1 Ottobre 2019

La restituzione del bene immobile concesso al figlio in comodato gratuito, “soccombe” al vincolo di destinazione del bene ad abitazione coniugale ?

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte d’Appello di Napoli, Sentenza 27 febbraio 2019 n.1004, Pres. Dott.ssa Maria Rosaria Castiglione Morelli, Cons. Rel. Dott.ssa Elvira Bellantoni

Art. 1022 c.c. – Art. 1023 c.c. -Art. 1809 c.c. – Art. 2704 c.c.

Ove il comodato di un immobile è stipulato in favore di un nucleo familiare già formato o in via di formazione, ha carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell’art. 1809, co.2, c.c.; in tal caso il giudice deve esercitare con la massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole ed il contrapposto bisogno del comodante[1]

FATTO

La vicenda nasce dalla richiesta di rilascio di un immobile, concesso in comodato gratuito al figlio, avanzata  da una anziana signora con problemi di salute, comproprietaria del bene per 1/2 ed usufruttuaria per l’intero.

La signora sosteneva di aver concesso l’immobile in comodato a titolo gratuito, per la durata di venti anni a decorrere dal 1994, al figlio appena sposato e di volerne rientrare in possesso dopo la separazione di quest’ultimo, citando in giudizio l’ex nuora ed i nipoti. A tal fine voleva vedersi riconosciuto il diritto alla restituzione del bene per scadenza naturale, essendo ormai decorsa l’intera durata.

I convenuti costituendosi affermavano di nulla sapere  in merito al contratto di comodato tra madre e figlio, per di più mai registrato e con una data aggiunta autografamente a penna, adducendo che l’immobile fosse stato loro concesso ab origine al fine di essere usato come abitazione familiare ed aggiungevano, peraltro, che era stata assegnata al coniuge (nuora), a seguito della separazione coniugale, per effetto di ordinanza presidenziale e  poi con sentenza da parte del tribunale.

Il Tribunale accoglieva richiesta di parte attrice condannando la nuora  ed i nipoti al rilascio dell’appartamento.

I soccombenti a questo punto ricorrevano in appello, chiedendo di accertare l’effettiva esistenza del contratto di comodato ad uso gratuito con destinazione d’uso alle esigenze abitative familiari.

L’appellata si costituiva chiedendo il rigetto dello stesso.

SOLUZIONE

La Corte d’Appello di Napoli accoglieva l’appello ed in totale riforma della sentenza impugnata rigettava la domanda proposta in primo grado da parte attrice, dichiarando l’esistenza di un contratto di comodato ad uso gratuito con destinazione d’uso alle esigenze abitative familiari.

QUESTIONI

La vicenda in esame prospetta la riflessione in merito al contratto di comodato gratuito ed al vincolo di destinazione della casa ad uso familiare.

Se il Tribunale confermava la richiesta della comodante al rilascio dell’immobile, in sede d’appello la situazione veniva completamente “ribaltata”.

La nozione di comodato viene inserita nel codice civile all’interno dell’art. 1803, quale contratto reale ad effetti unilaterali obbligatori, ove una parte, il comodante, consegna ad un’altra, il comodatario, un bene mobile infungibile o un immobile, affinché se ne serva gratuitamente per un periodo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituirlo. Caratteristica peculiare di tale contratto è che non richiede una forma particolare: l’onere della forma scritta non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultra novennale, il quale può essere provato anche per testimoni ed anche per presunzioni, costituendo esplicazione del più ampio principio di “libertà della forma”, cui è ispirato il nostro ordinamento.

Nel caso concreto la proprietaria, per metà nonché usufruttuaria per l’intero, stipulava con il proprio figlio, “novello sposo”, un comodato gratuito. Solo in un secondo momento, dopo la fine del matrimonio, la comodante richiedeva la casa.

L’immobile veniva ceduto in comodato ai nubendi, con il precipuo fine di assicurare Loro un “tetto coniugale” ed allo scopo del futuro formarsi di una famiglia.

A tal riguardo la giurisprudenza in tema di comodato di immobile è unanime nel ritenere che, laddove esso sia stato stipulato in favore di un nucleo familiare già formato o in via di formazione, questo abbia un carattere vincolante e sia assoggettato alle esigente abitative familiari, rispetto all’originaria destinazione voluta e/o indeterminata per il quale l’immobile era stata precedentemente concesso in comodato.

Il comodante deve consentire la continuazione del godimento a prescindere dalle sorti del rapporto coniugale, una volta che essa sia destinata ad abitazione familiare.

Sostanzialmente il diritto dei coniugi o di uno di essi (assegnatario della prole, in genere) non decade con la cessazione del vincolo di coniugio; recente giurisprudenza afferma infatti che tale diritto persiste anche in caso di divorzio o di morte del coniuge: “il vincolo di destinazione collegato all’interesse dei figli non può dirsi venuto meno per effetto della morte dell’ex coniuge”[2] .

Peraltro in sede di impugnazione gli appellanti deducevano che: “nessuno della famiglia aveva mai conosciuto dell’esistenza di un contratto concluso per iscritto, che il contratto era dattiloscritto, non prevedeva alcuna scadenza e non era stato registrato e che la previsione della durata di venti anni era il frutto di un aggiunta a penna”.

Correttamente il giudice d’appello, rilevava l’inopponibilità del contratto di comodato nei confronti degli appellanti, vuoi perché essi comunque non vi avevano preso parte ed anche poiché in assenza della data certa, non vi è prova di anteriorità rispetto alla concessione del bene per intervenuto matrimonio.

Infatti, l’articolo 2704 c.c. prevede che: “la data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata  o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o uno di coloro che l’hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento”.

Si condivide pienamente la sentenza in commento, in quanto la Corte ha fatto piena applicazione dei principi in materia per censurare la decisione del giudice di prime cure, che aveva invece erroneamente privilegiato l’aspetto contrattuale e trascurato il vincolo di destinazione del bene.

[1] Cass. Civ. sez. un. N. 13603/2004; Cass. Civ. n. 13592/2011; Cass. Civ. n. 3012/2006; Cass. Civ. n. 24618/2015

[2] Cass. Civ. Sez. I, Ordinanza del 15/10/2018 n. 772