9 Gennaio 2024

I rapporti tra la disciplina della responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti di cose immobili ex art. 1669 c.c. e l’azione generale di responsabilità extracontrattuale

di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. II, 10 novembre 2023, n. 31301 – Pres. Di Virgilio, Rel. Trapuzzano

Parole chiave:

Appalto – Responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetto di cose immobili – Azione generale di responsabilità extracontrattuale – Rapporti – Specialità.

Massima: “Poiché la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all’art. 2043 c.c., l’applicazione dell’art. 2043 c.c. può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione di responsabilità previsti dall’art. 1669 c.c., e non già al fine di superare i limiti temporali entro cui l’ordinamento positivo appresta la tutela specifica, ovvero senza poter “aggirare” il peculiare regime di prescrizione e decadenza che connota l’azione speciale”. 

Disposizioni applicate:

Art. 1669 c.c., art. 2043 c.c. 

CASO

Tizio e Caio convenivano in giudizio la società Alfa per sentire accertare la presenza di una serie di difetti di costruzione dell’immobile acquistato dal costruttore e accogliere le seguenti pretese, fondate sull’art. 1669 c.c.: la riduzione del prezzo di cessione dell’immobile per la violazione della normativa in materia di requisiti acustici passivi; il risarcimento in forma specifica per la violazione della normativa in materia di isolamento termico degli edifici, o, in alternativa, il risarcimento per equivalente; il risarcimento in forma specifica per violazioni afferenti all’esecuzione di opere strutturali ed inerenti ai solai e, quindi, al ripristino a regola d’arte dello stato dei luoghi o, in alternativa, al risarcimento per equivalente.

Si costituiva in giudizio Alfa, la quale contestava l’ammissibilità e la fondatezza delle domande avversarie ed eccepiva l’intervenuta decadenza e la maturata prescrizione dell’azione ex art. 1669 c.c., con riferimento a tutti i vizi contestati.

Gli attori, con memoria depositata ai sensi dell’art. 183, comma 6°, n. 1, c.p.c. (secondo la formulazione vigente ratione temporis), modificavano la domanda, invocando, in alternativa all’azione ex art. 1669 c.c., l’azione generale di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. in ordine ai medesimi fatti contestati.

Il giudice di primo grado rigettava l’eccezione di decadenza dell’azione ex art. 1669 c.c., ma pur ritenendo che tale ultima azione fosse prescritta, escludeva che la prescrizione estintiva fosse maturata per l’azione di responsabilità aquiliana generale proposta, ritenendo quest’ultima una mera precisazione della domanda originaria e non già un suo radicale mutamento.

Decidendo sul gravame proposto da Alfa, la Corte d’appello confermava integralmente la sentenza impugnata.  Avverso tale pronuncia, Alfa proponeva allora ricorso per cassazione, lamentando la violazione o falsa applicazione degli artt. 1669 e 2043 c.c., per avere la Corte di merito sussunto i fatti nell’ambito dell’art. 2043 c.c., interpretando detta norma erroneamente e scavalcando correlativamente la portata precettiva ed ermeneutica dell’art. 1669 c.c. Obiettava infatti la ricorrente che la Corte distrettuale (così come il Tribunale) avrebbe giustificato la posizione di parte attrice, ritenendo che le azioni di cui agli artt. 1669 e 2043 c.c. sarebbero interscambiabili e rimettendo liberamente la scelta dell’una o dell’altra alla parte committente, cosicché sarebbe stato violato il principio di specialità che governa i presupposti di integrazione delle due fattispecie. Aggiungeva inoltre l’istante che, qualora su edifici o immobili di lunga durata, nel corso del decennio dal loro compimento, si presentino vizi importanti di costruzione o pericolo di rovina o gravi difetti, il committente dovrebbe invocare l’art. 1669 c.c., rispettando i limiti temporali previsti, ossia sia il termine di decadenza sia il termine di prescrizione, non potendo ricorrere allo strumento generale di cui all’art. 2043 c.c. per eludere tali decadenze e prescrizioni.

SOLUZIONE

Al fine di risolvere la questione sottoposta alla sua attenzione, la Suprema Corte muove dall’inquadramento sistematico dell’azione regolata dall’art. 1669 c.c.

Secondo costante giurisprudenza, pur presupponendo un rapporto contrattuale, la fattispecie delineata dall’invocata norma ne supera i confini e si configura come ipotesi di responsabilità extracontrattuale, che esige l’accertamento del contributo causale del soggetto passivo all’attività da cui è disceso il danno (v., fra le tante, Cass. n. 23470/2023; n. 18891/2017; n. 18522/2016; n. 4319/2016).

 In questa prospettiva, l’obbligazione derivante dalla legge persegue finalità di ordine pubblico, atte alla conservazione e funzionalità degli edifici destinati per loro natura a lunga durata, a tutela dell’incolumità personale e della sicurezza dei cittadini e, quindi, di interessi generali inderogabili (Cass. n. 18032/2010; n. 3040/2009; n. 2313/2008; n. 567/2005). Nonostante la sua collocazione sistematica, dunque, il bene giuridico alla cui tutela tende la norma in esame trascende il rapporto negoziale in base al quale l’immobile sia pervenuto nella sfera di dominio di un soggetto diverso dal costruttore e che abbia subito un pregiudizio. Pertanto, la norma si pone in rapporto di specialità con quella generale di cui all’art. 2043 c.c. (Cass. n. 8520/2006; n. 8 /1990; n. 2415/1984).

Sussistendo appunto un rapporto di specialità tra l’art. 2043 c.c. genus e l’art. 1669 c.c. species, laddove ne sussistano i presupposti, l’azione da intraprendere è quella specificamente contemplata in materia di appalto, restando così precluso il ricorso all’azione generale, benché, “in concreto” (recte in via contingente), per fatto imputabile al danneggiato, sia maturata la decadenza o la prescrizione dell’azione speciale. Ed invero, in ordine alla previsione dell’art. 1669 c.c., resta fermo che, trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale, ove non ricorrano “in concreto” le condizioni per la sua applicazione, può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 c.c., senza che, tuttavia, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall’art. 1669 c.c., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 c.c., compresa la colpa del costruttore (Cass. Sez. Un., n. 2284/2014; n. 8520/2006). È, infatti, in generale ammissibile la coesistenza di due azioni diversificate quanto a presupposti applicativi e regime probatorio, sicché deve riconoscersi alla parte la facoltà di agire in giudizio, non avvalendosi delle facilitazioni probatorie stabilite per una sola di esse.

Per l’effetto, l’esercizio dell’azione generale spetta solo allorché, al momento in cui l’avente diritto può far valere la propria pretesa, i presupposti oggettivi delineati dalla norma speciale non sussistano: a) per la natura dell’immobile interessato (diverso dagli edifici o da altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata); b) o per la natura delle deficienze riscontrate (diverse dalla rovina, in tutto o in parte, dall’evidente pericolo di rovina o dai gravi difetti); c) o per la natura delle cause acclarate (diverse dal vizio del suolo o dalle carenze della costruzione); d) o per l’insorgenza della carenza costruttiva dopo il decorso del termine di dieci anni dal compimento dell’opera, termine, quest’ultimo, di natura sostanziale, che non ricade negli istituti della decadenza o della prescrizione, determinando piuttosto la durata del rapporto che deriva dall’attuazione dell’intervento programmato e, dunque, rappresentando un elemento costitutivo della fattispecie. La medesima conclusione vale per l’ipotesi in cui difettino i presupposti soggettivi, ossia la legittimazione attiva per la qualità dei soggetti pretendenti (diversi dai committenti o suoi aventi causa), necessaria allo scopo di esperire l’azione di cui all’art. 1669 c.c.: in tal caso, non ricorre un concorso di norme, sicché non sono integrati validi motivi per precludere la facoltà del danneggiato di spiegare l’azione generale di cui all’art. 2043 c.c. (Cass. n. 27385/2023; n. 21719/2019; n. 1748/2005; n. 3338/1999).

Il quadro d’insieme così delineato importa che il ricorso all’art. 2043 c.c. postula la carenza dei presupposti strutturali (oggettivi o soggettivi) dell’azione speciale regolata dall’art. 1669 c.c. ex ante (o a monte), nel momento in cui il diritto si origina, e non già delle condizioni contingenti ex post (o a valle), nel momento in cui la pretesa si esercita. Sulla scorta della prospettata impostazione, poiché la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all’art. 2043 c.c., l’applicazione dell’art. 2043 c.c. può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione di responsabilità previsti per l’appunto dall’art. 1669 c.c., ma non al fine di superare i limiti temporali entro cui l’ordinamento positivo circoscrive il suo campo applicativo, ovvero senza poter “aggirare” il peculiare regime di prescrizione e decadenza che caratterizza l’azione speciale (Cass. n. 20450/2023; n. 19823/2014). È necessario, infatti, evitare che siano raggiunti scopi elusivi ovvero impedire che, inutilmente esperita o esperibile l’azione speciale, l’interessato ottenga, per altre vie, il risultato negato in primis: ossia che, all’esito della prescrizione della pretesa, si possa rimediare ricorrendo all’azione generale.

La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al principio di diritto enunciato in epigrafe.

QUESTIONI

Pur collocandosi all’interno dello speciale regime di responsabilità dell’appaltatore per difformità e vizi dell’opera delineato dagli artt. 1667 e 1668 c.c., l’art. 1669 c.c. prevede una responsabilità che può senz’altro definirsi “aggravata” rispetto alla disciplina tracciata dalle norme dei due articoli precedenti, dalla quale si differenzia per la diversa durata della responsabilità dell’appaltatore, per l’oggetto della garanzia, per la maggiore estensione dei termini previsti per la denuncia e la proposizione dell’azione nonché, come subito vedremo più da vicino, per la (incerta e dibattuta) natura. Il fondamento di tale disposizione normativa risiede nell’intento del legislatore di prolungare la durata della responsabilità dell’appaltatore costruttore di edifici, in considerazione del fatto che nel caso di beni immobili, per loro natura destinati a durare nel tempo, è piuttosto frequente che i vizi si appalesino anche a distanza di diversi anni dall’ultimazione dei lavori (su questi aspetti v., per tutti, Parola, La responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c., in Obbl. contr., 2006, p. 142, e ivi per ulteriori riferimenti).

Come appena sopra anticipato, a differenza della responsabilità prevista negli artt. 1667 e 1668 c.c., alla quale pacificamente si ritiene di attribuire natura contrattuale, l’inquadramento della natura della responsabilità prevista nell’art. 1669 c.c. è stata per lungo tempo oggetto, sia in dottrina che in giurisprudenza, di un ampio ed approfondito dibattito, dibattito che, in realtà, sembra tutt’altro che concluso, in quanto vede ancora oggi contrapporsi tra loro diversi orientamenti.

Secondo la dottrina maggioritaria, la semplice lettura del dato letterale dell’art. 1669 c.c. e la collocazione sistematica dello stesso nel contesto della disciplina del contratto d’appalto sarebbero sufficienti per concludere che la responsabilità prevista dalla norma in esame ha senz’altro natura contrattuale e può, conseguentemente, essere fatta valere solamente dai soggetti espressamente menzionati dalla norma stessa, ovverosia il committente e i suoi aventi causa (in questo senso v., tra gli altri, Rubino – Iudica, Dell’appalto. Art. 1655-1677, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Bologna-Roma, 2007, p. 449 ss.; Sollai, in Codice dell’appalto privato, a cura di Luminoso, Milano, 2010, p. 633 s.; Rizzieri, Opere di rifacimento di un immobile e natura della responsabilità dell’appaltatore, in La responsabilità civile, 2008, p. 516 ss.).

Solo una parte minoritaria della dottrina (v., per esempio, Gigliotti, Sulla natura extracontrattuale della responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c., in Giur. it., 2007, p. 1654 ss.; Barbanera, La responsabilità del costruttore per rovina e difetti di cose immobili nel quadro dei rapporti tra la disciplina speciale ex art. 1669 cod. civ. e la norma generale dell’art. 2043 c.c., in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, p. 137 ss.) accoglie invece la tesi, sostenuta dalla praticamente unanime giurisprudenza e già esposta nel paragrafo precedente, secondo cui l’art. 1669 c.c. dà luogo ad un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini e si configura come obbligazione derivante dalla legge per finalità e ragioni di carattere generale, costituite dall’interesse pubblico – trascendente quello individuale del committente – alla stabilità e solidità degli immobili destinati ad avere lunga durata, a preservazione dell’incolumità e sicurezza dei cittadini.

In una posizione ancora più isolata si pongono, infine, quegli Autori (tra cui, per esempio, Polidori, La responsabilità dell’appaltatore, Napoli, 2004, p. 126 ss.) secondo cui la responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c. avrebbe natura mista, e cioè contrattuale nei rapporti tra le parti del contratto di appalto, extracontrattuale con riguardo ai danni subiti dai terzi.

Va peraltro chiarito che le implicazioni applicative che discendono a seconda che si accolga l’una o l’altra delle tesi appena esposte riguardano, in realtà, solamente il profilo attinente alla legittimazione attiva e passiva, che nella prospettiva che attribuisce alla responsabilità ex art. 1669 c.c. natura contrattuale rimane limitata ai soggetti ivi espressamente menzionati, mentre nell’ottica extracontrattuale si estende in maniera assai significativa fino a ricomprendere, sul piano attivo, qualsiasi soggetto che, pur estraneo alla stipulazione del contratto d’appalto, sia stato danneggiato a causa del crollo, dei gravi difetti o del pericolo di rovina del bene, e dal lato passivo qualsiasi soggetto che, mettendo a disposizione le proprie risorse economiche, organizzative o intellettuali, abbia contribuito in modo autonomo alla realizzazione dell’edificio. L’adesione alla tesi della natura contrattuale o aquiliana della responsabilità prevista nell’art. 1669 c.c. non dispiega, invece, alcuna influenza con riguardo a profili quali la prescrizione, l’onere probatorio, il danno risarcibile e il criterio d’imputazione, posto che tali aspetti vengono già compiutamente disciplinati dalla norma stessa e non vengono, quindi, toccati dagli esiti del dibattito che abbiamo sopra riassunto (per queste considerazioni cfr. Polidori, op. cit., p. 110 ss. e Sollai, op. cit., p. 636, ove ulteriori citazioni).

Un altro importante aspetto sul quale la teoria contrattuale sostenuta dalla dottrina maggioritaria e la tesi extracontrattuale fatta propria dalla giurisprudenza convergono è, poi, quello della inderogabilità della disciplina dell’art. 1669 c.c. e della conseguente nullità degli accordi diretti ad escludere o limitare la responsabilità dell’appaltatore in conseguenza di quanto disposto nell’art. 1229, comma 2°, c.c., dettato con riguardo alla responsabilità contrattuale ma applicabile, in via analogica, anche in tema di responsabilità aquiliana (v., in particolare, Cass. n. 26609/2008, in I contratti, 2009, p. 456 ss., con nota di Lamanuzzi, Art. 1669 c.c. e clausole di esonero da responsabilità, e in Giur. it., 2009, p. 1918 ss., con nota di Lascialfari, La responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c.: criteri di imputazione e clausole di esonero; nonché Cass. n. 81/2000).

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