Opponibile al fallimento il lodo arbitrale sottoscritto dagli arbitri
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. I, 5 febbraio 2025, n. 2840, Pres. Terrusi – Est. Fidanzia
[1] Fallimento – Ammissione al passivo – Arbitrato – Lodo.
Massima: “Il lodo arbitrale rituale, in quanto pienamente assimilabile ad una sentenza giurisdizionale sin dall’ultima sottoscrizione, a norma dell’art. 824-bis c.p.c., è come tale opponibile alla procedura fallimentare dalla suddetta data, nella quale il provvedimento viene a esistenza e comincia a produrre i suoi effetti.”
CASO
[1] Una s.r.l. presentava domanda di insinuazione allo stato passivo di un’altra s.r.l. allegando, quale titolo del proprio credito, un lodo arbitrale rituale precedentemente ottenuto, e consacrante l’esistenza di un diritto di credito nei confronti della debitrice fallita.
Il giudice delegato, rilevato come il lodo arbitrale non fosse stato reso esecutivo a norma dell’art. 825 c.p.c. e, conseguentemente, non fosse opponibile alla procedura di fallimento, rigettava tale istanza, con decisione prontamente impugnata dalla creditrice, che interponeva, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo, opposizione ex art. 98 l.fall.
Il Tribunale di Roma, condividendo le argomentazioni spese dal giudice delegato, confermava la decisione di rigetto da questi assunta: in particolare, poiché il lodo arbitrale risultava essere stato solamente sottoscritto dal collegio (privo della qualifica di pubblico ufficiale), lo stesso era da considerarsi privo di data certa ex art. 2704 c.c., un effetto, questo, conseguente unicamente al deposito presso la cancelleria del tribunale al fine di ottenere l’exequatur a norma dell’art. 825 c.p.c., adempimento nel caso di specie avvenuto solo in data successiva alla sentenza dichiarativa di fallimento.
Avverso tale pronuncia, la s.r.l. creditrice proponeva ricorso per cassazione denunciando, con una pluralità di motivi, violazione e falsa applicazione degli artt. 819, 824-bis e 828, 2°co., c.p.c., e 45 l.fall., per avere il Tribunale di Roma errato nel non equiparare il lodo arbitrale alla sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione, esaminati congiuntamente tali motivi di ricorso, li dichiara fondati, con conseguente cassazione della pronuncia impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per un nuovo esame.
QUESTIONI
[1] I motivi di ricorso per cassazione proposti, come anticipato, hanno tutti ad oggetto la dedotta parificazione, ad opera della ricorrente, del lodo arbitrale rituale alla sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria: ciò, all’evidente scopo di lucrare l’opponibilità dello stesso alla procedura di fallimento e, conseguentemente, ottenere l’ammissione allo stato passivo del credito portato da tale decisione.
In via preliminare è opportuno ricordare quali siano i requisiti affinché un credito possa ottenere l’ammissione allo stato passivo, ossia definire i fatti costitutivi del c.d. diritto al concorso quale oggetto della cognizione giudiziale in sede di verifica dello stato passivo. L’oggetto del giudizio di accertamento dello stato passivo, infatti, è integrato da tale peculiare situazione soggettiva, avente consistenza squisitamente processuale, e non perfettamente coincidente con l’esistenza, sul piano sostanziale, del diritto di credito insinuato al passivo, comprendendo altresì gli elementi di c.d. opponibilità del credito alla procedura: la non revocabilità della fattispecie costitutiva del credito ex artt. 64 ss. l.fall. (ovvero 163 ss. CCII), e l’anteriorità del perfezionamento della medesima rispetto alla data di apertura del fallimento (oggi, della liquidazione giudiziale) (sul tema del diritto al concorso si rinvia a M. Montanari, Dell’accertamento del passivo e dei diritti reali mobiliari dei terzi, in G.U. Tedeschi (a cura di), Le procedure concorsuali, II, Torino, 1996, 694 ss.).
Quanto a quest’ultimo profilo – ossia, quello posto ad oggetto della questione risultata controversa (e dirimente) nel caso di specie -, esso è destinato ad assumere rilievo specialmente quando il credito insinuato al passivo sia portato da una scrittura privata, la certezza della cui data, nei confronti di terzi, è integrata dal perfezionamento di uno degli eventi considerati dall’art. 2704 c.c., e dunque: dall’autenticazione della relativa sottoscrizione; dalla registrazione della scrittura; dalla morte o dalla sopravvenuta impossibilità fisica di uno dei sottoscrittori; dalla riproduzione della scrittura in atto pubblico; ovvero dal verificarsi di altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento.
È qui che occorre svolgere una riflessione sull’efficacia da riconoscere al lodo arbitrale rituale.
Il Tribunale di Roma, in particolare, ha qualificato il lodo arbitrale rituale nei termini di atto avente natura meramente privata, in quanto tale privo di data certa. Tale orientamento, come noto, affonda le proprie radici in un indirizzo giurisprudenziale espresso, emblematicamente, da Cass. civ., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527 , la quale – pronunciatasi con riguardo a un contesto normativo antecedente le modifiche apportate dalla l. 5 gennaio 1994, n. 25 -, aveva chiarito come il procedimento arbitrale fosse da riguardare come ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale, risultando fondato sul consenso delle parti e provenendo, la relativa decisione, da soggetti privati radicalmente privi di potestà giurisdizionale d’imperio; in tale contesto, ferma la natura negoziale del lodo, era solamente il decreto pretorile rilasciato ex art. 825 c.p.c. a conferire allo stesso l’efficacia (ma non la natura) di sentenza, difettando, in capo all’arbitro, il potere di produrre atti sostanzialmente identici a quelli pronunciati dal giudice statale.
Trattasi, tuttavia, di orientamento da lungi superato dalla medesima giurisprudenza di legittimità, in conseguenza delle novità apportate sia dalla già richiamata l. n. 25/1994 sia, soprattutto, dalla riforma attuata dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.
Impatto dirompente in materia è, infatti, da riconoscere alla riforma dell’arbitrato intervenuta nel 2006: specialmente, per quanto di interesse nella presente sede, con l’introduzione dell’art. 824-bis c.p.c. il quale, disciplinando l’efficacia del lodo, espressamente prevede che, salvo quanto disposto dall’art. 825 c.p.c. – ossia, la necessità di exequatur giudiziale al fine di poterlo azionare quale titolo esecutivo – «il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria». La piana e completa equiparazione, quoad effectum, del lodo arbitrale rituale alla sentenza giurisdizionale, pur senza exequatur giudiziale, è stata così consacrata expressis verbis dal nostro legislatore, conseguentemente innescando, all’interno della giurisprudenza di legittimità, un ripensamento del proprio precedente orientamento.
Tale revirement ha trovato espressione nella nota pronuncia di Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153, dove si è chiarita, tra l’altro, la natura giurisdizionale dell’attività svolta dagli arbitri rituali, in quanto tale sostitutiva della funzione del giudice ordinario. Tramite tale arresto, le Sezioni Unite hanno affermato, in modo inequivocabile, l’equiparazione tra lodo arbitrale rituale e sentenza: non solo sulla base del già ricordato art. 824-bis c.p.c., ma anche del successivo art. 829, n. 8), ossia la norma che consente l’impugnazione per nullità del lodo per violazione del giudicato esterno, ossia laddove lo stesso risulti «contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti purché tale lodo o tale sentenza sia stata prodotta nel procedimento».
Così chiarita l’intervenuta equiparazione tra lodo arbitrale rituale e sentenza, occorre determinare se anche in punto di opponibilità al fallimento il primo ripeta, oppure no, le medesime caratteristiche della seconda e cioè se sia, oppure no, opponibile alla procedura in quanto munito ex se di data certa dal momento in cui acquista giuridica esistenza (momento che, come noto, per le sentenze coincide con quello dell’avvenuta pubblicazione).
Parte della dottrina che ha avuto occasione di esprimersi sul tema anche successivamente alla riforma del 2006 e al revirement del 2013, e pur condividendo la tesi circa la natura giurisdizionale dell’arbitrato e del lodo, ha affermato – allo stesso modo del Tribunale di Roma, pur mosso da differenti premesse dogmatiche -, come lo stesso, per poter essere opponibile al curatore, debba essere munito di data certa anteriore al fallimento: e ciò in quanto, non essendo gli arbitri pubblici ufficiali, non sarebbe la loro firma, con l’indicazione della data, a poter conferire certezza a quest’ultima; in altri termini, pur essendo il lodo equiparato, quoad effectum, alla sentenza, resta il fatto che il primo – a differenza della seconda – si presenta pur sempre come scrittura privata, sottoscritta da soggetti (gli arbitri) privi della qualifica di pubblici ufficiali, e dunque priva, di per sé, di data certa (in tal senso, A. Castagnola, Procedimento arbitrale, lodo e fallimento, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2016, 828 ss.; L. Baccaglini, Fallimento e arbitrato rituale, Napoli, 2018, 163; U. Apice, Arbitrato e procedure concorsuali, in Dir. fall., 2013, 273).
Occorre tuttavia evidenziare come, successivamente al maturare di tali posizioni, sia stato compiuto, dalla giurisprudenza di legittimità, un ulteriore passo verso la piena equiparazione tra lodo arbitrale e sentenza, valorizzato in senso assolutamente dirimente dal provvedimento che si commenta.
Ci riferiamo, per l’esattezza, all’arresto di Cass. civ., sez. un., 30 marzo 2021, n. 8776, con il quale il massimo organo di nomofilachia si è pronunciato sulla corretta interpretazione da fornire all’art. 828, 2°co., c.p.c. (a mente del quale «l’impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell’ultima sottoscrizione»), ossia sul dies a quo di decorrenza del termine c.d. lungo per l’impugnazione del lodo. Valorizzando il tenore letterale del medesimo art. 828, 2°co., c.p.c., le Sezioni Unite lo hanno identificato, come noto, proprio nella data dell’ultima sottoscrizione apposta dagli arbitri, ossia dal momento in cui la legge ex art. 824-bis c.p.c. attribuisce efficacia al lodo, a prescindere dalla data di comunicazione alle parti – fermo che quest’ultima potrà comunque assumere rilievo se mancata o gravemente tardiva, consentendo alla parte di formulare istanza di rimessione in termini per il pieno esercizio del proprio diritto di impugnazione. Tramite tale arresto, in altri termini, le Sezioni Unite hanno stabilito una corrispondenza tra la pubblicazione della sentenza e l’attività consistente nell’apposizione dell’ultima sottoscrizione degli arbitri, quali adempimenti parimenti idonei a segnare l’acquisto, in capo alle due decisioni, di giuridica esistenza ed efficacia: e ciò, anche sul presupposto dell’assenza, nel giudizio arbitrale, di un’attività equipollente alla pubblicazione.
Muovendo dall’equiparazione sviluppata dalle Sezioni Unite, il provvedimento in commento ha allora desunto anche l’idoneità del lodo ad acquisire, dal momento dell’apposizione dell’ultima sottoscrizione, data certa nei riguardi dei terzi: in altri termini, secondo la pronuncia in epigrafe il lodo arbitrale – allo stesso modo di quanto accade alla sentenza con la sua pubblicazione -, viene ad esistenza sin dalla sua sottoscrizione, e in quanto tale nasce come “ontologicamente dotato di data certa, non essendo richiesto a tali fini – come erroneamente ritenuto dal decreto impugnato – il suo deposito presso la cancelleria del tribunale”.
Tale sviluppo argomentativo non appare, però, pienamente meritevole di condivisione. Infatti, è senz’altro vero che le ultime Sezioni Unite richiamate hanno definito una corrispondenza tra la pubblicazione della sentenza e l’attività consistente nell’apposizione dell’ultima sottoscrizione degli arbitri. Tale correlazione, però, non appare idonea a incidere sul piano in questione, ossia quello dell’anteriorità del lodo arbitrale rituale rispetto al fallimento: un conto, infatti, è affermare che il lodo sia venuto ad esistenza (ciò che sarebbe dimostrato dall’apposizione dell’ultima sottoscrizione degli arbitri), tutt’altro è affermare che sia venuto ad esistenza prima della dichiarazione di fallimento. Ciò che manca, cioè, è proprio la prova dell’anteriorità del provvedimento rispetto alla procedura, somministrabile soltanto nei modi di cui all’art. 2704 c.c. Il lodo, infatti, è e rimane una scrittura privata sottoscritta da privati (gli arbitri), inidonea ad acquistare, solo in virtù dell’apposizione di tali sottoscrizioni, data certa. In relazione alla sentenza, infatti, la certezza della data, garantita dalla pubblicazione, è offerta dalle particolari modalità in cui la pubblicazione avviene, ossia (oggi) mediante deposito telematico, di cui il cancelliere è tenuto a dare immediata comunicazione alle parti costituite: modalità del tutto mancanti nel giudizio arbitrale, e che spiegano l’inidoneità dell’apposizione delle sottoscrizioni degli arbitri a porsi, in punto di acquisto di data certa in capo al lodo, quali perfetti equipollenti della pubblicazione della sentenza.
Nel caso di specie, dunque, e a differenza di quanto affermato dalla Cassazione, il lodo arbitrale rituale non poteva essere considerato come anteriore al fallimento in quanto privo di data certa; deve dunque concordarsi con le decisioni assunte dai giudici di merito, nel senso dell’esclusione del credito da esso portato dallo stato passivo.
È opportuno, in ogni caso, ricordare, sia pur con estrema sintesi, quale sia il regime processuale operante nel caso in cui, all’opposto, il lodo arbitrale risulti munito di data certa anteriore rispetto all’apertura della procedura, con conseguentemente opponibilità del credito da esso portato alla stessa. A tal riguardo, è noto come risulti dirimente definire se il lodo sia definitivo, per intervenuto decorso del termine per impugnarlo di cui all’art. 828, 2°co., c.p.c., oppure no. Infatti, nel caso di lodo non ancora definitivo, il creditore che si insinui al passivo non potrebbe ambire ad altro che a una pronuncia di ammissione con riserva ex art. 96, 3°co., n. 3), l.fall. (oggi, ex art. 204, 2°co., lett. c), CCII), destinata a sciogliersi dopo che il curatore abbia optato per la rinuncia a impugnare il lodo ovvero dopo l’esito negativo del gravame esperito. Viceversa, allorché il lodo sia definitivo, allo stesso dovrebbero essere attribuiti i medesimi effetti della sentenza passata in giudicato, con conseguente ammissione al passivo in via definitiva (sul punto, M. Montanari, Lodi rituali e verifica dei crediti nel fallimento dopo la riforma, in F. Auletta, G.P. Califano, G. della Pietra, N. Rascio (a cura di), Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 542 ss.).
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