20 Luglio 2021

Limiti alla sindacabilità delle delibere assembleari da parte del giudice di merito

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione civile, sez. II, ordinanza del 2 dicembre 2020, Presidente D’Ascola, Estensore Scarpa

L’assemblea del condominio ha il potere di decidere le modalità concrete di utilizzazione dei beni comuni, nonché di modificare quelle in atto, anche revocando una o precedenti delibere, benché non impugnate da alcuno dei partecipanti e stabilendone liberamente gli effetti, sulla base di una rivalutazione – il cui sindacato è precluso al giudice di merito, se non nei limiti dell’eccesso di potere – dei dati ed apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione degli interessi comuni ed alla buona gestione dell’amministrazione, non producendosi alcun autonomo diritto acquisito in capo ai condomini, ovvero ai terzi, soltanto per effetto ed in sede di esecuzione della precedente delibera. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto illegittima la revoca di precedenti delibere autorizzative all’installazione di un ascensore, per il sol fatto di essere quelle divenute inoppugnabili, senza verificare, al contrario, se la revoca fosse conforme a legge o al regolamento, per non esser stati rispettati i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c. quanto all’installazione dell’impianto).

CASO

Alcuni condomini di un condominio sito a Napoli impugnavano ex art. 1137 c.c. la delibera assembleare del 22.09.2008, con cui l’adunanza condominiale aveva preso atto e accolto l’interesse contrario di altri condomini all’installazione di un ascensore nelle parti comuni dell’immobile. Tale ultima delibera, a parere degli impugnanti, aveva posto nel nulla quanto fino ad allora ottenuto attraverso altre delibere precedenti (occorse tra il 2005 e il 2007), con cui era stata sostanzialmente concessa l’autorizzazione alla predetta installazione dell’ascensore, a seguito del vaglio con esito positivo della ricorrenza di tutti i presupposti di cui alla L. n. 13 del 1989,  nonché del rispetto dei limiti ex art. 1120 c.c. Tale ultima delibera, che veniva impugnata, viceversa respingeva l’autorizzazione adducendo, come fatto nuovo e ostativo alla stessa, l’assenza di approvazione da parte dell’assemblea di un progetto esecutivo.

Il Tribunale di Napoli, in accoglimento dell’impugnazione proposta dai condomini, pronunciava sentenza dichiarativa della nullità della ridetta delibera assembleare. Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello i condomini Antonio e Maria, vedendo però rigettata la loro pretesa dalla Corte d’Appello di Napoli.  Il Giudice del gravame, in accoglimento della decisione di prime cure, riteneva che l’assemblea non potesse – una volta concessa – verificare nuovamente la scelta in ordine all’autorizzazione dell’installazione dell’ascensore, adducendo come fatto nuovo l’assenza del progetto esecutivo, in quanto era già stata appurata in precedenza la sussistenza delle condizioni per procedere alla realizzazione dell’opera in esame e non ricorrevano “elementi nuovi o fatti sopravvenuti”  tali da giustificare un ripensamento collegiale. Pertanto, la Corte rigettava l’appello e confermava la sentenza dichiarativa della nullità della delibera del 2008.

Avverso quest’ultima decisione proponevano ricorso per cassazione i condomini Antonio e Maria, affidato ad un unico motivo principale: la violazione e falsa applicazione dell’art. 1137 c.c. e dell’art. 113 c.p.c., nella misura in cui i Giudici di merito avrebbero indebitamente esteso il proprio sindacato, sulla deliberazione condominiale, alle valutazioni discrezionali spettanti unicamente all’assemblea, inerenti l’opportunità di un più penetrante accertamento sui lavori e sul progetto definitivo dell’impianto da realizzare.

I controricorrenti proponevano ricorso incidentale, richiamando l’eccezione di inammissibilità dell’appello, giacché proposto da interventori adesivi dipendenti.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione premetteva che l’esame del ricorso incidentale, in quanto proposto dalle parti totalmente vittoriose nel giudizio di merito e concernente una questione pregiudiziale di rito esplicitamente decisa dal Giudice del merito – perciò condizionato, poteva avvenire solo in presenza dell’attualità dell’interesse dei controricorrenti, e dunque unicamente nell’ipotesi di fondatezza del ricorso principale.[1] Dunque, la Corte procedeva all’esame della censura principale mossa dai condomini Antonio e Maria, ritenendola ammissibile e fondata, sulla base dei principi che si analizzeranno qui di seguito.

A fronte della fondatezza del ricorso principale, la Suprema Corte passava dunque ad analizzare il ricorso incidentale condizionato, ritenendolo altrettanto fondato, motivo per cui cassava senza rinvio la sentenza impugnata, poiché il processo non poteva essere proseguito per via del difetto di legittimazione ad appellare dei condomini interventori dipendenti.

QUESTIONI

La Corte di Cassazione, nel decidere sul ricorso promosso in via principale e in seguito nell’accogliere il ricorso incidentale condizionato, dà atto di alcuni importanti indirizzi della propria giurisprudenza consolidata, meritevoli di essere analizzati in questa sede.

  1. In prima battuta, viene delineato un chiaro limite al perimetro del sindacato ammissibile da parte del giudice di merito sulle decisioni assunte dall’assemblea dei condomini.
  2. In secondo luogo, viene data definizione – in termini procedurali – dell’esatta posizione dei singoli condomini che intendono sostenere la validità di una delibera assembleare in un giudizio di impugnazione introdotto da altri condomini.

Procedendo con ordine, in merito alla prima questione, la Cassazione ha osservato come l’assemblea sia sempre dotata del potere di decidere, nell’interesse della compagine condominiale, le modalità concrete di utilizzazione dei beni comuni, come anche quello di modificare le modalità in atto in forza di precedenti delibere assembleari, revocandole anche qualora non siano state impugnate da alcuno dei partecipanti.[2]

Nel caso di specie, l’assemblea aveva quindi il potere di rivalutare la rispondenza dell’innovazione – consistente nell’installazione dell’ascensore condominiale – ai limiti segnati dagli artt. 1120 e 1121 c.c., senza che ciò andasse a pregiudicare alcun diritto acquisito dai promotori della realizzazione dell’ascensore. Difatti, un’eventuale “autorizzazione”, concessa dall’assemblea a taluni condomini richiedenti l’esecuzione dell’opera, non può ritenersi produttiva di un autonomo diritto acquisito, bensì alla stessa può attribuirsi solo il valore di mero riconoscimento dell’attuale inesistenza di un interesse contrario o di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione di parti comuni.[3] Una siffatta delibera, pertanto, rimane revocabile dalla medesima assemblea, nel caso di una rivalutazione di dati ed apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione degli interessi comuni ed alla buona gestione dell’amministrazione.

Passando quindi a valutare fin dove possa spingersi il sindacato del giudice di merito su una delibera assembleare, la Suprema Corte specifica che questo sia precluso in ordine all’uso da parte dell’assemblea della summenzionata facoltà di nuovo apprezzamento, se non nei limiti consentiti dall’indagine per l’accertamento dell’eccesso di potere, e cioè in caso di un grave pregiudizio per la cosa comune (art. 1109, comma 1, n. 1 c.c). Nel caso di specie, i Giudici partenopei avrebbero dovuto incentrare la verifica sulla deliberazione alla sola conformità con la legge e con il regolamento di condominio; viceversa, hanno illegittimamente affermato che la delibera impugnata avesse sostituito precedenti delibere sull’argomento ritenute erroneamente inoppugnabili.

È infatti espressione di un principio consolidato in giurisprudenza che, in tema di condominio, il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non possa estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi ad un riscontro di legittimità, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all’art. 1137 c.c. non è finalizzato a controllare l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata delibera, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell’assemblea.[4]

Venendo ora ad analizzare la seconda questione posta dalla sentenza in epigrafe, di natura procedurale e presa in esame dalla Suprema Corte solo in forza della fondatezza del ricorso principale, deve innanzitutto riportarsi la massima, a mente della quale “Nel giudizio di impugnazione di una delibera assembleare ex art. 1137 c.c., i singoli condomini possono volontariamente costituirsi mediante intervento che, dal lato attivo, va qualificato come adesivo autonomo (con la facoltà di coltivare il procedimento nei vari gradi di lite, anche in presenza di rinunzia o acquiescenza alla sentenza da parte dell’originario attore), ove essi siano dotati di autonoma legittimazione ad impugnare la delibera, per non essersi verificata nei loro confronti alcuna decadenza, ovvero, se quest’ultima ricorra, come adesivo dipendente (e, dunque, limitato allo svolgimento di attività accessoria e subordinata a quella della parte adiuvata, esclusa la possibilità di proporre gravame)”.

Inoltre, la Corte precisa che è altrettanto ammissibile un intervento dei singoli condomini a favore del condominio, e cioè volto a sostenere la validità della deliberazione impugnata, prescindendo da interessi strettamente individuali (quindi slegato dalla tutela o dall’esercizio di diritti reali su parti comuni). In questo secondo caso, dunque, il fulcro della controversia è l’impugnazione della delibera e quindi il soddisfacimento di esigenze collettive della comunità condominiale; da tale caratteristica consegue che unico legittimato passivo rispetto a queste controversie è l’amministratore di condominio, ragion per cui l’eventuale intervento del singolo condomino a sostegno della validità della delibera impugnata si connota come adesivo dipendente. Ulteriore conseguenza ne è che tale interventore non è ammesso a proporre gravame avvero la sentenza che abbia visto soccombente il condominio, se l’amministratore ha prestato acquiescenza. La Corte infatti conclude che: “la legittimazione passiva esclusiva dell’amministratore del condominio nei giudizi relativi alla impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea promossi dal condomino dissenziente discende dal fatto che la controversia ha per oggetto un interesse comune dei condomini, ancorché in opposizione all’interesse particolare di uno di essi”.[5]

In conclusione, i poteri del condomino intervenuto in posizione adesiva dipendente come sopra specificato sono limitati all’espletamento di un’attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata; in particolare, in caso di acquiescenza della sentenza da parte di quest’ultima, l’interventore adesivo dipendente non può proporre alcuna autonoma impugnazione, né in via principale né in via incidentale.[6]

Nel caso di specie, dunque, sussisteva un difetto di legittimazione ad appellare la sentenza di primo grado in capo ai condomini Antonio e Maria, stante l’acquiescenza del Condominio nei confronti della pronuncia dichiarativa della nullità della delibera assembleare. Pertanto, la SC cassava senza rinvio la sentenza impugnata poiché il processo non poteva essere proseguito.

[1] Cass. Sez. U, 25/03/2013, n. 7381

[2] Cass. Sez. 2, 29/03/2007, n. 7711

[3] Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554

[4] Cass. civ., Sentenza n. 20135/2017

[5] Cass., Sez. 2, 12/12/2017, n. 29748; Cass. Sez. 2, 20/04/2005, n. 8286; Cass. Sez. 2, 14/12/1999, n. 14037; Cass. Sez. 2, 19/11/1992, n. 12379; Cass. Sez. 2, 11/08/1990, n. 8198

[6] Cass. Sez. U, 17/04/2012, n. 5992; da ultimo, arg. da Cass. Sez. 2, 30/11/2020, n. 27300

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