19 Marzo 2024

Corte di Giustizia europea: il decreto ingiuntivo non opposto dal consumatore non impedisce al giudice dell’esecuzione di esaminare anche d’ufficio la vessatorietà delle clausole contrattuali

di Elisa Conti, Avvocato Scarica in PDF

Corte giustizia UE, Sent. n. 531 del 18 gennaio 2024 nella causa C-531/22 

Esecuzione forzata-potere del giudice di verificare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di una clausola nell’ambito del controllo di un procedimento di esecuzione forzata avente a oggetto un titolo esecutivo passato in giudicato (art. 3, par. 1, art. 6, par. 1, art. 7, par. 1 e 2 e art. 8 della Dir. 93/13/CEE, art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Art 267 TFUE, Artt. 615, 617, 623, 641, 649, 650 c.p.c.)

Massima: L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva n. 13/93/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede che un giudice nazionale non possa procedere d’ufficio a un esame del carattere eventualmente abusivo delle clausole contenute in un contratto e trarne le conseguenze, in sede di controllo di un procedimento di esecuzione forzata fondato su una decisione che dispone un’ingiunzione di pagamento avente autorità di cosa giudicata:

– se tale normativa non prevede un simile esame nella fase dell’emissione dell’ingiunzione di pagamento, o

– qualora un simile esame sia previsto unicamente nella fase dell’opposizione proposta avverso l’ingiunzione di pagamento di cui trattasi, se sussista un rischio non trascurabile che il consumatore interessato non proponga l’opposizione richiesta o a causa del termine particolarmente breve previsto a tal fine, o in considerazione delle spese che un’azione giudiziaria implicherebbe rispetto all’importo del debito contestato, o perché la normativa nazionale non prevede l’obbligo che siano trasmesse a tale consumatore tutte le informazioni necessarie per consentirgli di determinare la portata dei suoi diritti”.

CASO

In data 9 gennaio 2006 e in data 13 maggio 2008 un consumatore stipulava due contratti di finanziamento con la Getin Noble Bank: il primo per un periodo di 84 mesi e il secondo per 120 mesi, denominati in zloty polacchi (PLN), indicizzati al franco svizzero (CHF).

In forza dei contratti stipulati l’importo del finanziamento concesso dalla Getin Noble Bank è stato convertito, alla data della stipula, sulla base del tasso di acquisto della valuta di indicizzazione di cui trattasi, iscritto nella tabella del tasso di cambio delle valute estere della banca stessa: il rimborso di qualsiasi debito doveva essere effettuato in zloty polacchi dopo la conversione del debito espressa nella valuta elvetica di indicizzazione, sulla base del tasso di vendita di quest’ultima applicabile alla data del pagamento alla banca.

Invocando mancati pagamenti, la Getin Noble Bank ha risolto i due contratti e ha proposto davanti al Tribunale di Lublino Ovest (Polonia) due ricorsi nei confronti del consumatore mediante il procedimento di ingiunzione di pagamento elettronico per ottenere il pagamento delle somme dovute, maggiorate di interessi e spese.

Tuttavia, essendo la produzione di prove preclusa tanto dalle disposizioni processuali che disciplinano i procedimenti di ingiunzione di pagamento elettronici quanto dalle caratteristiche tecniche del sistema di gestione di tali procedimenti, la Getin Noble Bank ha menzionato, senza allegarli, i due contratti di credito da essa stipulati con il consumatore. Il Tribunale, privo del potere giuridico e tecnico di consultare i contratti su cui l’ingiunzione era fondata, ha emesso due ingiunzioni di pagamento, che non sono state opposte dal consumatore entro il termine di due settimane dalla notifica e sono quindi divenute definitive prima di essere munite della formula esecutiva.

Ciò ha consentito alla Banca di avviare il procedimento di esecuzione forzata sul bene immobile del consumatore, procedimento condotto da un ufficiale giudiziario sotto il controllo del giudice dell’esecuzione, che è stato anche il primo giudice nazionale dinanzi al quale sono stati prodotti i contratti di credito.

Dopo l’esame del contenuto dei contratti di credito, il giudice dell’esecuzione polacco ha ritenuto potenzialmente abusive le clausole contrattuali di conversione nella valuta elvetica ivi contenute, senza le quali i contratti non avrebbero potuto essere eseguiti e avrebbero dovuto essere considerati nulli.

Il giudice dell’esecuzione ha sollevato la questione dell’esame d’ufficio del carattere eventualmente abusivo delle clausole nei contratti stipulati con consumatori, sul cui fondamento è avviato un procedimento di esecuzione forzata, vale a dire una questione analoga a quella sollevata nell’ambito delle cause che hanno dato luogo alle note sentenze della CGUE del 17 maggio 2022 e, in Italia, all’intervento di Cass. ,sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479.

Il giudice dell’esecuzione polacco ha, quindi, sospeso il procedimento, sottoponendo alla CGUE le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [93/13] e i principi della certezza del diritto, dell’irrevocabilità delle decisioni giudiziarie passate in giudicato, dell’effettività e della proporzionalità debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a disposizioni nazionali che prevedono che il giudice nazionale non può controllare d’ufficio le clausole abusive contenute in un contratto e trarne le conseguenze, allorché esercita il controllo su un procedimento esecutivo condotto da un ufficiale giudiziario sulla base di un decreto ingiuntivo passato in giudicato e munito della formula esecutiva, emesso nell’ambito di un procedimento in cui non vengono assunte prove.

2) Se l’articolo 3, paragrafo 1, l’articolo 6, paragrafo 1, l’articolo 7, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 8 della direttiva [93/13], l’articolo 47 della [Carta] e i principi della certezza del diritto, dell’effettività, della proporzionalità e il diritto al contradittorio davanti a un autorità giudiziaria, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a un’interpretazione giurisprudenziale di disposizioni nazionali in base alla quale l’iscrizione di una clausola contrattuale abusiva nel [registro nazionale delle clausole illecite] comporta il riconoscimento di tale clausola come abusiva in qualsiasi procedimento che coinvolga un consumatore e in particolare anche:

– nei confronti di un professionista diverso da quello contro il quale è stato instaurato il procedimento per l’iscrizione della clausola contrattuale abusiva nel [registro nazionale delle clausole illecite],

– in relazione a una clausola il cui tenore non è identico, ma che ha lo stesso significato e produce lo stesso effetto nei confronti del consumatore».

SOLUZIONE

Attivato il procedimento accelerato in ragione dell’imminente vendita all’asta del bene immobile e dichiarata la propria competenza, la Corte ha così deciso.

Sulla prima questione, riguardante la conformità al diritto europeo della possibilità per il giudice nazionale di procedere d’ufficio all’esame sull’abusività di clausole di un contratto stipulato con un consumatore in un procedimento di esecuzione forzata fondato su un titolo esecutivo passato in giudicato, la Corte ha ritenuto che:

  • se da un lato la Corte ha precisato il modo in cui un giudice nazionale deve assicurare la tutela dei diritti che i consumatori traggono dalla direttiva 93/13, dall’altro il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili all’esame del carattere eventualmente abusivo di una clausola contrattuale, che rimangono soggette all’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato. Tuttavia, in ossequio ai principi di leale cooperazione e di equivalenza, le singole modalità processuali tese a garantire la tutela dei diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione non devono essere più sfavorevoli rispetto ad altri analoghi ricorsi di natura interna, né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti stessi;
  • l’obbligo per gli Stati membri di garantire l’effettività dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione (nel caso di specie, i diritti derivanti dalla direttiva 93/13) deve comprendere anche la tutela giurisdizionale e le relative azioni giudiziarie con cui tali diritti vengono fatti valere; pertanto, in assenza di un controllo efficace e motivato sul carattere eventualmente abusivo delle clausole del contratto, questo deve essere garantito da un esame d’ufficio, perché i diritti conferiti dalla direttiva 93/13 possano dirsi garantiti, soprattutto se sussiste un rischio non trascurabile che il consumatore interessato non proponga l’opposizione richiesta a causa del termine particolarmente breve previsto a tal fine o in considerazione delle spese che un’azione giudiziaria implicherebbe rispetto all’importo del debito contestato o, ancora, perché la normativa nazionale non prevede l’obbligo che gli siano trasmesse tutte le informazioni necessarie per consentirgli di determinare la portata dei suoi diritti;
  • il termine di due settimane per proporre opposizione fosse troppo breve e potesse generare tale rischio anche nel caso in cui la parte non fosse stata obbligata a motivare la propria opposizione all’ingiunzione di pagamento.

Sulla seconda questione, relativa alla possibilità di considerare abusiva una clausola contrattuale sottoscritta da un consumatore, non iscritta nel registro nazionale delle clausole illecite e formulata in modo identico a una registrata ma prevista per un professionista diverso, la Corte ha ritenuto che:

  • per l’asimmetria negoziale e informativa che esiste tra la figura del consumatore e del professionista, che costituisce la ratio fondante della direttiva 93/13, la previsione di un registro nazionale di clausole illecite rientra nelle disposizioni più severe che gli Stati membri possono adottare o mantenere ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 93/13 e che tale registro risponde, in linea di principio, all’interesse della tutela dei consumatori. Tuttavia, la direttiva non richiede l’adozione di un siffatto registro per il raggiungimento degli obbiettivi previsti e, quindi, la determinazione degli effetti giuridici che un’iscrizione in tale registro di clausole dichiarate abusive può produrre, rientrano nelle competenze degli Stati membri;
  • anche in presenza dei registri nazionali di clausole illecite, il giudice nazionale rimane tenuto a informare e invitare le parti al contraddittorio sul contenuto delle clausole definite illecite;
  • la constatazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale controversa sulla base di un confronto del contenuto di quest’ultima con quello di una clausola iscritta nel registro nazionale delle clausole illecite può contribuire rapidamente a che le clausole abusive utilizzate in un gran numero di contratti cessino di produrre effetti nei confronti dei consumatori parti di tali contratti;
  • le pertinenti norme di diritto europeo devono essere interpretate nel senso di non ostare a che l’utilizzo di clausole di condizioni generali, il cui contenuto è equivalente a quello di clausole dichiarate illecite da una decisione giurisdizionale definitiva e annotate nel registro nazionale delle clausole illecite, sia considerato illecito se applicato a un professionista che non è stato parte del procedimento che ha condotto all’annotazione di tali clausole nel suddetto

QUESTIONI

La Corte di Giustizia torna a pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento di rinvio pregiudiziale accelerato, sull’interpretazione delle disposizioni contenute nella direttiva 93/13/CE e, in particolare, sul tema delle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori quando in, forza di tali contratti, sia stato emesso un titolo esecutivo non opposto e che abbia acquisito autorità di cosa giudicata.

Vengono richiamate le quattro decisioni della CGUE in adunanza plenaria del 17 maggio 2022, tra cui quella sulle cause riunite C-693/19, SPV Project1503 e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza, avviate dal Tribunale di Milano con due rinvii pregiudiziali, all’esito dei quali la Corte aveva ritenuto che ove il giudice non fosse intervenuto con un rilievo officioso sull’abusività delle clausole e il consumatore non avesse fatto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso, verso il quale nessun vaglio fosse intervenuto in ordine alla vessatorietà delle clausole presenti nel contratto concluso con il professionista e posto a fondamento del credito azionato da quest’ultimo, il controllo sull’eventuale carattere abusivo di dette clausole doveva poter essere effettuata dal giudice dell’esecuzione dinanzi al quale si procedeva per la soddisfazione di quel credito.

Entrambe le decisioni della Corte mirano a garantire il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13/CE, la cui ratio si fonda sull’idea che il consumatore sia in una posizione di asimmetria negoziale e informativa rispetto al professionista.

In considerazione di tale situazione di inferiorità la direttiva mira a stabilire un equilibrio reale tra le parti prevedendo:

  • la non vincolatività delle clausole abusive per i consumatori;
  • l’obbligo per il giudice nazionale di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva;
  • l’introduzione nei singoli Stati membri, nel rispetto del principio di autonomia processuale, di mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra professionista e consumatori.

L’intervento della Corte si è reso nuovamente necessario per individuare un bilanciamento tra i principi di equivalenza e di effettività, promossi dalla direttiva e, più in generale, del diritto europeo con quelli di autonomia processuale e di autorità di cosa giudicata dei singoli Stati membri.

Il risultato di tale attività di contemperamento mira a salvaguardare il meccanismo di complementarietà funzionale delle norme processuali nazionali rispetto al diritto europeo sostanziale nell’ottica di un’autonomia procedurale dei singoli Stati membri, pur prevedendo che, nell’ambito di un processo dinamico di integrazione, la disciplina nazionale interna sul processo, ove necessario, si fletta sino al punto di adeguarsi per rispettare gli standard di garanzia richiesti dal diritto eurounitario e, in particolare, dai principi di equivalenza ed effettività.

Nel caso di specie, la Corte ha inteso intervenire sull’istituto processuale del giudicato, ritenendo che ostino alla sua stabile e intangibile formazione il mancato rilievo officioso del giudice, l’omessa motivazione dell’ingiunzione di pagamento e, alla luce dell’ultimo arresto della CGUE qui in commento, anche un termine troppo breve per consentire al consumatore di attivare le azioni necessarie a difendersi effettivamente: in questi casi è, quindi, necessaria l’introduzione di un meccanismo processuale che consenta di rimettere in discussione anche l’accertamento sul bene della vita (petitum mediato) inciso dal decreto ingiuntivo, ossia il credito riconosciuto giudizialmente.

Nell’ordinamento italiano, il meccanismo processuale che ha consentito di adeguare il diritto interno ai principi espressi dalla CGUE è stato individuato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9479/2023, che ha fornito indicazioni puntuali per le varie fasi.

In particolare, con tale pronuncia nomofilattica sono previsti controlli preventivi a garanzia del consumatore da parte del giudice investito del procedimento monitorio e una motivazione “rafforzata” del decreto ingiuntivo.

Per quanto attiene alla fase esecutiva, il giudice dell’esecuzione:

  • in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;
  • ove tale controllo non sia possibile dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;
  • dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;
  • fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito.

Le Sezioni Unite hanno dunque preceduto la CGUE nel prevedere speciali e apposite cautele e garanzie procedurali a tutela del consumatore in una prospettiva eurounitaria: talché il nuovo intervento della CGUE non pare dover comportare alcun aggiornamento delle istruzioni applicative già dettate dalle Sezioni Unite nel noto arrêt del 6 aprile 2023, n. 9479, susseguente alle sentenze della CGUE del 17 maggio 2022.

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