Identificazione, nella disciplina della crisi di impresa, dell’interesse sociale con l’interesse al risanamento dell’impresa ai fini della valutazione della gravità delle conseguenze in relazione alla richiesta di sospensione di delibera societaria ex art. 2378 comma 4 cc.
di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDFParole chiave: Annullamento delibera; Cautelare; Sospensione; Perdita del capitale sociale; Interesse sociale; Interesse al risanamento;
Massima: “In stato di crisi, nella valutazione comparativa richiesta dall’art. 2378 co 4 cc, a fronte di un pregiudizio della socia ricorrente, o comunque eventualmente riparabile in termini risarcitori, va considerata preminente il pregiudizio per la società di per sé irreparabile in quanto attinente alle stesse condizioni di sopravvivenza operativa dell’impresa unitaria del gruppo.”
Riferimenti normativi: Art. 2086 cc, art. 2378 cc; art. 44 CCII; art. 120 bis e ss CCII; art. 284 CCII;
CASO
Con ricorso ex art. 2378 co 4 cc., la ricorrente aveva richiesto la sospensione della delibera assunta alla maggioranza dei soci di società holding con cui era stato approvato il bilancio di esercizio e la situazione patrimoniale aggiornata, i quali entrambi riportavano una perdita rilevante ai sensi dell’art. 2247 cc.; inoltre, era stata deliberata la copertura delle perdite mediante l’utilizzo delle riserve e della sopravvenienza derivante dalla rinunzia ad un credito, nonché, infine, azzerato il capitale sociale e deliberato l’aumento del capitale sociale con sovrapprezzo.
In particolare, sotto il profilo del periculum in mora, la ricorrente sottolineava, da un lato, la gravità del pregiudizio subito per effetto dell’azzeramento del valore della partecipazione, dell’irreversibilità della esclusione dalla compagine sociale e della perdita dei diritti economici e patrimoniali connessi alla partecipazione e, dall’altra, la assenza del pregiudizio arrecabile alla società per effetto della sospensione della operazione di ricapitalizzazione.
SOLUZIONE
Il Tribunale ha respinto la richiesta di sospensione evidenziando come, nella valutazione comparativa tra il pregiudizio che subirebbe la ricorrente dalla esecuzione della delibera impugnata e il pregiudizio che subirebbe la società dalla sospensione, va dato rilievo, nel contesto della disciplina della crisi dell’impresa societaria delineato dagli art. 120 bis e seguenti CCII, alla circostanza che l’interesse sociale viene a coincidere essenzialmente con l’interesse al risanamento dell’impresa, così che detto interesse risulta preminente e superiore rispetto agli interessi degli altri soggetti coinvolti.
QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA
Il provvedimento in questione merita attenzione per i diversi profili di diritto che tocca, oltre che per gli effetti che ne scaturiscono.
Va anzitutto apprezzato il provvedimento in esame in quanto consente di prendere atto di come la disciplina codicistica in materia societaria e quella normata dal Codice della crisi di impresa siano destinate ad intrecciarsi più frequentemente di quanto possa apparire.
Il quadro societario disegnato nel provvedimento narra di un gruppo di imprese la cui società controllante è stata costretta ad accedere alla composizione negoziata della crisi di impresa avendo evidenziato, oltre ad un patrimonio netto negativo, una situazione di profonda crisi finanziaria connotata da forte riduzione dei ricavi e dal mancato pagamento dei debiti tributari e dei fornitori.
Pressoché contestualmente le società controllate dalla holding avevano depositato domanda prenotativa di concordato di gruppo ai sensi dell’art. 44 e 284 CCII, ottenendo la conferma delle misure protettive.
Nel quadro così rappresentato, la società holding aveva preso atto della grave perdita risultante dal progetto di bilancio e della situazione di crisi generalizzata del gruppo tramite l’acquisizione delle informazioni contabili e gestionali desumibili dalle situazioni patrimoniali aggiornate relative alle società controllate, nonché di un impairement test. Con la conseguente determinazione i soci hanno approvato il bilancio di esercizio con la perdita rilevante e, deliberata la copertura delle perdite, hanno quindi azzerato il capitale sociale e deliberato l’aumento di capitale sociale con sovrapprezzo.
La ricorrente, socia, per effetto della delibera aveva subito l’azzeramento del valore della partecipazione, l’esclusione dalla compagine sociale e la perdita di diritti economici ed amministrativi connessi.
In sede cautelare, quindi, viene sottoposta al Giudice la decisione circa il mantenimento degli effetti della delibera o la sospensione della stessa.
Correttamente, nell’elaborare la motivazione, il Tribunale milanese sottolinea come lo stato della crisi di impresa, nonché la pronta reazione dagli amministratori della holding di accedere alla composizione negoziata, costituisca non un semplice elemento di fatto ma un elemento che modifica sostanzialmente uno dei criteri posti alla base della valutazione che il Giudice deve compiere ai fini della sussistenza o meno del periculum in mora.
In relazione al periculum in mora, infatti, il Giudice deve eseguire una necessaria valutazione comparatistica tra il pregiudizio per la socia ricorrente e il pregiudizio per la società. Tale valutazione è caratterizzata dalla caratteristica della irreparabilità del pregiudizio che, come sottolineato dal Tribunale, trova una declinazione diversa nel caso di crisi di impresa.
Il Tribunale, in particolare, evidenzia come alla luce degli articoli 120 bis e seguenti CCII, il Legislatore dia conto che, in caso di crisi dell’impresa societaria, l’interesse sociale viene essenzialmente a coincidere con l’interesse al risanamento dell’impresa.
Ciò in quanto le previsioni normative ivi definite identificano come preminente l’esigenza di sopravvivenza dell’impresa rispetto agli interessi degli altri soggetti coinvolti, sì che detti interessi dei singoli devono essere sacrificati sull’altare del risanamento.
È sufficiente a tal fine ricordare ai sensi dell’art. 120 bis co 2 CCII il Legislatore ammette “ai fini del buon esito della ristrutturazione” che il piano possa prevedere “qualsiasi modificazione dello Statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazioni dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni”.
In definitiva, quindi, come opportunamente osservato dal Tribunale, il Legislatore prevede una vera e propria “sterilizzazione” del diritto dei soci non solo a decidere su dette materie, ma anche ad interloquire; e ciò in ossequio al buon esito dello strumento di regolazione della crisi.
Così quindi identificato l’interesse sociale, in caso di crisi di impresa e accesso agli strumenti di regolazione della crisi, va da sé che nel giudizio valutativo, che il Giudice deve compiere ai fini della sospensione o meno della delibera, deve essere attribuita preminenza all’interesse sociale rappresentato dal risanamento dell’impresa stessa rispetto all’interesse del singolo socio.
Diversamente opinando, si avrebbe come conseguenza una chiara distonia atteso che, da un lato, il socio non potrebbe opporsi ad una riduzione/aumento di capitale prevista dagli amministratori in un piano di risanamento ex art. 120 bis CCII pur potendo, dall’altro, bloccare in via cautelare in forza dell’art. 2378 cc lo stesso tipo di operazione.
Il principio spiegato dal Tribunale milanese risulta congruo con il principio dell’adeguatezza degli assetti dettato dall’art. 2086 cc.
Il principio impone agli amministratori di gestire la società con l’attenzione rivolta alla tutela della continuità che si concretizza non solo sotto un profilo prognostico relativo all’apprezzamento dei fattori che possano minare la continuità; il principio si concretizza anche nell’obbligo per gli amministratori di disporre ora per allora le azioni tempestive, efficaci ed efficienti per il ripristino e il mantenimento della continuità.
Anche quindi nell’esprimere il principio di adeguatezza degli assetti, la continuità aziendale è posta come valore primario cui deve informarsi la condotta degli amministratori.
Ritenere quindi che in una situazione di crisi le chances di reazione volte al risanamento, e quindi alla continuità, possano essere annichilite da un interesse personale del socio attraverso una valutazione in materia di pregiudizio che non tenga conto dell’interesse sociale così come definito nello stato di crisi, risulta assolutamente distonico ed estraneo al principio stesso dell’adeguatezza degli assetti.
Ne consegue, in ultima analisi, che la corretta istituzione degli assetti adeguati consente, da un lato, alla società di realizzare in modo fattivo l’interesse sociale in stato di crisi volto alla continuità dell’impresa, e, dall’altro, consente al socio stesso di essere a conoscenza del momento in cui il suo diritto ad interloquire in alcune materie cede il passo al superiore interesse al risanamento. Circostanza, peraltro, protetta dal Legislatore sia in sede di composizione negoziata che in sede di strumenti per la regolazione della crisi richiede partecipazione e/o l’intervento di soggetti terzi indipendenti quali l’Esperto, ovvero il Commissario Giudiziale o anche il Tribunale stesso.
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