19 Novembre 2019

Legittimità del versamento post fallimento effettuato dal garante, o da suo delegato, sul conto corrente del fallito

di Federico Callegaro, Cultore di Diritto Commerciale presso l' Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. VI, Sent. 12 marzo 2019, n. 13458, Pres. Di Virgilio – Est. Pazzi

Parole chiave: Effetti del fallimento sui rapporti giuridici – Adempimento del Garante del Fallito – Modalità di adempimento diretta e indiretta.

Massima: Non viola il principio di cristallizzazione dei rapporti facenti capo al fallito, il versamento effettuato dal garante su un rapporto di conto corrente del garantito dichiarato fallito in essere presso la banca creditrice, anche se effettuato in maniera indiretta per il tramite di terzo, perché la creditrice medesima se ne giovi.

Riferimenti normativi: artt. 44 secondo comma, 67 Legge Fallimentare ed art. 1180 cod. civ.

Caso: Successivamente alla dichiarazione di fallimento di un imprenditore, il genitore del fideiussore provvedeva a versare, in nome e per conto del figlio a titolo di adempimento degli obblighi di garanzia, la somma pattuita con la Banca direttamente sul conto corrente intrattenuto presso quest’ultima dal fallito.

Soluzione

La questione riguarda l’opponibilità alla massa fallimentare del versamento effettuato dal garante di una Banca creditrice verso il fallimento, mediante versamento sul conto corrente intestato al fallito presso a Banca stessa non personalmente bensì per il tramite di terzo incaricato – nel caso di specie il padre -. Nel merito era stata ritenuta la non opponibilità alla massa fallimentare di tale versamento con diritto, della Curatela, ad ottenere la revoca, ex art. 67 della Legge Fallimentare, del versamento stesso. La Suprema Corte ha ritenuto – partendo dall’assunto se la dichiarazione di fallimento provoca la cristallizzazione dei rapporti facenti capo al fallito sia dal lato attivo che dal lato passivo, sicchè nessun pagamento del fallito può avere efficacia nei confronti dei creditori così come nessun

pagamento dei creditori effettuato a mani del fallito può avere effetto liberatorio per la parte obbligata – che non rimane regolato dalla disciplina dell’art. 44 1. fall. il pagamento che esuli da queste finalità e sia volto invece, secondo il principio di autonomia contrattuale, a estinguere un debito verso un soggetto diverso dal fallito, seppur in maniera indiretta, vale a dire mediante accreditamento della somma sul conto del garantito dichiarato fallito perché la banca se ne giovi. A ciò, la stessa Suprema Corte ha aggiunto come ai fini dell’applicazione dell’art. 44, comma 2, 1. fall. il pagamento di cui è chiesta la declaratoria di inefficacia debba essere indagato, quanto a titolo e causa, allo scopo di verificare se esso sia volto all’estinzione di un debito verso il fallito, e dunque violi il principio di cristallizzazione dei rapporti facenti capo al fallito, oppure intenda estinguere un debito verso un soggetto diverso, anche se in maniera indiretta, mediante accreditamento della somma sul conto del garantito dichiarato fallito.

La pronuncia, inoltre, richiama come non solo l’adempimento del terzo ex art. 1180 cod. civ. costituisca una modalità di adempimento dell’obbligazione del debitore equivalente all’adempimento diretto non snaturando, di per sé, l’obbligazione che intende soddisfare, ma soprattutto perché ai fini dell’applicazione dell’art. 44, comma 2, 1. fall. “il pagamento di cui è chiesta la declaratoria di inefficacia deve essere indagato”.

Doveroso richiamo, in una visione prospettica della tematica, va fatto all’evoluzione lessical-normativa che deriverà – rebus sic stantibus – dalla prossima entrata in vigore del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”. Il contenuto dell’attuale definizione dell’art. 44, secondo comma, secondo la quale sono inefficaci [rispetto ai creditori][1] i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, risulta sostanzialmente ripreso dalla formulazione dell’art. 144, primo comma, del CCI viene ad unificare i due commi in un unicum che, non da ultimo, viene a ridurre rischi interpretativi derivabili dall’attuale differenziazione.

Questioni applicate nella pratica

La pronuncia in esame offre l’occasione di considerare analizzare, traslati nell’operatività, alcuni aspetti non secondari di interesse sostanzialmente comune sia del garante che del garantito oltre che, non da ultimo, delineare i contorni di legittimità applicativa dell’istituto dell’adempimento esdebitatorio del garante, nei confronti del creditore, in caso di fallimento.

Dal testo della Pronuncia, in sede di commento della pronuncia di primo gravame, si rileva come venga dato atto di un accordo – presupposto della Corte d’Appello -, sui termini o modalità di adempimento dell’obbligo di garanzia, direttamente tra il genitore del garante e la banca, non poteva estinguere riconoscendosi, quindi, come il terzo possa svolgere non una mera attività tecnico – operativa di versamento ma, più complessivamente e comunque in nome e per conto del Garante, della stessa strutturazione dell’accordo alla base dell’adempimento esaustivo degli obblighi di garanzia in capo al rappresentato. Legittimo corollario dell’elaborazione della Corte di Legittimità apparirebbe, sempre ricorrendo la condizione “in nome e per conto”, il “mero” adempimento del terzo in termini come richiesti al garante dal Creditore assente, quindi, un suo intervento nella trattativa. Si osservi, inoltre, come la Pronuncia non consideri la provenienza dei fondi utilizzati dal terzo stesso non venendo a costituire elemento dell’indagine che, in sede di rinvio, la Corte d’Appello è chiamata a svolgere in quanto ininfluente ai fini dell’applicazione dell’art. 44 della legge fallimentare.

Non vi è chi non possa rilevare come la scelta, operata [in modo indiretto] dal fideiussore, di versare sul rapporto di conte corrente presso la Banca creditrice – a debito per effetto dell’inadempimento dell’obbligazione garantita -, il controvalore previsto per l’adempimento della propria obbligazione di garanzia, viene a costituire la manifestazione effettiva e formale diretta dell’Adempimento di pagamento stesso, in grado di spiegare effetti anche sul rapporto Banca Creditrice / Fallimento e, di conseguenza, Garante adempiente / Fallimento (quest’ultimo una volta perfezionati i necessari formali incombenti).

Un cenno, non secondario, merita il rilievo che assume la presenza di data certa della garanzia prestata dal garante atteso come, l’adempimento del primo, in quanto opponibile alla procedura e, quindi, non riconducibile ad un “mero” terzo necessiti di adeguata prova in termini sostanziali – contenuto impegnativo di garanzia e sua riconducibilità all’obbligazione oggetto di adempimento – e formali – forma scritta, data certa, validità del relativo strumento giuridico -.[2]

Da parte della Curatela, in simili casi, deve provvedersi quindi ad un’indagine “quanto a titolo e causa” – secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte, citando i propri precedenti Cass. 10004/2011 e Cass. 7695/1998) – in applicazione del disposto dell’art. 44, comma 2, 1. fall. – non limitandosi ad una interpretazione prettamente letterale di precedenti di Legittimità (Cass. 10004/2011, Cass. 7695/1998).

[1] Secondo un doveroso coordinamento tra il primo ed il secondo comma della previsione.

A tale proposito merita menzione quanto espresso nella Relazione Illustrativa della Proposta Legislativa con riferimento all’art. 144 “Conseguenza della perdita dell’amministrazione e della disponibilità del patrimonio da parte del debitore è l’insensibilità del patrimonio stesso ad ogni azione del suo titolare il quale dunque non ne può disporre con atti aventi efficacia nei confronti dei creditori nemmeno effettuando pagamenti, che possono quindi essere ripetuti, o incassando crediti dei quali il curatore può comunque richiedere nuovamente il pagamento”.

[2] Si riporta quanto espresso in sede di Legittimità in materia di cosiddetta marcatura digitale, (d.lgs. n. 82 del 2005, cd. Codice dell’Amministrazione Digitale) definita “un servizio specificamente volto ad associare data e ora certe e legalmente valide ad un documento informatico, consentendo, quindi, di attribuirgli una validazione temporale opponibile a terzi (cfr. art. 20, comma 3 del d.lgs. n. 82 del 2005 …) … può essere utilizzato anche su files non firmati digitalmente, parimenti garantendone una collocazione temporale certa e legalmente valida. La marca temporale, dunque, attesta il preciso momento in cui il documento è stato creato, trasmesso o archiviato. Infatti, quando l’utente, con il proprio software, avvia il processo di apposizione della marca temporale sul documento (informatico, digitale o elettronico), automaticamente viene inviata una richiesta contenente una serie di informazioni all’Ente Certificatore Accreditato (qui, come si è detto, individuato in Aruba), che verifica in maniera simultanea la correttezza della richiesta delle informazioni, genera la marca temporale e la restituisce all’utente. Questo processo automatico ed immediato garantisce la sicurezza e la validità del processo di marcatura” (Cass., Sez. I, 4 dicembre 2018, n. 4251).

Per completezza si richiama anche una precedente pronuncia, sempre di legittimità, relativa ai termini di opponibilità della marcatura digitale e limiti all’obbligo probatorio in capo al creditore, nella parte in cui – cassando l’impugnata pronuncia di merito -, ha chiarito “se è vero che l’art. 20, comma 3, cod. amm. digitale prevede che la data e l’ora del documento informatico sono opponibili ai terzi solo “se apposte in conformità alle regole tecniche sulla validazione temporale”, è anche vero che l’accreditamento e la conseguente iscrizione della società certificatrice nell’apposito elenco pubblico tenuto dal CNIPA, ai sensi dell’art. 29 cod. cit. …  comporta necessariamente una presunzione di conformità della sua attività a dette regole … . … qui l’atto attributivo di certezza alla data non difetta: esso esiste, mentre è in discussione la sua veridicità, sulla quale incide la presunzione di cui si è detto sopra” (Cass., Sez. I, sentenza 24 marzo, n. 12939).

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