28 Settembre 2021

Le modalità di proposizione della riproposizione dell’eccezione ex art. 346 c.p.c.

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., sez. III, 17 maggio 2021, n. 13182 Pres. Frasca, Rel. Iannello

Procedimento civile – Appello – Onere riproposizione – Istanze istruttorie (C.p.c. artt. 342, 346)

In tema di onere di decadenza in appello dalle domande e dalle eccezioni non riproposte, l’onere previsto dall’art. 346 c.p.c. non si estende automaticamente alle domande istruttorie e ai documenti prodotti; tuttavia,  , quando si riproponga un’eccezione ed essa si fondi sul contenuto di documenti, l’attività di riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. deve necessariamente evocare i documenti e argomentare sul loro contenuto.

CASO

In primo grado l’attrice, in amministrazione straordinaria, proponeva azione revocatoria ex art. 67, comma 2 (nel testo originario, vigente al 7 agosto 2003) con riferimento a due pagamenti eseguiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza.

Si costituiva la convenuta per eccepire che le fatture, cui si riferivano i pagamenti indicati, si inserivano in realtà in un rapporto di somministrazione relativo a fornitura di gas già in corso prima dell’ammissione della committente alla amministrazione straordinaria e che in tale rapporto era subentrata la procedura, con la conseguenza che doveva trovare applicazione l’art. 74 della L.F., richiamato dal D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 51, secondo cui il curatore che subentra in un contratto ad esecuzione continuata o periodica deve pagare integralmente il prezzo delle consegne già avvenute.

Il Tribunale rigettava la domanda sulla base del difetto di prova dei pagamenti.

La Corte d’appello riformava integralmente la sentenza, condannando l’originaria convenuta al pagamento, in favore dell’appellante, della somma oggetto di revocatoria, oltre interessi dalla domanda, rilevando in particolare, con riferimento alla riproposta eccezione fondata sugli effetti dell’asserito subentro della società in a.s. nel rapporto di somministrazione, che “l’appellata avrebbe dovuto specificamente allegare nella comparsa in appello gli elementi da cui poteva trarsi la conclusione del subentro della procedura nell’asserito rapporto di fornitura”, mentre “si è limitata ad affermare del tutto genericamente che siffatto subentro risultava documentalmente provato senza indicare gli elementi probatori già eventualmente acquisiti in primo grado, da cui potesse trarre tale conclusione” e in ogni caso, “anche a tacere di tale assorbente rilievo”, “dall’esame della documentazione prodotta in primo grado non risulta alcuna idonea prova dell’asserito subentro in un rapporto di somministrazione già in corso al tempo dell’apertura dell’amministrazione straordinaria”.

Avverso la sentenza d’appello è proposto ricorso per cassazione per quattro motivi.

SOLUZIONE

Con il primo motivo, su cui si incentra l’interesse processuale della decisione in commento, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 346 c.p.c.., ravvisata nel passo della motivazione nel quale la Corte territoriale ha attribuito rilievo assorbente al fatto che la riproposizione dell’eccezione di subentro, nel rapporto di somministrazione, dell’amministrazione straordinaria non era accompagnata dall’allegazione degli “elementi” da cui tale subentro potesse desumersi, “essendosi (l’appellata) limitata ad affermare che il subentro risultava documentalmente provato”.

La Cassazione rigetta il motivo, osservando che “l’affermazione, corretta, che la presunzione di rinunzia di cui all’art. 346 c.p.c., non si applica alle istanze istruttorie non significa necessariamente che le stesse debbano essere considerate come in ogni caso riproposte in appello, pur in assenza di una qualsivoglia attività propositiva della parte”, e anzi nel caso di specie l’appellata non ha rispettato l'”esigenza di specificità degli atti defensionali del grado di appello”, che “si appalesa incompatibile con l’idea che la sola proposizione della domanda o eccezione assorbita in primo grado valga a trasferire al giudice l’onere di ricercare quali elementi, sia pure documentali, erano stati dedotti, in primo grado, a fondamento della stessa”.

QUESTIONI

E’ noto che l’art. 346 c.p.c. disciplina, in negativo, la presunzione di rinuncia alle “domande” ed “eccezioni” non accolte nella sentenza di primo grado, e non “espressamente riproposte” in appello, e dunque, in termini positivi, pone l’onere di specificare expressis verbis l’intenzione di sottoporre anche al giudice di secondo grado le questioni rimaste assorbite dallo sviluppo logico- giuridico adottato nella motivazione della sentenza impugnata.

Ed è altrettanto noto che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 11799 del 12 maggio 2017, hanno fortemente ridotto la portata operativa dell’istituto, ponendo un onere di proposizione dell’appello incidentale (e dunque escludendo la sufficienza della riproposizione ex art. 346 c.p.c.) anche per i ragionamenti inespressi del giudice, ossia per le ipotesi in cui il giudice abbia ritenuto infondata l’eccezione attraverso “un’enunciazione indiretta, ma chiara ed inequivoca”.

Con la decisione in esame la Cassazione affronta l’art. 346 c.p.c. non sul piano “esterno” dei rapporti con l’appello incidentale, tradizionalmente foriero dei maggiori dibattiti in dottrina e delle principali incertezze applicative a proposito dell’istituto in parola, ma su quello “interno”: ossia sugli oggetti su cui l’onere ricade, e dunque sull’interpretazione della nozione di “domanda” cui allude il tenore letterale della disposizione, e sulle modalità con cui la riproposizione deve avvenire.

La Corte sul punto ribadisce una regola più volte affermata dalla giurisprudenza, ossia l’onere per l’appellato di ribadire al giudice di secondo grado l’interesse all’esame delle istanze istruttorie già formulate in primo grado.

Già in passato infatti la Cassazione, con decisione citata anche in motivazione, aveva espressamente precisato che “nel giudizio di appello, la parte appellata vittoriosa in primo grado, non riproponendo ovviamente alcuna richiesta di riesame della sentenza, ad essa favorevole, deve” tuttavia “manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l’istanza di ammissione della prova” (Cass., 27 ottobre 2009, n. 22687).

Più recentemente, con una conforme sentenza non citata in motivazione, la Corte si era soffermata sulla compatibilità dell’estensione alle istanze istruttorie “con gli artt. 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, né con gli artt. 2 e 6 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con l. 2 agosto 2008, n. 130), né con gli artt. 24 e 111 Cost”, non dubitando infine per la legittimità della regola atteso che essa “non determina alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo”, né rende “disagevole il diritto di ‘difendersi provando'” (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3229).

E solo in precedenti ormai risalenti (Cass., 19 giugno 1993, n. 6843; Cass., 19 gennaio 1980, n. 439; Cass., 5 giugno 1978, n. 2817, ivi, 1978) era stato invece esplicitamente affermato l’opposto principio per cui nel concetto di “domande” ex art. 346 c.p.c. non rientrerebbero le istanze istruttorie (orientamento peraltro condiviso da voci autorevoli in dottrina, a partire da Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1956, 459, ancorché recentemente messo in discussione da Tedoldi, L’appello civile, Torino, 2016, 225, secondo cui “la riduzione chirurgica della cognitio appellationis ai soli punti specificamente indicati dalle parti […] impone di prospettare puntualmente al giudice d’appello tutto quanto ritengano utile alle loro difese, ivi inclusi gli argomenti e le istanze istruttorie”).

Gli elementi di novità introdotti nel dibattito dal provvedimento in esame sono dunque (altri) due.

Il primo è che, rispetto ad alcuni dei precedenti giurisprudenziali richiamati, la Corte si interroga meritoriamente sulla fonte normativa da cui discende il suddetto onere.

La decisione in commento, nella sua pars destruens, esclude infatti che tale fonte debba essere individuata nello stesso art. 346 c.p.c., che, nel riferirsi alle “domande” e alle “eccezioni”, sembra porsi nell’ambito delle conclusioni, di merito e di rito, formulate dalle parti, più che in quello strettamente istruttorio; a ciò segue però una pars costruens, che indica la fonte dell’onere delle esigenze di specificità dell’atto d’appello e dunque nell’attuale formulazione dell’art. 342 c.p.c., che impone alle parti (contrariamente, stando almeno ai rispettivi tenori letterali, alla norma antecedente alla riforma del 2012) di indicare le parti del provvedimento che si intendono impugnate, e pertanto anche quelle che implicitamente hanno rigettato istanze istruttorie.

La decisione si segnala infine per una, a quanto consta inedita, estensione dell’onere ai documenti su cui la domanda (o, nel caso di specie, l’eccezione) si fonda.

Secondo la Corte infatti una valida riproposizione presuppone non soltanto la chiara indicazione (i) della domanda o eccezione disattesa in primo grado, come esplicitamente richiesto dalla norma, e (ii) delle istanze di prova costituenda a sostegno di quelle pretese, come richiesto invece dalla giurisprudenza in via interpretativa; ma anche (iii) un espresso e “argomentato” richiamo ai documenti che sorreggono la domanda o eccezione riproposta.

Il ché sembra porsi in contrasto con la dominante opinione giurisprudenziale che eleva la sufficienza della mera riproposizione (e dunque la non necessità di argomentazione) a elemento di differenziazione dell’onere ex art. 346 c.p.c. rispetto ai più stringenti compiti espositivi che incombono sulla parte che propone appello incidentale; e che, come in realtà la stessa estensione dell’onere di riproposizione alle istanze istruttorie, non sembra trovare adeguato sostegno nella disciplina positiva, che si limita a porre una presunzione di abbandono per le domande ed eccezioni di cui la parte in appello non abbia inequivocabilmente espresso l’interesse ad un nuovo esame, senza alcun riferimento, neppure implicito, alle prove su cui quelle domande ed eccezioni si fondavano in primo grado.

Tanto più che, rispetto alle prove orale di cui le parti abbiano fatto istanza avanti al primo giudice, i documenti già appartengono al fascicolo e dunque, anche sotto questo profilo, davvero non si intuisce il percorso normativo che autorizza il giudice, davanti ad una domanda o eccezione chiaramente riproposta, a esonerarsi dal suo esame per l’assenza di richiami espressi a prove già in atti.