14 Settembre 2021

L’omessa verbalizzazione dell’assemblea è vizio procedimentale: il verbale deve essere redatto anche quando l’assemblea non delibera

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale Civile di Modena, dott. Di Pasquale, sentenza del 2 aprile 2021, n. 570

La redazione del verbale costituisce una delle prescrizioni di forma che devono essere imprescindibilmente osservate dall’assemblea, sicché il verbale deve essere redatto anche quando l’assemblea non delibera, in modo da consentire il controllo di ogni fase procedimentale per la validità assembleare.

L’omessa verbalizzazione dell’assemblea costituisce un vizio procedimentale, come tale denunciabile nel termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art. 1137 co. 3 c.c..

Inoltre, nel verbale devono essere inderogabilmente indicati sia i condòmini sia le rispettive quote millesimali, ai sensi dell’art. 1136 c.c. La mancata indicazione delle quote millesimali dei condomini presenti all’assemblea non consente di verificare la validità sia della costituzione della stessa che delle relative deliberazioni.

Peraltro, lo scioglimento di un condominio può essere disposto solo quando il complesso immobiliare sia suscettibile di divisione, senza che si debba attuare una diversa ristrutturazione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, mentre, laddove la divisione non sia possibile senza previa modifica dello stato delle cose mediante ristrutturazione, lo scioglimento e la costituzione di più condomìni separati possono essere approvati soltanto dall’assemblea con un numero di voti che sia espressione di due terzi del valore dell’edificio e rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio.

CASO

Alfa S.r.l., condomina, acquistava in data 12.11.2012 un’unità immobiliare ubicata nel Condominio BETA, insistente in Sassuolo. Attesa la mancanza di un amministratore, proponeva ricorso per la nomina dello stesso ex art. 1129 c.c., all’esito del quale il Tribunale di Modena con provvedimento del 15.10.2014 nominava un amministratore condominiale. La prima assemblea del condominio veniva indetta dal predetto amministratore – in prima convocazione – il giorno 13.11.2015, e in seconda convocazione il giorno 16.11.2015. In tale seconda assemblea veniva deliberato lo scioglimento del condominio, votato all’unanimità da 10 partecipanti presenti, su un totale di 14, ai sensi dell’art. 61 disp. att. c.c. (espressamente richiamato nel verbale) prevedendo la creazione di tre condomìni separati, in cui si regolavano anche i rapporti tra i tre nuovi condomìni con riferimento ad alcuni beni di uso comune.

Alfa s.r.l. agiva quindi in giudizio innanzi al Tribunale di Modena nei confronti del Condominio BETA e di tutti i costituendi condòmini, impugnando le deliberazioni assunte dall’assemblea del Condominio BETA in data 16.11.2015 e chiedendo contestualmente al Giudice di accertarne e dichiararne la nullità o l’annullamento della delibera.

Secondo l’attrice Alfa s.r.l. la delibera di tale assemblea era invalida (nulla o annullabile) in ragione dell’insussistenza dei presupposti per lo scioglimento del condominio ex art. 61 disp att. c.c.; della mancata votazione alcuni punti del verbale; nonché a causa di vizi del verbale relativi alla mancata verbalizzazione dell’assemblea in prima convocazione; alla imprecisa elencazione dei proprietari e delle singole unità abitative, e alla mancanza di indicazione delle relative quote millesimali.

SOLUZIONE

Il giudice preliminarmente rilevava la regolarità della proposizione del giudizio con atto di citazione tempestivamente e regolarmente notificato in seguito all’espletazione della procedura di mediazione obbligatoria. Riteneva fondati tutti i motivi d’impugnazione proposti da Alfa s.r.l. e dichiarava nulla la delibera assembleare de qua.

QUESTIONI

La pronuncia del Tribunale di Modena pone rilevanza su alcune questioni di interesse, relative a vizi sostanziali e procedurali che possono affliggere la delibera assembleare con cui si dispone lo scioglimento del condominio.

In primo luogo, si osserva nella sentenza come le controversie riguardanti la materia condominiale siano assoggettate alla speciale disciplina della mediazione obbligatoria; pertanto, nel caso di impugnazione di delibere assembleari, occorre primariamente proporre la mediazione obbligatoria ex art. 5 D.Lgs 28/10. Ciò inevitabilmente interferisce con la disciplina del termine perentorio previsto per l’impugnazione della delibera assembleare: infatti il termine di trenta giorni, di cui all’art. 1137, comma 2, c.c., interrotto a seguito della comunicazione di convocazione innanzi all’organismo di mediazione, riprende nuovamente a decorrere, per un ulteriore ed ultimo termine decadenziale di trenta giorni, a far data dal deposito del verbale di mediazione presso la segreteria dell’organismo.

Nel caso di specie la mediazione e l’impugnazione erano state tempestivamente proposte con riferimento all’azione di annullamento esperibile nel termine di decadenza di 30 giorni previsto dall’art. 1137 co. 3 c.c..

Relativamente ai motivi d’impugnazione, il giudice riteneva fondata l’impugnazione della delibera assembleare che censurava la mancanza del verbale dell’assemblea condominiale in prima convocazione. Agli atti non risultava infatti il verbale dell’assemblea in prima convocazione.

Si affermava in tal senso che la redazione del verbale costituisce una delle prescrizioni di forma che devono essere comunque osservate dall’assemblea, sicché il verbale deve essere redatto anche quando l’assemblea non delibera, in modo da consentire il controllo di ogni fase procedimentale per la validità dell’assemblea.

L’omessa verbalizzazione dell’assemblea in prima convocazione, costituisce un vizio procedimentale, come tale denunciabile nel termine di decadenza di 30 giorni previsto dall’art. 1137 co. 3 c.c..

Il Tribunale riteneva altresì fondato il motivo d’impugnazione relativo alla mancata indicazione dei millesimi di proprietà nel verbale.

Invero, nel verbale dell’assemblea in seconda convocazione, sebbene venissero indicati i nomi dei soli condomini presenti (10 su 14) nonché i nomi dei delegati, non erano indicati i relativi millesimi di proprietà.

È tuttavia pacifico che nel verbale debbano essere indicati nominativamente sia i condòmini che le rispettive quote millesimali. Invero, le tabelle millesimali attengono da un lato alla ripartizione delle spese e, dall’altro, appunto al funzionamento dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1136 c.c., individuando i valori della proprietà di ogni condomino.

Nel caso di specie la mancata indicazione delle quote millesimali dei condomini presenti all’assemblea non consente di verificare la validità sia della costituzione della stessa che delle relative deliberazioni.

Nella fattispecie trova applicazione l’art. 62 disp. att. c.c., secondo cui lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 comma 5 c.c., ovvero la maggioranza degli intervenuti ed almeno due terzi del valore dell’edificio.

Ed è evidente che, senza l’indicazione nel verbale delle quote millesimali dei condomini presenti e in mancanza di altri elementi allegati dai convenuti, l’approvazione all’unanimità dei 10 su 14 condomini presenti costituisce prova del requisito della maggioranza degli intervenuti ma non anche di quella dei due terzi del valore dell’edificio.

Il Tribunale riteneva poi opportuno esaminare anche il motivo di merito dell’impugnazione relativo all’insussistenza dei presupposti per lo scioglimento del condominio ex art. 61 disp att. c.c., ritenendolo anch’esso fondato.

Premetteva che per quanto nel verbale di assemblea de quo veniva richiamato il solo art. 61 disp. att. c.c., in realtà alla fattispecie si applicavano le norme di cui agli art. 61 e anche 62 disp. att. c.c.

Il giudice di merito faceva riferimento alla più consolidata giurisprudenza di legittimità[1] la quale ha statuito che “a norma degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., lo scioglimento del condominio di un edificio o di un gruppo di edifici, appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi, in tanto può dare luogo alla costituzione di condomìni separati, in quanto l’immobile o gli immobili oggetto del condominio originario, possano dividersi in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, quand’anche restino in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall’art. 1117c.c.. Il tenore della norma, riferito all’espressione “edifici autonomi” esclude di per sé che il risultato della separazione si concreti in un’autonomia meramente amministrativa, giacché, più che ad un concetto di gestione, il termine “edificio” va riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomìni, dev’essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. La sola estensione che può consentirsi a tale interpretazione è quella prevista dall’art. 62 citato, il quale fa riferimento all’art. 1117 c.c. (parti comuni dell’edificio in quanto destinate in modo permanente al servizio generale e alla conservazione dell’immobile, riguardato sia nel suo complesso unitario che nella separazione di edifici autonomi). In questo ultimo caso, l’istituzione di nuovi condomìni non è impedita dalla permanenza in comune delle cose indicate dall’art. 1117, la cui disciplina d’uso potrà formare oggetto di particolare regolamentazione riferita alle spese e agli oneri relativi. Al di fuori di tali interferenze di carattere amministrativo espressamente previste dalla legge, se la separazione del complesso immobiliare non può attuarsi se non mediante interferenze ben più gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri condòmini, alla cui proprietà verrebbero ad imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, è da escludere, in tale ipotesi che l’edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa.

Questi principi sono stati ripresi anche dalla più recente giurisprudenza[2] che ha ribadito che lo scioglimento di un condominio può essere disposto solo quando il complesso immobiliare sia suscettibile di divisione, senza che si debba attuare una diversa ristrutturazione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, mentre, laddove la divisione non sia possibile senza previa modifica dello stato delle cose mediante ristrutturazione, lo scioglimento e la costituzione di più condomìni separati possono essere approvati soltanto dall’assemblea con un numero di voti che sia espressione di due terzi del valore dell’edificio e rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio.

Resta quindi preclusa la possibilità di attuare la separazione in caso di interferenze gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri condomini, alla cui proprietà verrebbero ad imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, in quanto ciò porta ad escludere che l’edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa.

Poste tali premesse in diritto, il giudice riteneva che la delibera impugnata non rispettasse i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità.

Invero, in tale delibera si affermava che i tre edifici erano strutturalmente del tutto autonomi, realizzati in epoche diverse e con tecniche costruttive differenti, condividendo unicamente alcuni spazi comuni.

I dieci condomini presenti all’assemblea votavano quindi, all’unanimità, lo scioglimento del condominio prevedendo la creazione di tre condomìni separati. Nel verbale, anche se in modo non chiaro, sia perché lo stesso è manoscritto che per il contenuto delle previsioni, venivano regolati anche i rapporti tra i tre nuovi condomìni con riferimento a taluni beni di uso comune (ingresso, ballatoi, scale e cortile comuni nonché unità immobiliari con vani posti in condomìni diversi).

Disposta la consulenza tecnica d’ufficio, il consulente individuava le parti comuni quali scale, strutture, parti in elevazione portanti, coperture, precisando e indicando le opere di suddivisione necessarie per la divisione delle unità e per renderle inequivocabilmente e del tutto autonome. Verificato che lo scioglimento del condominio non era realizzabile se non nei termini e con le modalità indicate dal c.t.u., il giudice dichiarava la nullità della deliberazione assembleare perché fondata sull’erroneo presupposto tecnico dalla possibilità di divisione in tre edifici strutturalmente autonomi.

[1] Cass. Civ. sent. n. 1964/1963; in senso conforme cfr. Cass. Civ. sent. n. 21686/2014; Cass. Civ. sent. n. 22041/2019.

[2] Cass. Civ. sent. n. 27507/2011.

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