23 Giugno 2020

Procedimento prefallimentare: il custode dei beni della società soggetti a sequestro disposto in sede civile non è litisconsorte necessario nel procedimento volto alla dichiarazione di fallimento

di Chiara Zamboni, Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Ferrara Scarica in PDF

Cassazione, ord. 11 giugno 2020, n. 11254

Parole chiave

Fallimento – procedura prefallimentare – sequestro – litisconsorzio – custode giudiziario – cessione di ramo d’azienda – stato di insolvenza

Massima

L’assoggettabilità a fallimento delle società costituite secondo le norme del codice civile e che esercitano un’attività commerciale presuppone lo stato di insolvenza e non è subordinata all’effettivo esercizio di tale attività. Quale conseguenza, il Custode giudiziario dei beni della società sottoposti a sequestro non è litisconsorte necessario del procedimento prefallimentare, anche nel caso in cui gli siano affidati i compiti di amministratore.

Riferimenti normativi

Art. 102 c.p.c. – art. 99 c.p.c. – art. 2908 c.c. – 24 Cost. -art. 5 L.F. – art. 676 c.p.c. – art. 608 c.p.c. – art. 1218 c.c. – 111 Cost.

CASO

Con l’ordinanza in esame la Corte ha affrontato alcune importanti questioni circa il rapporto tra procedimento prefallimentare e sequestro di ramo d’azienda acquisita dall’impresa insolvente. In particolare, la Corte ha chiarito il ruolo del Custode giudiziario nel procedimento volto alla dichiarazione di fallimento.

SOLUZIONE

La Suprema Corte ha chiarito che il Custode di beni del fallito sottoposti a sequestro disposto in sede civile non è litisconsorte necessario nel procedimento prefallimentare, così come già ribadito in passato con riferimento al Custode di beni oggetto di sequestro preventivo penale. Ciò poiché la dichiarazione di fallimento comporta la liquidazione dei beni e non l’estinzione della società.

QUESTIONI

A seguito della dichiarazione di fallimento della Alfa s.r.l., la stessa ha presentato un reclamo motivando circa la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del Custode giudiziario del ramo d’azienda ceduto dalla Beta s.r.l alla Alfa s.r.l. Il reclamo è stato rigettato dalla Corte d’Appello ritenendo che l’accollo da parte della Alfa s.r.l. degli ingenti debiti del ramo d’azienda oggetto della cessione confermasse il passivo gravante sulla fallita. Quale ulteriore motivo di rigetto è stato chiarito che ai fini dell’accertamento dell’insolvenza è sufficiente la constatazione dell’impotenza economico-funzionale dell’impresa così come emerge dai bilanci. Inoltre, sono stati presi in considerazione indici fattuali quali l’assenza di contestazione del credito vantato da un creditore che aveva dato corso ad un pignoramento infruttuoso e la valenza oggettiva dello stato di insolvenza che mostrava l’assenza di fondamento della deduzione della reclamante secondo la quale lo stato di insolvenza era diversamente riferibile all’azienda acquisita ma mai gestita dalla stessa. La Corte d’Appello ha, infine, sottolineato l’assenza di fondamento di due ulteriori censure presentate dalla fallita aventi ad oggetto la prima l’asserita perdita della qualifica di imprenditore commerciale e la seconda la sussistenza di un “difetto di interesse generale e pubblico e per inutile aggravio del passivo”.

La Alfa s.r.l ha proposto ricorso in Cassazione avverso il rigetto del reclamo.

Il primo motivo di ricorso è stata la violazione dell’art. 102 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 99 c.p.c. e 2908 c.c., per non aver ritenuto che il Custode giudiziario fosse un litisconsorte necessario nel procedimento per la dichiarazione di fallimento. La Alfa s.r.l., prendendo le mosse dall’attribuzione al Custode di una legittimazione processuale circa la custodia e l’amministrazione dei beni sequestrati, ha ritenuto che lo stesso dovesse essere interlocutore necessario nel procedimento prefallimentare nonché l’unico soggetto in grado di dar conto della situazione economica, finanziaria e patrimoniale della fallita.

Il primo motivo è stato rigettato dalla Corte ritenendolo infondato.

La Corte ha sottolineato come già per il Custode di beni del fallito sottoposti a sequestro preventivo penale sia stato chiarito dalla giurisprudenza che non si tratta di ipotesi di litisconsorzio necessario dal momento che la dichiarazione di fallimento comporta la liquidazione dei beni e non l’estinzione della società. Lo stesso può dirsi in caso di sequestro disposto in sede civile. Nel procedimento prefallimentare è, invece, parte necessaria l’amministratore della società che resta nella titolarità delle funzioni non riguardanti la gestione del patrimonio.

Il secondo motivo di ricorso presentato dalla Alfa s.r.l. era relativo alla violazione dell’art. 24 Cost. per non essere stato rilevato nei giudizi precedenti il conflitto di interessi del Curatore della Beta s.r.l., nominato Custode giudiziario dei beni. La Suprema Corte, rilevata l’illogicità della ricostruzione prospettata, ha rigettato il motivo per inammissibilità ricordando che le asserite violazioni delle norme costituzionali devono in ogni caso essere portate ad emersione tramite l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata e non tramite motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, n. 3, c.p.c.

Con il terzo motivo di ricorso la alfa s.r.l. ha opposto la violazione dell’art. 5 L.F. in combinato disposto con gli artt. 676 e 608 c.p.c. e con l’art. 1218 c.c. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Secondo la Alfa s.r.l., la Corte di merito ha errato nel non considerare che lo stato di insolvenza deve derivare dalla normale attività di impresa e non può essere ravvisato nel caso in cui derivi dall’attività del Custode nella gestione dell’impresa. La Suprema Corte ha rigettato il motivo ritenendolo infondato. La sentenza impugnata ha valorizzato il subentro della fallita nell’esposizione debitoria della Beta s.r.l. a seguito dell’acquisto dell’azienda, atto compiuto da Alfa s.r.l. ancora in bonis, nonché il credito vantato da uno dei creditori che hanno presentato l’istanza di fallimento. Inoltre, la Corte ricorda che lo stato di insolvenza che supporta la dichiarazione di fallimento è uno stato strutturale e non transitorio che determina l’impossibilità della società di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, venendo meno le condizioni di liquidità e credito.

Il quarto motivo di ricorso è stata l’asserita nullità e assoluta carenza di motivazione della sentenza impugnata per non aver il Giudice del reclamo dato conto dei motivi per i quali la società di capitali che non esercita attività commerciale a causa del provvedimento di sequestro che ha colpito l’unica azienda di cui è titolare, sia soggetta alla disciplina fallimentare.

Anche questo motivo è stato rigettato dalla Suprema Corte ritenendolo infondato. La Corte ha ricordato che le società di capitali sono imprenditori commerciali per definizione. Secondo giurisprudenza consolidata, le società che siano state costituite nelle forme previste dal Codice civile ed aventi ad oggetto un’attività commerciale sono assoggettabili a fallimento, indipendentemente dall’effettivo esercizio dell’attività. Ciò poiché acquistano la qualifica di imprenditore commerciale al momento della loro costituzione. Il provvedimento di sequestro che possa colpire una società non ne determina la perdita della fallibilità.

Infine, con il quinto motivo di ricorso la Alfa s.r.l. ha lamentato l’erroneità della sentenza per violazione del principio di economia processuale ex art. 111 Cost. In particolare. ha rilevato che, in considerazione della sussistenza del sequestro giudiziario e della pendenza di un giudizio di merito vertente sulla cessione del ramo d’azienda, non si ravviserebbe l’utilità della pronuncia del Giudice di prima istanza poiché la Alfa s.r.l. rischierebbe di fallire per aver acquistato un’azienda che non ha mai potuto gestire.

Il motivo è stato ritenuto inammissibile dalla Suprema Corte che ha rilevato da un lato il mancato rispetto dei principi che governano l’esposizione dei motivi nei ricorsi per Cassazione e dall’altro ha richiamato quanto esposto nel rigetto del secondo motivo sulla corretta modalità di denuncia della violazione di una norma costituzionale.

La Suprema Corte ha rigettato, così, il ricorso dopo aver chiarito che anche nel caso di sequestro disposto in sede civile il Custode dei beni sequestrati non è litisconsorte necessario nel procedimento prefallimentare.