1 Giugno 2021

Locazione e garanzie in termini di responsabilità precontrattuale e obbligo di buona fede

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. VI, ordinanza n. 49 del 2021, Presidente Graziosi, Estensore Iannello

In tema di responsabilità precontrattuale, l’art. 1337 cod. civ. e l’art. 1338 cod. civ., che ne costituisce specificazione, mirando a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera, e, comunque, dalla ignoranza della causa d’invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta, presuppongono non solo la colpa di una parte nell’ignorare la causa di invalidità del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell’altra parte nel confidare nella sua validità. Ne consegue che quando, in particolare, la causa di invalidità del negozio derivi da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali – cioè – da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini e, comunque, tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa contrattuale a carico dell’altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse.

La vicenda esaminata.

Il sig. C intraprendeva con il sig. L, in qualità di proprietario e locatore di un immobile offerto in locazione, trattative precontrattuali per concludere un accordo di locazione avente ad oggetto il bene, del quale il locatore – nel corso degli incontri – aveva espressamente  garantito determinate caratteristiche che rispecchiavano le necessità del conduttore (la metratura, l’uso commerciale e la presenza di tre posti auto a servizio del negozio).

Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo, con pattuizione del canone mensile e del versamento di un deposito cauzionale, alla consegna del locale il conduttore scopriva che l’immobile non era dotato delle qualità che gli erano state confermate in sede di trattativa dal signor L, e dunque che la metratura era inferiore, che l’immobile non era accatasto come negozio bensì come magazzino e che non vi erano posti auto ad uso esclusivo.

Il sig. C, pertanto, essendosi determinato a contrarre principalmente sulla base di quelle caratteristiche di cui l’immobile risultava privo, agiva in giudizio contro il sig. L per chiedere la restituzione della cauzione versata ed il risarcimento delle spese sostenute per l’incarico conferito per la ristrutturazione del locale. La domanda attorea trovava accoglimento da parte del Giudice di primo grado e conferma in sede di appello. La Corte territoriale in particolare sottolineava come fosse evidente la mala fede del locatore, il quale aveva indotto il conduttore a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso, a nulla rilevando il fatto che il sig. C potesse di sua sponte eseguire una perizia catastale per accertarsi della reale metratura dell’immobile e della sua destinazione d’uso.

Infatti, le parti di un negozio giuridico sono tenute sempre a rispettare i principi di correttezza e buona fede ovvero il dovere di informazione della controparte circa le possibilità di conclusione del contratto, senza omettere circostanze significative in relazione all’economia del negozio, sì che la trattativa si svolga in modi coerenti e senza dar adito a comportamenti contraddittori.

Avverso la sentenza di condanna, il sig. L proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque diversi motivi: in particolare, con il primo lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto irrilevante il fatto che il conduttore ben potesse autonomamente eseguire una visura catastale e scoprire le reali caratteristiche del bene immobile. Il ricorrente sosteneva infatti che la propria condotta, consistita nel non rivelare un’informazione, pur essenziale, ma che la controparte era in grado di procurarsi da sé, con uno sforzo mediamente ragionevole, non configurasse una condotta scorretta, sanzionabile sul piano risarcitorio a titolo di responsabilità precontrattuale. Con i restanti motivi di ricorso, il sig. L lamentava il travisamento della prova testimoniale, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. per avere la Corte d’appello compreso tra i danni risarcibili anche il pagamento dei compensi al tecnico incaricato dal conduttore della progettazione dei lavori nel locale – trattandosi di danno che quest’ultimo avrebbe potuto evitare secondo l’ordinaria diligenza, nonché l’erronea condanna del convenuto al pagamento di un’ulteriore somma per responsabilità processuale aggravata, ed infine l’erronea liquidazione delle spese processuali poste a suo carico.

La Suprema Corte di cassazione ha rigettato il ricorso ritenendo inammissibili tutti e cinque i motivi proposti dal sig. L.

La responsabilità precontrattuale

Per quanto qui di rilievo, si dà specificamente atto delle conclusioni della Suprema Corte in ordine alla violazione dell’art. 1337 c.c.: la stessa ha infatti colto l’occasione per ribadire un proprio consolidato orientamento in tema di interpretazione delle norme sulla responsabilità precontrattuale, secondo il quale “gli artt. 1337 e 1338 c.c., mirando a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera, e, comunque, dalla ignoranza della causa d’invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta, presuppongono non solo la colpa di una parte nell’ignorare la causa di invalidità del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell’altra parte nel confidare nella sua validità”.[1] Con la conseguenza che “quando, in particolare, la causa di invalidità del negozio derivi da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali – cioè – da dover essere note per presunzione assoluta dalla genericità dei cittadini e, comunque, tali che la loro ignoranza ben avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa contrattuale a carico dell’altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse.[2]

Nel caso in questione, tuttavia, la Suprema Corte ha concluso sottolineando come la suddetta valutazione di fatto fosse inerente al merito della questione e quindi insindacabile in sede di legittimità, per cui la stessa non poteva censurare la valutazione operata dalla Corte territoriale, che aveva ritenuto irrilevante la possibilità per il contraente conduttore di accertare le caratteristiche dell’immobile offerto in locazione con una semplice visura catastale.

La Corte di Cassazione, inoltre, ha voluto ribadire nella propria ordinanza l’ulteriore valutazione compiuta dal giudice di merito, il quale ha insistito sulla condotta non meramente inerte del contraente locatore, bensì attiva nel mistificare, con dolo e mala fede, la dimensione e la destinazione dell’immobile. Il Giudice di prime cure ha così attribuito a questa condotta un ruolo causale preponderante e idoneo anche a giustificare il comportamento della controparte, sì da escludere ogni addebito di colpa a questa ascrivibile.

L’ordinanza di cui in epigrafe offre lo spunto per esporre in breve commento le norme regolatrici della fase antecedente e prodromica alla stipula di un contratto di locazione (ma in verità estendibili a qualsiasi contratto).

La conclusione del contratto, infatti, passa attraverso un iter precontrattuale durante il quale le parti pongono in essere una serie di atti preparatori, propedeutici al raggiungimento dell’accordo contrattuale, ma che rimangono nella piena libertà delle stesse in quanto alla loro forma e al loro contenuto. Si tratta, dunque, di mere manifestazioni di interesse, che non hanno alcuna efficacia vincolante e non sono fonte di obbligazioni di natura contrattuale. In tale fase, in linea di massima, non sorgono ancora impegni per il promittente locatore e per il promissario conduttore; questi ultimi sono però tenuti a comportarsi secondo buona fede e correttezza, sia in forza dell’art. 1175 cod. civ.[3], sia più specificamente del successivo art. 1337 cod. civ.[4]: in particolare, le parti nel corso delle trattative hanno il dovere di fornire reciprocamente tutte le informazioni necessarie in ordine sia alla situazione personale di entrambe sia oggettiva del bene offerto in locazione. Nella predetta fase, le parti non si sono ancora vincolate contrattualmente, e nel nostro ordinamento – sussistendo il principio di libertà contrattuale anche negativa – le stesse non sono tenute a raggiungere la conclusione del contratto, per cui mantengono sempre la facoltà di recedere liberamente dalle trattative, indipendentemente dalla estrinsecazione di un giustificato motivo, verificata la eventuale non convenienza della stipula del contratto. Tutto ciò, però, si deve conciliare con il rispetto del dovere di buona fede, potendo le parti sempre incorrere in responsabilità precontrattuale, ogniqualvolta il comportamento di una di esse abbia ingenerato nell’altra un legittimo affidamento nella futura conclusione del contratto.[5]

È consolidato in dottrina e giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, che il contraente che illude l’altra parte nello svolgimento delle trattative pone in essere un comportamento sleale e scorretto, e perciò può essere convenuto in giudizio e condannato al rimborso delle spese ingiustamente sostenute dalla parte che abbia confidato nel buon esito dell’affare. Perché ciò accada, però, occorre che le trattative siano giunte in stato avanzato, cioè al punto che nella parte (che invoca l’altrui responsabilità) si sia ingenerato un obiettivo e ragionevole affidamento nella stipula prossima del contratto, oltre che il recesso sia del tutto immotivato e privo di appropriate giustificazioni.[6]

Il dovere di informare

Inoltre, la responsabilità prevista dall’art. 1337 c.c., oltre che in caso di rottura ingiustificata delle trattative, può derivare anche dalla violazione dell’obbligo di lealtà reciproca che si concretizza nella necessità di osservare il dovere di completezza informativa circa la reale intenzione di concludere il contratto, senza che alcun mutamento delle circostanze possa risultare idoneo a legittimare la reticenza o la maliziosa omissione di informazioni rilevanti nel corso della prosecuzione delle trattative finalizzate alla conclusione del contratto.[7]

L’ordinanza di cui in commento, infatti, valorizza proprio questo aspetto inerente alla omissione di informazioni determinanti rispetto alla manifestazione di volontà del contraente, offrendo però una precisazione, sintetizzabile nel principio della ignorantia legis non excusat.

Tale principio, tuttavia, in materia contrattuale non ha un valore generale ed assoluto dal quale desumere in modo incondizionato ed aprioristico l’inescusabilità dell’ignoranza dell’invalidità contrattuale che trovi fondamento in norme di legge, poiché è comunque necessario indagare caso per caso sulla diligenza e, quindi, sulla scusabilità dell’affidamento del contraente, avendo riguardo non solo (e non tanto) alla conoscibilità astratta della norma, ma anche all’esistenza di interpretazioni univoche della stessa e, soprattutto, alla conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità.

Il contraente che ignori una norma di legge o intenda sottrarsi alla sua osservanza si troverebbe in una situazione ben diversa dal contraente che, eventualmente in presenza di interpretazioni non univoche della giurisprudenza, affermi di aver creduto che la fattispecie concreta fosse tale da non rientrare nella previsione legale d’invalidità a lui nota.

 Secondo parte della giurisprudenza, inoltre, l’astratta conoscenza della norma non sarebbe elemento decisivo per la percezione dell’invalidità o inefficacia del contratto, per la quale spesso si richiede la necessaria cooperazione dell’altro contraente, che sarebbe tenuto a comunicare le circostanze di fatto cui la legge ricollega la invalidità o inefficacia, quando ne sia (o ne debba essere) informato in ragione delle sue qualità professionali o istituzionali e, in mancanza, non può sfuggire alla responsabilità per culpa in contrahendo.[8]

[1] Cass. civ. sent. 21/08/2004 n. 16508.

[2] Cass. civ. sent. 18/05/2016 n. 10156; Cass. civ. sent. 08/07/2010 n. 16149; Cass. civ. sent. 26/06/1998, n. 6337.

[3] Art. 1175 cod. civ. Comportamento secondo correttezza “Il debitore e il creditore sono tenuti a comportarsi secondo le regole della correttezza.”

[4] Art. 1337 cod. civ. Trattative e responsabilità precontrattualeLe parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.

[5] Dalle trattative alla firma del contratto, in Edicola Fisco, a cura di Augusto Cirla, Cristina Langher, 27 giugno 2019, p. 20-24.

[6] ex multis, Cass. civ. sez. II 15.04.2016 n. 7545, Cass. civ. sez. III 29.03.2007 n.7768, Cass. civ. sez. III 13.03.1996 n.2057, Cass. civ. sez. III 30.03.1990 n.2623.

[7] Cass. civ., Sezione 2, Sentenza 26 aprile 2012 n. 6526.

[8] Corte d’Appello, Roma, Sezione 1, Civile, Sentenza 14 gennaio 2021, n. 248.

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