14 Giugno 2022

Gli effetti del decreto ingiuntivo nei confronti del debitore fallito, successivamente tornato in bonis

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2022, n. 8110 – Pres. Vivaldi – Rel. Fanticini

Decreto ingiuntivo – Fallimento del debitore – Caducazione del decreto ingiuntivo – Insussistenza – Interruzione del giudizio di opposizione – Mancata tempestiva riassunzione – Estinzione del processo – Definitività del decreto ingiuntivo – Effetti nei confronti del debitore tornato in bonis

Massima: “Il fallimento del debitore dichiarato nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non determina l’inesistenza o l’inefficacia assoluta del provvedimento monitorio, ma solo la sua inefficacia relativa nei confronti della curatela fallimentare, sicché la mancata riassunzione del processo interrotto per effetto della dichiarazione di fallimento consente al decreto ingiuntivo di divenire definitivo e di assumere, così, natura di titolo esecutivo nei confronti del debitore tornato in bonis, legittimando l’intervento nel processo esecutivo intrapreso nei suoi confronti dopo la chiusura del fallimento e la partecipazione alla distribuzione del ricavato.”

CASO

Due istituti di credito ottenevano altrettanti decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi nei confronti di una società che, nelle more dei relativi giudizi di opposizione, veniva dichiarata fallita.

Le domande di ammissione al passivo proposte dalle banche erano respinte, stante l’inopponibilità alla curatela dei decreti ingiuntivi, in quanto non definitivi alla data del fallimento.

Dopo la chiusura della procedura concorsuale, contro la società tornata in bonis veniva promossa un’espropriazione immobiliare, nel cui ambito i medesimi istituti di credito svolgevano intervento in forza degli stessi decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi conseguiti prima della dichiarazione di fallimento, grazie ai quali avevano pure proceduto – sempre in epoca anteriore al fallimento – all’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni successivamente pignorati.

Venduti questi ultimi, il professionista delegato predisponeva il progetto di distribuzione, in cui era previsto il soddisfacimento dei crediti azionati dalle banche, con il rispettivo privilegio ipotecario.

Respinte le contestazioni mosse dagli altri creditori, il piano di riparto veniva approvato con ordinanza fatta oggetto di opposizione, con la quale si chiedeva di escludere dalla distribuzione del ricavato i crediti delle banche per inesistenza del titolo esecutivo, accertandosi, altresì, l’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte sui beni pignorati.

La sentenza del Tribunale di Foggia che aveva respinto l’opposizione veniva impugnata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che la dichiarazione di fallimento del debitore non determina la caducazione del decreto ingiuntivo, ma la sua inopponibilità alla curatela, ai soli fini della partecipazione al concorso e che, nel contempo, la mancata tempestiva riassunzione del giudizio di opposizione interrottosi ai sensi dell’art. 43 l.fall. ne determina l’estinzione, con conseguente definitività del provvedimento monitorio, che, dunque, può spiegare appieno i propri effetti nei confronti del debitore tornato in bonis.

QUESTIONI

[1] Nella vicenda portata all’attenzione dei giudici di legittimità, si discuteva dell’efficacia di due decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi che non erano ancora divenuti definitivi allorquando, durante la pendenza dei relativi giudizi di opposizione, la società debitrice era stata dichiarata fallita e che erano stati successivamente impiegati al fine di svolgere intervento nell’espropriazione immobiliare promossa contro di essa, una volta tornata in bonis.

Le ricorrenti, che avevano promosso l’espropriazione forzata e avevano visto soccombere i loro crediti nel progetto di distribuzione predisposto all’esito della vendita dei beni pignorati, essendosi ivi accordata la prevalenza a quelli portati da detti decreti ingiuntivi, in ragione delle ipoteche giudiziali iscritte in forza di essi, sostenevano, da un lato, che il fallimento dichiarato nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo aveva determinato l’inefficacia – se non addirittura l’inesistenza – dei provvedimenti monitori e delle ipoteche iscritte in base a essi e, dall’altro lato, che la mancata ammissione al passivo dei crediti azionati dalle banche aveva esplicato effetti anche al di fuori della procedura concorsuale, rendendo tamquam non esset i due decreti ingiuntivi.

Con la sentenza che si annota, queste tesi sono state respinte, dal momento che la dichiarazione di fallimento determina non già la caducazione del decreto ingiuntivo (e dell’ipoteca iscritta sulla scorta della provvisoria esecutività eventualmente accordata), ma, ai sensi dell’art. 43, comma 3, l.fall., l’interruzione del giudizio di opposizione pendente, con facoltà del fallito di riassumerlo onde evitare che, una volta tornato in bonis, possa essergli opposta la definitività del provvedimento monitorio determinatasi ai sensi dell’art. 653 c.p.c.

Posto che, tra gli effetti della chiusura del fallimento, non è compresa la liberazione del fallito dalle obbligazioni non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare (visto che, a termini dell’art. 120 l.fall., i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore tornato in bonis anche per la parte non soddisfatta dei loro crediti), è pacifico in giurisprudenza che i provvedimenti assunti in sede di verifica dello stato passivo, ai fini dell’ammissione dei crediti ivi dedotti, esplicano efficacia meramente endofallimentare, giacché gli accertamenti svolti a tale scopo hanno per oggetto il diritto al concorso e sono condotti secondo regole proprie, che prevedono un peculiare regime di opponibilità degli atti alla massa dei creditori.

In altre parole, l’accertamento posto in essere in sede fallimentare non ha effetto sugli ordinari giudizi di cognizione coltivati dal creditore e dal debitore con riguardo al singolo rapporto obbligatorio tra loro intercorso, che non possono, dunque, risultare vanificati dagli esiti della verifica dello stato passivo o delle impugnazioni che si svolgono in ambito fallimentare, come espressamente affermato dall’art. 96 l.fall., il cui ultimo comma stabilisce che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all’esito dei giudizi contemplati dall’art. 99 l.fall. producono effetti soltanto ai fini del concorso.

Di conseguenza, va escluso che la mancata ammissione al passivo fallimentare di un credito portato da un decreto ingiuntivo non definitivo – e, come tale, inopponibile alla curatela – produca l’effetto di determinare il riconoscimento dell’insussistenza del credito anche al di fuori della sede concorsuale.

Da questo punto di vista, sono noti i principi che presidiano i rapporti tra decreto ingiuntivo e fallimento: poiché il provvedimento monitorio acquista efficacia di giudicato (formale e sostanziale) solo quando il giudice, dopo averne controllato la rituale notificazione, lo dichiara esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c. (consistendo tale funzione – diversa dalla verifica affidata al cancelliere dagli artt. 124 e 153 disp. att. c.p.c. – in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio, che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione, come tale non surrogabile da parte del giudice delegato in sede fallimentare, nell’ambito dell’accertamento del passivo), quello non munito del decreto di esecutorietà di cui all’art. 647 c.p.c. prima della dichiarazione di fallimento non è passato in giudicato e non è, quindi, opponibile al fallimento, anche se sia stato dichiarato provvisoriamente esecutivo, giacché non può nemmeno essere equiparato, ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 96, comma 2, n. 3), l.fall., alla sentenza non ancora passata in giudicato, visto che – diversamente dal decreto ingiuntivo – essa viene pronunciata nel contraddittorio delle parti (in questo senso, tra le altre, Cass. civ., sez. VI, 3 settembre 2018, n. 21583; Cass. civ., sez. VI, 27 maggio 2014, n. 11811).

Nel contempo, si è precisato che, qualora l’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non possa essere dichiarata con ordinanza resa a norma dell’art. 653 c.p.c. (per esempio, per intervenuta interruzione del processo e sua mancata tempestiva riassunzione), la parte che ha ottenuto il provvedimento monitorio è legittimata a fare valere la suddetta estinzione mediante istanza di declaratoria di esecutorietà dell’ingiunzione rivolta, ai sensi dell’art. 654, comma 1, c.p.c., allo stesso giudice che ha emesso l’ingiunzione (si veda Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 2019, n. 5657), mentre quando l’ordinanza di estinzione sia stata pronunciata ai sensi dell’art. 653 c.p.c., è sufficiente che sia vanamente decorso il termine di dieci giorni per proporre reclamo avverso di essa al fine di ritenere il decreto ingiuntivo definitivo e inoppugnabile, anche nei confronti della curatela (Cass. civ., sez. VI, 29 febbraio 2016, n. 3987).

Tornando alla fattispecie esaminata nella sentenza che si annota, i giudici di legittimità hanno osservato che il sopravvenuto fallimento del debitore che abbia proposto opposizione a decreto ingiuntivo determina l’automatica interruzione del relativo giudizio ex art. 43 l.fall., ma non la caducazione del provvedimento monitorio o la sua definitiva privazione di efficacia, né la sua sopravvenuta inesistenza giuridica (che, secondo la giurisprudenza, riguarda solo i limitati ed eccezionali casi di provvedimenti aventi contenuto decisorio erroneamente emessi da un giudice carente di potere o dal contenuto abnorme, che li renda irriconoscibili come atti processuali, perché privi dei requisiti indefettibili di un provvedimento giurisdizionale).

In definitiva, l’inefficacia dei decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi ma non definitivi riguarda solo la procedura concorsuale che ha interessato il debitore destinatario dell’ingiunzione, nei cui confronti non possono né essere avviate o proseguite azioni esecutive individuali in forza di detti titoli esecutivi, né svolgersi, ai fini del concorso, giudizi di accertamento di suoi debiti al di fuori delle modalità prescritte dalla legge fallimentare.

Nessuna disposizione, tuttavia, impedisce l’accertamento, al di fuori della procedura concorsuale, di un credito nei confronti del fallito onde farlo valere contro di lui, una volta tornato in bonis: in caso di avvio o di prosecuzione del relativo giudizio, dunque, il provvedimento così ottenuto sarà senz’altro inopponibile alla curatela e alla massa dei creditori, ma sarà destinato ad assumere efficacia se e quando il fallito sarà tornato in bonis.

Con specifico riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo pendente al momento della dichiarazione di fallimento del debitore opponente, la necessità per il creditore di insinuare al passivo il credito per essere soddisfatto nell’ambito della procedura concorsuale non incide sulla facoltà – sia per il creditore opposto, sia per il debitore opponente – di riassumere il processo interrotto, vuoi per fare conseguire al decreto ingiuntivo l’esecutività di cui non sia stato munito in precedenza ovvero per ottenere una pronuncia sul merito opponibile al debitore tornato in bonis, vuoi per impedire che all’estinzione del giudizio di opposizione per mancata riassunzione del processo consegua la definitività del provvedimento monitorio ai sensi dell’art. 653 c.p.c.

Pertanto, il fallimento del debitore opponente, pur impedendo al decreto ingiuntivo opposto di spiegare effetti nei confronti della curatela fallimentare ai fini concorsuali, non determina la caducazione del provvedimento monitorio, né travolge gli atti che siano stati fino a quel momento compiuti (ivi compresa l’iscrizione di ipoteca cui si sia proceduto in forza della sua provvisoria esecutività) e comporta l’interruzione del giudizio di opposizione pendente, che, se non tempestivamente riassunto, si estingue, legittimando la produzione nei confronti del debitore opponente – una volta tornato in bonis – degli effetti conseguenti alla definitività del decreto ingiuntivo prodottasi in virtù di quanto stabilito dall’art. 653 c.p.c.

Di conseguenza, nel caso di specie, i crediti delle due banche erano stati correttamente ammessi alla partecipazione alla distribuzione del ricavato della vendita dei beni pignorati con il rango di privilegiati, in forza delle ipoteche giudiziali che li assistevano, costituendo i decreti ingiuntivi divenuti definitivi per effetto dell’estinzione dei giudizi di opposizione non tempestivamente riassunti dal debitore opponente poi fallito titoli esecutivi legittimanti l’intervento ai sensi dell’art. 499 c.p.c.

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