21 Luglio 2020

Nei rapporti tra domanda di concordato preventivo e istanza di fallimento deve prevalere il coordinamento delle procedure

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343 – Pres. Federico – Rel. Campese

Parole chiave: Dichiarazione di fallimento – Domanda di ammissione al concordato preventivo – Continenza – Riunione dei procedimenti

[1] Massima: La domanda di concordato preventivo ed il procedimento prefallimentare debbono essere coordinati in modo da garantire che la soluzione negoziale della crisi, ove percorribile, sia preferita al fallimento. Pertanto, ove siano contemporaneamente pendenti dinanzi ad uno stesso ufficio giudiziario, gli stessi possono essere riuniti ex art. 273 c.p.c., anche di ufficio, consentendo una siffatta riunione di raggiungere l’obiettivo della gestione coordinata. Ove la domanda di concordato preventivo ed il procedimento prefallimentare siano pendenti dinanzi ad uffici giudiziari diversi, ferma la regola della continenza ex art. 39, comma 2, c.p.c., è onere del debitore che conosce della pendenza dell’istruttoria prefallimentare, anteriormente introdotta, proporre la domanda di concordato preventivo dinanzi al tribunale investito dell’istanza di fallimento, anche quando lo ritenga incompetente, affinché i due procedimenti confluiscano dinanzi al medesimo tribunale, senza che una siffatta condotta determini acquiescenza ad una eventuale violazione dell’art. 9 l.fall. Allorquando l’istanza di fallimento sia stata depositata dinanzi ad un ufficio giudiziario diverso da quello innanzi al quale sia già pendente una domanda di concordato preventivo, l’obiettivo della gestione coordinata dei due procedimenti può essere conseguito sollecitando il tribunale successivamente adito all’adozione di provvedimenti di cui all’art. 39, comma 2, c.p.c., che in ogni caso, in ossequio ai principi generali e vieppiù nell’ottica di garantire preferibilmente la soluzione negoziale della crisi, debbono essere adottati anche di ufficio.

Disposizioni applicate: cod. proc. civ, artt. 39, 273; r.d. 267/1942, art. 9

CASO

Una società veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Teramo, con sentenza confermata dalla Corte di Appello di L’Aquila.

La società interponeva ricorso per cassazione, lamentando, da un lato, la violazione dei principi dettati ai fini dell’individuazione del giudice competente a dichiarare il fallimento e, dall’altro lato, che fossero state disattese le norme in tema di prevenzione e di coordinamento tra concordato preventivo e fallimento, in quanto l’accoglimento della domanda di concordato preventivo presentata innanzi al Tribunale di Roma era stato precluso proprio dalla pronuncia della sentenza del Tribunale di Teramo che aveva dichiarato il fallimento.

SOLUZIONE

[1] Disattesa la prima censura, la Corte di cassazione ha respinto in limine anche il secondo motivo di ricorso, volto a contestare la preclusione della possibilità di accedere alla procedura di concordato preventivo per effetto della dichiarazione di fallimento, ma per ragioni di carattere squisitamente processuale, ossia perché l’eccezione di improcedibilità del procedimento prefallimentare per la contemporanea pendenza, innanzi al Tribunale di Roma, della domanda di concordato preventivo era stata introdotta tardivamente e il capo della sentenza di appello che aveva ravvisato tale tardività non era stato specificamente impugnato.

Ciononostante, i giudici di legittimità hanno reputato opportuno esaminare comunque il merito della doglianza in questione, per la particolare rilevanza della problematica a essa sottesa, delineando i principi che regolano i rapporti tra le procedure di fallimento e di concordato preventivo e affermando che, nel caso di specie, la Corte di Appello di L’Aquila ne aveva fatto corretta applicazione.

QUESTIONI

[1] Nel delineare i rapporti tra la procedura di concordato preventivo e quella prefallimentare, i giudici di legittimità hanno preso le mosse dagli approdi ai quali sono giunte le Sezioni Unite della Corte di cassazione con le sentenze n. 9935 e n. 9936 del 15 maggio 2015, richiamando e facendo propria la ricostruzione ivi prospettata.

In dette pronunce, in particolare, era stato escluso che il necessario coordinamento tra le due procedure possa essere realizzato vuoi mediante la dichiarazione di improcedibilità di quella prefallimentare, vuoi mediante la sospensione di quest’ultima in attesa della definizione di quella di concordato preventivo, non essendo ravvisabile un nesso di pregiudizialità-dipendenza in senso tecnico tra le due domande, ricorrente solo quando la situazione sostanziale dedotta nel processo pregiudicante rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta nella causa pregiudicata.

Nel contempo, le Sezioni Unite hanno posto in evidenza la parziale identità dei soggetti coinvolti nelle due procedure, quando l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento venga assunta dai creditori; la coincidenza quantomeno parziale della causa petendi (rappresentata dallo stato di insolvenza, atteso che, sebbene il presupposto per l’ammissione al concordato preventivo, rappresentato dallo stato di crisi, sia nozione più ampia di quella di stato di insolvenza, nondimeno ogni ipotesi di insolvenza integra a maggior ragione uno stato di crisi rilevante ai fini dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, sicché la causa petendi della relativa domanda contiene quella della domanda di fallimento); la parziale coincidenza del petitum, individuato nella regolazione della crisi ovvero dello stato di insolvenza secondo le diverse regole proprie delle due procedure.

Alla stregua di tale impostazione, lo strumento di raccordo è stato individuato nell’istituto della continenza e, così, nella riunione dei procedimenti ai sensi dell’art. 39, comma 2, c.p.c., che consente al tribunale, in caso di esito negativo della domanda di concordato, di decidere immediatamente sulle istanze di fallimento riunite, ridimensionando il rischio di un abuso dell’istituto del concordato preventivo realizzato mediante l’artificiosa reiterazione della relativa domanda al solo scopo di evitare la dichiarazione di fallimento.

In questo modo, è stato abbracciato l’orientamento giurisprudenziale che ricomprende nella nozione di continenza non soltanto le ipotesi nelle quali le cause contemporaneamente pendenti siano caratterizzate da identità di soggetti e di causa petendi e da una differenza meramente quantitativa del petitum, ma anche i casi di interdipendenza tra le cause, la decisione di una delle quali sia presupposto per la decisione dell’altra, ovvero le fattispecie nelle quali la riunione delle cause appaia non semplicemente opportuna ma doverosa, onde evitare conflitti pratici (e non meramente logici) tra giudicati.

Nonostante la differenza che caratterizza le due domande (posto che quella di ammissione al concordato preventivo introduce un procedimento di natura tipicamente volontaria, mentre quella di fallimento dà luogo a un processo), l’esigenza di favorire la riunione dei procedimenti attraverso l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 39, comma 2, c.p.c. costituisce, secondo i giudici di legittimità, la ragione della ricomprensione dei loro rapporti nell’ambito di operatività dell’istituto della continenza.

Condizione fondamentale per ritenere applicabili le norme in materia di riunione di procedimenti, peraltro, è la loro contemporanea pendenza, con gli adattamenti del caso laddove siano incardinati, rispettivamente, innanzi a giudici uguali o diversi ovvero si trovino nello stesso o in diverso grado.

Proprio per questo motivo, nella sentenza che si annota, la doglianza della società ricorrente – oltre che inammissibile – è stata reputata infondata, visto che, nella pendenza del procedimento prefallimentare (essendo stata appellata la sentenza del Tribunale di Teramo che aveva dichiarato il fallimento), quello originante dalla domanda di concordato preventivo si era concluso, con la pronuncia del provvedimento del Tribunale di Roma che aveva dichiarato la propria incompetenza, divenuto definitivo stante la mancata proposizione di alcuna impugnazione.

Detto ciò, sono state dettate le regole da osservare nel caso in cui, al contrario, sussista la contemporanea pendenza dei due procedimenti, ispirate al principio del loro coordinamento volto a privilegiare, ove possibile, la soluzione negoziale della crisi, in luogo del fallimento:

  • qualora siano contemporaneamente pendenti innanzi allo stesso ufficio giudiziario, il procedimento concordatario e quello prefallimentare debbono essere riuniti, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 273 c.p.c.;
  • quando il debitore sia consapevole della pendenza dell’istruttoria prefallimentare anteriormente introdotta avanti a un determinato ufficio giudiziario, è tenuto a proporre la domanda di concordato preventivo innanzi al medesimo tribunale, anche se lo ritenga incompetente, onde consentire che i due procedimenti confluiscano dinanzi al medesimo tribunale;
  • quando, invece, sia la domanda di concordato a precedere l’istanza di fallimento e quest’ultima sia stata depositata innanzi a un ufficio giudiziario diverso da quello avanti al quale pende la procedura concordataria, il tribunale successivamente adito dovrà essere sollecitato ad adottare i provvedimenti previsti dall’art. 39, comma 2, c.p.c., salvo che vi provveda d’ufficio;
  • nel caso in cui, infine, la domanda di concordato preventivo e il procedimento prefallimentare siano pendenti innanzi a uffici giudiziari diversi, il debitore dovrà impugnare, in quanto sia consentito, tutti i provvedimenti adottati, anche in rito, che possano ostacolare il preliminare esame della domanda di concordato preventivo proposta, atteso che l’eventuale accoglimento del reclamo ex 18 l.fall. avverso la sentenza di fallimento di cui si pretenda l’illegittimità a causa del mancato preventivo esame della domanda concordataria presuppone che quest’ultima sia ancora sub iudice.