamento di affitti arretrati. La somma dovuta per arretrati oggetto di transazione ammontava a circa € 49.000 (ed era ancora dovuta nella misura di circa € 43.000), mentre gli affitti ridotti ammontano a circa € 10.000. Secondo il Tribunale di Roma, gli arretrati sono certamente dovuti dall’affittuario e non possono essere ridotti per via della pandemia, trattandosi di somme maturate prima delle misure di contenimento. Per l’emissione di un provvedimento d’urgenza, la legge richiede che il diritto fatto valere “sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile” (art. 700 c.p.c.). Secondo il Tribunale di Roma, non vi è pregiudizio imminente e irreparabile perché l’importo di € 10.000 è di molto inferiore all’importo di € 43.000, comunque dovuto. Se l’affittuario è in grado di pagare l’importo maggiore, dovrebbe essere in grado di pagare – in aggiunta – anche l’importo inferiore.