5 Marzo 2024

I quindici giorni per l’avvio della mediazione delegata: la Cassazione ribadisce la non perentorietà del termine

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 14 febbraio 2024, n. 4133, Pres. Travaglino, Est. Gorgoni

[1] Processo civile – Mediazione – Termine assegnato dal giudice – Natura

Va negato carattere di perentorietà al termine di quindici giorni disposto dal giudice per dar corso alla mediazione delegata ed è soddisfatta la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 se, entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, vi sia stato il primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l’accordo. 

CASO

[1] Il Tribunale di Firenze dichiarava improcedibile un’opposizione a decreto ingiuntivo per mancato rispetto del termine di quindici giorni assegnato, con ordinanza del 20 febbraio 2014, per il deposito dell’istanza di avvio della mediazione delegata, rilevando, d’ufficio, che il procedimento di mediazione risultava avviato il 20 marzo 2014, che l’istanza depositata il 4 marzo 2014, di revoca dell’accio della mediazione, non conteneva una richiesta di proroga d’ufficio ex art. 154 c.p.c.

L’adita Corte d’Appello di Firenze riteneva non corretta la decisione del Tribunale, in ragione del fatto che: a) il termine di quindici giorni assegnato per il deposito dell’istanza di avvio della mediazione delegata doveva considerarsi ordinatorio, ai sensi dell’art. 152 c.p.c.; b) per l’avveramento della condizione di procedibilità non bastava che il termine ordinatorio non fosse stato rispettato, occorrendo che il primo intervento di mediazione non avesse avuto luogo prima della data dell’udienza di rinvio (13 novembre 2014); c) l’istanza del 4 marzo di revoca dell’avvio della mediazione avrebbe potuto essere interpretata come istanza di proroga del termine ordinatorio, ex art. 154 c.p.c.

Conseguentemente, in riforma della sentenza di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo.

Contro tale provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione articolato, per quanto di interesse nella presente sede, su tre motivi: a) con il primo motivo sono denunciate violazione e falsa applicazione dell’art. 5, 2°co., del d.lgs. n. 28/2010 e dell’art. 12 disp. legge in generale: secondo il ricorrente, in particolare, il giudice a quo avrebbe erroneamente applicato la giurisprudenza della Cassazione, erroneamente ritenendo il termine assegnato dal giudice non solo ordinatorio, ma anche fungibile con quello di conclusione del procedimento di mediazione; b) con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e degli artt. 125 e 132 c.p.c.: il giudice a quo avrebbe stravolto il contenuto del provvedimento di Cass., n. 1064/2005, avendo ritenuto ordinatorio il termine di quindici giorni, assegnato con l’ordinanza, senza verificare se la perentorietà, pur non espressamente affermata dal d.lgs. n. 28/2010, non potesse discendere dallo scopo e dalla funzione adempiuta, e senza motivare la ragione per cui ha ritenuto di modificare la statuizione del Tribunale che aveva ritenuto perentorio il termine proprio in via interpretativa, cioè tenendo conto dello scopo e delle funzioni ad esso assegnabili; c) con il terzo motivo il ricorrente imputa alla Corte d’appello violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 125 e 132 c.p.c.: attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’Appello ha interpretato l’istanza del 4 marzo di revoca dell’invio della mediazione come istanza di proroga chiesta tempestivamente; detta istanza era così formulata: “il termine non perentorio indicato dal giudice per l’attivazione della mediaconciliazione scade il 7/3/2014, […] non introdurranno la procedura fino alla nuova decisione del Giudice, ma qualora il Giudice non confermi l’opportunità di uno svolgimento immediato comunicano sin d’ora che si faranno parti diligenti in tal senso”; l’interpretazione delgiudice a quo sarebbe errata, secondo il ricorrente, perché contrasterebbe con il tenore letterale dell’istanza da cui era dato evincere che la richiesta della parte non era quella di prorogare un termine in scadenza, bensì quella di ottenere una modifica del contenuto dispositivo del provvedimento del giudice.

SOLUZIONE

[1] I primi due motivi, attinenti alla stessa questione ed esaminati congiuntamente, sono dalla Cassazione ritenuti infondati.

La Suprema Corte richiama, a tal proposito, la pronuncia del 14 dicembre 2021, n. 40035, con cui ha negato carattere di perentorietà al termine di quindici giorni disposto dal giudice per dar corso alla mediazione delegata e ritenuto soddisfatta la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 se, entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, vi sia stato il primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l’accordo.

Il terzo motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile, in quanto inidoneo ad attingere tutte e utilmente le rationes decidendi della sentenza: quando una sentenza risulta fondata su più rationes decidendi, infatti, l’impugnazione deve essere tale da attingerle tutte e utilmente, giacché se anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero sia respinta la censura relativa anche a una sola delle dette ragioni, non vi è interesse all’impugnazione dell’altra o delle altre; quand’anche le censure mosse a una delle rationes decidendi dovesse ritenersi fondata, l’impugnazione non potrebbe conseguire alcun risultato pratico, restando il provvedimento impugnato autonomamente giustificato dall’altra o dalle altre argomentazioni non efficacemente censurate (così, ex plurimis, Cass., 11 maggio 2018, n. 11493 e successiva giurisprudenza conforme).

QUESTIONI

[1] Con la pronuncia in epigrafe la Cassazione torna a pronunciarsi sul tema della natura – perentoria od ordinatoria – del termine di quindici giorni assegnato dal giudice per lo svolgimento della mediazione c.d. delegata.

Sul tema, come anticipato, la Cassazione si era già pronunciata, ancorché a sezione semplice, con il provvedimento del 14 dicembre 2021, n. 40035 (in www.eclegal.it, 11 gennaio 2022, con nota di V. Baroncini, Mediazione obbligatoria: non rileva il termine di quindici giorni assegnato dal giudice).

Venendo al provvedimento in epigrafe, la questione è stata affrontata con la risposta fornita ai primi due motivi di ricorso proposti (e congiuntamente analizzati).

Come anticipato, la Cassazione ha ritenuto di confermare la natura non perentoria del termine di quindici giorni in discorso.

Tale conclusione appare fondata, anzitutto, sul tenore letterale della prescrizione di cui all’art. 5, comma 2-bis, del d.lgs. n. 28/2010, a mente del quale «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo».

La norma di legge sembrerebbe indicare, cioè, che il legislatore non ha collegato la dichiarazione di improcedibilità al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda, bensì al solo evento dell’esperimento del procedimento di mediazione.

Tale lettura risulta: i) coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice ai sensi dell’art. 5, 2°co., d.lgs. n. 28/2010, rimasto anche nella disciplina risultata a seguito della riforma legislativa del 2013, che non è intervenuta sul punto; ii) trova il conforto dell’art. 152, 2°co., c.p.c., posto che il termine di quindici giorni non è stato espressamente qualificato come perentorio; iii) è confermata dalla necessità che il giudice fissi una successiva udienza tenendo conto della scadenza del termine massimo della durata della mediazione; iv) è compatibile con la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis, consistente nella ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche che poco si concilierebbero con la tesi della natura perentoria del termine, atteso che finirebbe per frustrare l’operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo; v) è coerente con il principio della ragionevole durata del processo, perché la verifica all’udienza fissata ex art. 5, 2°co., d.lgs. n. 28/2010 è già ricompresa nell’intervallo temporale delimitato dalla previsione dell’art. 7, d.lgs. n. 28/2010, a mente del quale «Il periodo di cui all’art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui dell’art 2, l. 24 marzo 2001, n. 89».

Sulla base di tali rilievi, la Cassazione, ancora a sezioni semplici, ha ritenuto di offrire continuità all’orientamento recentemente affermato dalla richiamata Cass., n. 40035/2021.

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