13 Ottobre 2020

Insolvenza transfrontaliera: la Corte di Giustizia affronta il tema del centro degli interessi principali della persona fisica che non esercita attività imprenditoriale o lavoro autonomo e considera prevalente il criterio della residenza abituale

di Chiara Zamboni, Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Ferrara Scarica in PDF

Corte di Giustizia, 16 luglio 2020, C-253/19

Parole chiave

Insolvenza transfrontaliera – competenza giurisdizionale internazionale – criteri oggettivi – persona fisica – residenza abituale – COMI – bene immobile – interessi economici – rinvio pregiudiziale.

Massima

La Corte di Giustizia UE ha stabilito che la competenza giurisdizionale in caso di procedure transnazionali relative a persone fisiche, ovvero a persone che non esercitano attività professionale o imprenditoriale, spetta al Giudice dello Stato in cui la persona fisica ha la propria residenza abituale. La presunzione che tale Stato corrisponda a quello in cui è collocato il centro degli interessi principali della persona fisica non è superata dal fatto che l’unico bene che può essere posto in liquidazione sia situato in altro Stato membro ove siano state compiute le transazioni ed i contratti che abbiano dato origine allo stato di insolvenza.

Riferimenti normativi

Art. 3 Reg. 848/2015.

CASO

Con la sentenza in esame la Corte di Giustizia UE si è occupata del criterio di giurisdizione, ai sensi del Reg. 848/2015, in ambito di procedure di insolvenza transfrontaliere relative a persone fisiche che non esercitano attività professionale o imprenditoriale.

SOLUZIONE

La Corte di Giustizia ha chiarito che la presunzione secondo la quale il centro degli interessi principali della persona fisica insolvente coincide con il Paese in cui egli abbia la residenza non è superata dal fatto che l’unico bene che può essere posto in liquidazione sia situato in un diverso Stato membro, anche nel caso in cui in quest’ultimo Paese siano state compiute le transazioni che hanno determinato lo stato di insolvenza.

QUESTIONI

La Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi a seguito di una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sul Reg. 848/2015 relativo alle procedure di insolvenza transnazionali.

I coniugi Tizio e Caia, residenti in uno Stato membro, hanno richiesto l’apertura di una procedura di insolvenza nei loro confronti in un diverso Stato membro in cui ritenevano fosse situato il loro centro di interessi principali.

Il giudice di primo grado adito ha negato la propria competenza ritenendo, ai sensi dell’art. 3, par. 1, co. 4 Reg. 848/2015 che il centro degli interessi principali dei ricorrenti fosse situato nel diverso Stato in cui essi avevano la residenza abituale e, quale conseguenza, i giudici di quest’ultimo Stato fossero competenti ad aprire la procedura di insolvenza.

I coniugi hanno impugnato la sentenza di primo grado per supposta erronea interpretazione delle norme del Reg. 848/2015 ritenendo che il centro degli interessi principali corrispondesse allo Stato in cui si trovava l’unico bene immobile di loro proprietà, sottoponibile a liquidazione. Inoltre, hanno evidenziato che in detto Stato erano state eseguite le transazioni e conclusi i contratti che avevano determinato il loro stato di insolvenza.

Il giudice del rinvio si è interrogato sulla corretta interpretazione del Reg. 848/2015, ritenendo possibile, in virtù di quanto al considerando n. 30 del Regolamento, per le persone fisiche che non esercitano attività imprenditoriale o di lavoro autonomo, rovesciare la presunzione di coincidenza del centro di interessi principali con il luogo di residenza abituale.

La Corte d’Appello ha così sospeso il giudizio e sottoposto alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale:

“Se, nell’ambito del regolamento [2015/848], l’organo giurisdizionale di uno Stato membro sia competente a procedere all’apertura di una procedura principale d’insolvenza di un cittadino che possiede il suo unico bene immobile nel territorio di tale Stato, sebbene egli, insieme al proprio nucleo familiare, sia residente in altro Stato membro, dove svolge attività di lavoratore dipendente”.

La Corte di Giustizia ha rilevato, preliminarmente, che l’art. 3, par. 1, co. 1 Reg. 848/2015 individua il centro degli interessi principali del debitore, c.d. COMI, quale criterio generale di collegamento per stabilire la competenza internazionale ai fini dell’apertura di una procedura di insolvenza che presenti elementi di estraneità rispetto alle procedure nazionali.

Secondo costate giurisprudenza comunitaria, la nozione di centro degli interessi principali deve essere interpretata in maniera autonoma e uniforme, essendo contenuta in una disposizione del diritto dell’Unione senza espresso riferimento al diritto degli Stati membri.

Inoltre, la Corte ha evidenziato che il centro degli interessi principali deve essere inteso come il luogo in cui il debitore esercita in maniera abituale e riconoscibile dai terzi la gestione dei suoi interessi. Il ricorso a criteri oggettivi, verificabili dai terzi, è fondamentale per garantire la certezza del diritto e la prevedibilità dell’individuazione del giudice competente ad aprire la procedura di insolvenza. In linea, l’Avvocato Generale aveva sottolineato che le norme sulla competenza internazionale del Reg. 848/2015 fungono da deterrente per il trasferimento di beni o procedimenti giudiziari da uno Stato membro ad un altro Stato in cui vi sia un trattamento più favorevole in danno della massa dei creditori.

Le considerazioni formulate dalla Corte si applicano, per sua stessa manifestazione, a qualsiasi tipo di debitore, comprese le persone fisiche che non esercitano attività imprenditoriale o professionale autonoma.

Secondo gli eurogiudici, al fine di determinare il centro degli interessi principali di una persona fisica che non esercita attività imprenditoriale o professionale autonoma bisogna avere riguardo alla situazione patrimoniale ed economica, che corrisponde al luogo in cui egli gestisce i suoi interessi economici e dove sono percepiti e spesi la maggior parte dei redditi o al luogo in cui si trova la maggior parte dei suoi beni. Quale conseguenza, fino a prova contraria si presume che la gestione abituale degli interessi avvenga nel luogo della residenza abituale, dal momento che è più probabile che corrisponda al centro degli interessi economici principali.

Ciò posto, la Corte si è interrogata sulla portata della prova contraria in grado di superare la presunzione menzionata. Ai sensi del considerando 30 del Reg. 848/2015, la presunzione è superabile se la maggior parte dei beni del debitore è localizzata al di fuori dello Stato membro di residenza abituale o se può essere dimostrato che il principale motivo di spostamento era quello di aprire la procedura in uno Stato in cui si comprometterebbero gravemente gli interessi dei creditori i cui rapporti col debitore risalivano a prima dello spostamento. Tuttavia, la presunzione può essere vinta solo a seguito di una valutazione globale dell’insieme dei criteri oggettivi da parte del giudice adito, non è detto che la presenza di un criterio sia di per sé idonea a superare la presunzione.

Alla luce di quanto esposto, la Corte di Giustizia ha chiarito che il fatto che l’unico bene immobile di proprietà del debitore sia situato in uno Stato membro diverso da quello della residenza non è sufficiente a superare la presunzione di corrispondenza tra il centro di interessi principale ed il luogo di residenza abituale.