20 Giugno 2016

La ragionevole durata del procedimenti regolati dalla Legge Pinto

di Francesca Romana Leanza Scarica in PDF

Corte Cost., sentenza 19 febbraio 2016, n. 36

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Procedimento civile –  Giusto processo – Equa riparazione – Durata ragionevole del processo – Termini di durata – Compatibilità con la CEDU

(Cost., art. 111, comma 2, art. 117, comma 1; Carta europea dei diritti dell’uomo, art. 6; l. 24 marzo 2001, n. 89, previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del codice di procedura civile, art. 2;). 

[1] È costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 2 bis, della l. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. “Legge Pinto”), nella parte in cui considera ragionevole la durata di tre anni per il processo di primo grado previsto dalla medesima legge n. 89 del 2001, per contrasto con gli artt. 111, comma 2 e 117, comma 1, Cost., come integrato dalla giurisprudenza europea all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), in ragione dell’esigenza di maggiore celerità del procedimento volto all’equa riparazione del danno da ritardo di un altro processo. 

[2] Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 2, comma 2 ter, della l. 24 marzo 2001, n. 89, trattandosi di norma applicabile solo ai procedimenti di cognizione strutturati in tre gradi di giudizio, e non, dunque, al processo regolato dalla Legge Pinto.

 

Il caso

[1, 2] La Corte costituzionale, adita in via incidentale dalla Corte d’appello di Firenze con sei ordinanze di analogo tenore sulle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 bis e comma 2 ter, della l. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. “Legge Pinto”), ha accolto solo la prima questione, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 bis, della menzionata l. n. 89/2001, nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla medesima legge. 

SOLUZIONE
[1] La Consulta, in linea con la consolidata giurisprudenza europea, ha “sanzionato” la scelta operata dal legislatore del 2012 [v. infra] di equiparare la ragionevole durata dei procedimenti regolati dalla Legge Pinto, strutturati in un unico grado di merito per rimediare ad una precedente inerzia nell’amministrazione della giustizia, a quella di ogni altro procedimento civile di cognizione, articolato in due gradi di merito ed inevitabilmente più complesso.

Per tale ragione l’art. 2, comma 2 bis, della legge n. 89 del 2001, che prevede la durata di tre anni per i processi di primo grado, è costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla medesima legge n. 89 del 2001, per violazione degli artt. 111, comma 2 e 117, comma 1, Cost., atteso che la Corte europea dei diritti dell’uomo, in applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ha previsto un limite biennale di durata complessiva di tale procedimento.

QUESTIONI
[1, 2] La sentenza in epigrafe trae origine dalle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 bis e comma 2 ter, della Legge Pinto, come aggiunti dall’art. 55, comma 1, lett. a), n. 2), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, nella misura in cui consentono l’applicazione dei termini previsti per la ragionevole durata dei processi di cognizione ai processi regolati dalla stessa legge n. 89 del 2001.

Ratio della riforma del 2012 è stata quella di sottrarre la determinazione della congruità del termine alla discrezionalità giudiziaria, al fine di adottare una disciplina legale di carattere generale dei termini entro i quali «si considera rispettato» il principio della ragionevole durata del processo, enunciato dall’art. 111, comma 2, Cost. e dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU. 

Come evidenziato dalla stessa Consulta, il legislatore del 2012, in coerenza con quest’ultima finalità, ha regolato «l’insieme dei processi civili di cognizione, e dunque anche il procedimento previsto dalla legge n. 89 del 2001, cui la giurisprudenza di legittimità ha costantemente attribuito tale natura». Sulla natura del processo regolato dalla legge Pinto e sulla necessità del rispetto di un termine ragionevole, v. ex multis, Cass. 13 aprile 2012, n. 5924, in Giust. civ. Mass., 2012, 4, 499, per la quale «il giudizio volto ad ottenere l’indennizzo per la irragionevole durata del processo, ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89, è un ordinario processo di cognizione che è soggetto, in quanto tale, all’esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, la quale è tanto più pressante in quanto finalizzata all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di sofferenza e un patema d’animo che sarebbe ingiustificato non riconoscere anche per i procedimenti di cui alla legge n. 89 del 2001» (in senso conforme, Cass. 9 maggio 2013, n. 11080, in www.cortedicassazione.it e Cass. 16 ottobre 2012, n. 17086, ibid.).

Trattandosi di un procedimento dal carattere semplificato e con finalità intrinsecamente acceleratorie, articolato in un unico grado di merito in quanto volto ad accertare fatti di immediata evidenza, la sua ragionevole durata, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, deve risolversi in termini più brevi rispetto a quelli dei più complessi processi ordinari di cognizione. Costituisce, infatti, principio di diritto consolidato nella giurisprudenza europea il principio per cui «lo Stato è tenuto a concludere il procedimento volto all’equa riparazione del danno da ritardo maturato in altro processo in termini più celeri di quelli consentiti nelle procedure ordinarie, che nella maggior parte dei casi sono più complesse, e che, comunque, non sono costruite per rimediare ad una precedente inerzia nell’amministrazione della giustizia» (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 6 marzo 2012, Gagliano Giorgi contro Italia; sentenza 27 settembre 2011, CE.DI.SA Fortore Snc Diagnostica Medica Chirurgica contro Italia; sentenza 21 dicembre 2010, Belperio e Ciarmoli contro Italia).

In particolare, secondo gli ultimi approdi della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, come recepiti dalla Corte di cassazione antecedente alla novella del 2012, la durata complessiva dei due gradi di tale giudizio (in Corte d’appello e in Cassazione) deve essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni (Cass. 13 aprile 2012, n. 5924, cit.; conf. Cass. 24 maggio 2012, n. 8283, in Giust. civ. mass., 2012, 5, 667; Cass. 13 aprile 2012, n. 5925, ibid., 4, 499 e da ultimo, Cass. 10 febbraio 2014, n. 2929 in La Nuova Procedura Civile, 2, 2014).  

Pertanto, secondo la sentenza della Corte costituzionale in epigrafe, l’art. 6 della CEDU, il cui significato si forma attraverso il reiterato ed uniforme esercizio della giurisprudenza europea sui casi di specie (v. Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 348 e 349, Foro it., 2008, I, 39 con nota di L. Cappuccio, F. Ghera e R. Romboli), «preclude al legislatore nazionale, che abbia deciso di disciplinare legalmente i termini di ragionevole durata dei processi ai fini dell’equa riparazione, di consentire una durata complessiva del procedimento regolato dalla legge n. 89 del 2001 pari a quella tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione, anziché modellarla sul calco dei più brevi termini indicati dalla stessa Corte di Strasburgo e recepiti dalla giurisprudenza nazionale».

L’art. 2, comma 2 bis, della l. 24 marzo 2001, n. 89, dunque, imponendo di considerare ragionevole la durata del procedimento di primo grado regolato dalla medesima legge quando la stessa non eccede i tre anni, viola gli artt. 111, 2° comma, e 117, 1° comma, Cost., come integrato dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, in quanto questo solo termine previsto per il primo grado supera il limite complessivo biennale adottato dalla Corte europea (e dalla giurisprudenza nazionale sulla base di quest’ultima) per un procedimento regolato da tale legge, che si svolga invece in entrambi i gradi.

È stata, invece, ritenuta non fondata dalla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 bis, della richiamata legge Pinto, nella parte in cui determina in un anno la ragionevole durata del giudizio di legittimità previsto dalla legge stessa.

Tale termine, infatti, è conforme alle indicazioni di massima provenienti dalla Corte europea e recepite dalla giurisprudenza nazionale, secondo la quale la «durata ragionevole del giudizio di cassazione, anche in un procedimento di equa riparazione, non è suscettibile di compressione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno» (Cass. 13 aprile 2012, n. 5924, cit.).

Per quanto concerne poi la questione di legittimità costituzionale  dell’art. 2, comma 2-ter, della legge n. 89 del 2001, la Corte costituzionale ha osservato il chiaro legame con il precedente comma 2 bis, in quanto riferendosi al medesimo arco temporale complessivo di sei anni, consente eventuali compensazioni tra le violazioni determinatesi in una fase e i recuperi goduti in un’altra fase, purché non si superi il suddetto limite complessivo. Tale norma, pertanto, «benché sia in linea astratta riferibile a qualunque procedimento civile di cognizione, non potrà in concreto trovare applicazione nel procedimento regolato dalla legge n. 89 del 2001, che non è strutturato in tre gradi di giudizio», risultando, di conseguenza, inammissibili per difetto di rilevanza le relative questioni di legittimità costituzionale.

In questa direzione si è infatti pronunciata Cass. 6 novembre 2014, n. 23745 in Giustizia Civile Massimario, 2014, secondo cui l’art. 2, comma 2 ter, della legge n. 89 del 2001 «costituisce norma di chiusura che implica una valutazione complessiva del giudizio articolato nei tre gradi, e non opera, perciò, con riguardo ai processi che si esauriscono in unico grado» (in senso conforme v. Cass. 13 novembre 2015, n. 23347 e Cass. 28 settembre 2015, n. 19175, entrambe in www.cortedicassazione.it).

 

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