24 Ottobre 2023

La liquidazione del compenso dovuto al CTU: sussiste solidarietà tra le parti?

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. II, 13 ottobre 2023, n. 28572, Pres. Giusti, Est. Giannaccari

[1] Organi giudiziari – Consulente tecnico

La prestazione del CTU è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio, che sono solidalmente responsabili del pagamento delle sue competenze e sono anche litisconsorti necessari in un eventuale giudizio di opposizione al decreto di liquidazione dei compensi, che sia stato emesso in favore del consulente.

CASO

[1] Nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto un’azione di responsabilità per danni nei confronti di amministratori e sindaci della società fallita veniva disposta consulenza tecnica d’ufficio. Successivamente alla disposta CTU, il giudizio di merito, nei confronti di alcune delle parti convenute, veniva dichiarato estinto nei confronti di alcuna delle parti convenute.

Per quanto di interesse ai fini del presente commento, il Fallimento proponeva opposizione avverso il decreto del tribunale di liquidazione del compenso dei consulenti tecnici, chiedendo, tra l’altro, che le somme al suo interno liquidate fossero poste a carico di tutti convenuti, a tale scopo domandando l’estensione del contraddittorio verso coloro nei confronti dei quali il giudizio di responsabilità per danni era stato dichiarato estinto.

Il Tribunale di Trento dichiarava l’inammissibilità di tale domanda; nel merito, accoglieva l’opposizione proposta dal Fallimento.

Proponevano così ricorso per cassazione le parti convenute nel giudizio opposizione al decreto del tribunale di liquidazione del compenso dei CTU deducendo, per quanto di interesse nella presente sede, violazione o falsa applicazione ex art. 360, 1°co., n. 3), o nullità del procedimento ex art. 360, 1°co., n. 4), c.p.c., con riguardo alla pronuncia sulla inammissibilità della domanda di estensione del contraddittorio. Nel dettaglio, la decisione sarebbe errata in quanto, secondo parte ricorrente, il credito del consulente era esigibile verso tutte le parti della causa di merito in via solidale, a prescindere dalla diversa disposizione giudiziale e indipendentemente dalla circostanza che non vi fosse espressa richiesta di condanna nei confronti di ciascuna di esse. Il decreto di liquidazione dell’ausiliario sarebbe stato, infatti, opponibile a tutte le parti del giudizio di merito indipendentemente alla dichiarazione di estinzione del giudizio di merito.

SOLUZIONE

[1] La Cassazione giudica fondato tale motivo di ricorso.

Per argomentare la propria decisione, la Suprema Corte muove dal precedente (non pacifico, invero, come subito si vedrà) di cui a Cass., 8 novembre 2013, n. 25179, secondo cui la prestazione del consulente tecnico d’ufficio è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio, le quali sono solidalmente responsabili del pagamento delle relative competenze, indipendentemente dalla ripartizione in essa operata dell’onere delle spese processuali.

Ne consegue che l’ausiliare del giudice può agire autonomamente in giudizio nei confronti di ognuna delle parti, anche in via monitoria, non solo quando sia mancato un provvedimento giudiziale di liquidazione ma anche quando il decreto emesso a carico di una parte sia rimasto inadempiuto, in quanto non trova applicazione il principio della soccombenza, operante solo nei rapporti con le parti e non nei confronti dell’ausiliare (Cass., 15 settembre 2008, n. 23586).

La natura solidale di tale obbligazione comporta che nel giudizio di opposizione al decreto di pagamento emesso a favore del consulente tecnico d’ufficio, le parti del processo nel quale è stata espletata la consulenza siano litisconsorti necessari (così, Cass., 5 novembre 2021, n. 32005).

A tali principi, secondo la Suprema Corte, non risulta essersi conformata l’impugnata decisione del Tribunale di Trento. In particolare, il tribunale avrebbe errato nel dichiarare l’inammissibilità della domanda nei confronti dei soggetti per i quali il giudizio era stato dichiarato estinto, senza accertare se l’estinzione fosse stata dichiarata prima della nomina dei CTU e dello svolgimento delle operazioni peritali. Una volta iniziate le operazioni peritali, infatti, le parti sono tenute in via solidale a corrispondere il compenso al CTU perché l’attività è stata compiuta anche nel loro interesse.

In accoglimento di tale motivo di ricorso, la Cassazione ha cassato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Trento, in persona di diverso magistrato, che farà applicazione dei seguenti principi di diritto: “la prestazione del consulente tecnico d’ufficio è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio, le quali sono solidalmente responsabili del pagamento delle relative competenze e sono litisconsorti necessari nel giudizio di opposizione al decreto di pagamento emesso a favore del consulente tecnico d’ufficio”; “in caso di conciliazione tra le parti, e conseguente pronuncia di estinzione del giudizio, cessazione della materia del contendere o cancellazione della causa dal ruolo, l’ausiliare del giudice può agire autonomamente in giudizio nei confronti di ognuna delle parti salvo che il fatto estintivo non si sia verificato prima della nomina del CTU”.

QUESTIONI

[1] La questione sottoposta alla Suprema Corte riguarda l’imputabilità alle parti del processo delle competenze spettanti al consulente tecnico d’ufficio nominato, avendo particolare riferimento all’ipotesi in cui, nei confronti di alcuna delle parti del giudizio di merito, sia stata dichiarata l’estinzione per intervenuta transazione.

Il consulente tecnico, come noto, rappresenta un ausiliare del giudice, che può essere nominato da quest’ultimo quando abbia necessità di integrare le proprie conoscenze avvalendosi del sapere tecnico e specialistico per il compimento di determinati atti del processo o per la valutazione di fatti rilevanti per l’accertamento della verità (art. 61 c.p.c.).

Il diritto al compenso spettante al consulente tecnico per l’attività prestata è disciplinato dal d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, il cui art. 168 regola, nel dettaglio, il procedimento di liquidazione del compenso.

La liquidazione del compenso del consulente tecnico è contenuta in un decreto motivato, pronunciato dal magistrato che procede su domanda dell’interessato, da comunicarsi al beneficiario e alle parti. Esso costituisce un’anticipazione delle spese avente natura provvisoria, essendo destinata a essere superata dalla statuizione contenuta nella sentenza conclusiva del procedimento.

Tale decreto è provvisoriamente esecutivo, ma non costituisce titolo per iscrivere ipoteca giudiziale (così, Cass., 5 gennaio 2001, n 235); deve inoltre indicare la parte obbligata all’anticipazione delle spese, non potendo valere, altrimenti, come titolo esecutivo, mancando del requisito della certezza ex art. 474 c.p.c. (Cass., 15 dicembre 2000, n. 15850).

In relazione alla identificazione della parte sulla quale deve gravare l’onere economico della consulenza – che rappresenta la questione centrale affrontata dal provvedimento in commento – la giurisprudenza di legittimità non appare, però, univoca. Oltre all’orientamento sposato dal provvedimento in commento – secondo cui l’obbligo di pagare al consulente la prestazione eseguita avrebbe natura solidale (si v. la richiamata Cass., 15 settembre 2008, n. 23586) -, esiste infatti un altro indirizzo che esclude che l’onere economico della consulenza possa gravare, anche solo parzialmente, sulla parte totalmente vittoriosa nel merito, pena la violazione dell’art. 91 c.p.c. (in tal senso, Cass., 6 maggio 2002, n. 6432; Cass., 18 marzo 2000, n. 3237). La decisione contenuta nel provvedimento in commento, dunque, è frutto dell’adesione operata dalla Corte al primo degli orientamenti appena richiamati.

L’opposizione avverso il decreto che liquida le spettanze al consulente tecnico è disciplinata dal successivo art. 170 del d.p.r. n. 115/2002 (in argomento, A. Fabbi, sub art. 62 c.p.c., in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, Milano, 2018, I, 763 ss.). Esso rappresenta l’unico strumento per contestare tale decreto, restando esclusa l’esperibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, 7°co., Cost., in considerazione della natura non definitiva del provvedimento. All’interno del giudizio di opposizione si instaura un litisconsorzio necessario tra il consulente tecnico e tutti i soggetti a carico dei quali è posto l’obbligo di corrispondere il compenso. Le censure proponibili avverso il decreto devono essere limitate al profilo della misura dei compensi erogati o della loro determinazione secondo criteri adeguati all’entità e alla natura dell’opera svolta, nonché all’indicazione della parte tenuta al pagamento.

Per quanti riguarda gli aspetti procedimentali del giudizio di opposizione, esso è disciplinato dal rito semplificato di cognizione, secondo quanto previsto dall’art. 15 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, come modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. Il giudice competente a decidere dell’opposizione è, conseguentemente, il capo dell’ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Il giudizio si conclude con sentenza espressamente qualificata come non appellabile.

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