19 Maggio 2020

I fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta concordataria possono essere qualificati quali atti in frode ex art. 173 L.F. e quindi essere rilevanti ai fine della revoca della proposta concordataria

di Giulia Ferrari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., sez. VI, 13 marzo 2020 n. 7137 – Pres. Sambito – Rel. Caiazzo

Parole chiave: concordato, proposta concordataria, revoca del concordato, atti in frode, fatti non adeguatamente e compiutamente esposti, contabilità, magazzino, fallimento, dichiarazione di fallimento.

Massima In tema di concordato preventivo, rientrano tra gli atti in frode, rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione alla predetta procedura, ai sensi dell’art. 173 L. Fall., anche i fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta di concordato o nei suoi allegati, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza.

Disposizioni applicate: R.D. 16 marzo 1942, n. 267: art. 173,

CASO

La società Alfa S.r.l. propose ai creditori un concordato preventivo avanti il Tribunale di Vicenza.  Ammessa alla procedura e ottenuto il voto favorevole della maggioranza dei creditori, nell’ambito di un giudizio ex art. 173 L. Fall. il Tribunale di Vicenza revocò il concordato preventivo e, su istanza del Pubblico Ministero e di un creditore, dichiarava il fallimento della società Alfa. La revoca trovava giustificazione, secondo il Tribunale veneto, nel fatto che la società Alfa non era stata in grado di descrivere l’esatta consistenza del magazzino e tale mancata esposizione dei fatti era stata ritenuta dal Tribunale alla stregua di un atto in frode ai fini dell’applicazione dell’art. 173 L.F. Il Tribunale di Vicenza aveva altresì affermato che a tale carenza non poteva supplire la richiesta di esibizione della contabilità formulata da Alfa nei confronti di una società terza, affittuaria dell’azienda della società proponente, in quanto iniziativa volta a supplire alle omissioni e carenza di attività istruttoria di Alfa.

La medesima società Alfa proponeva quindi reclamo avverso la sentenza di fallimento che veniva respinto dalla Corte di Appello di Venezia. La società Alfa propose quindi ricorso in Cassazione.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, confermando la pronuncia della Corte di appello di Venezia, ha affermato che in tema di concordato preventivo, è qualificabile quale “atto in frode”, rilevante ai fini della revoca dell’ammissione alla predetta procedura ai sensi dell’art. 173 L. Fall. anche la non adeguata e compiuta esposizione di fatti rilevanti in sede di proposta di concordato o nei suoi allegati, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza.

QUESTIONI

La pronuncia oggetto di commento torna sul tema complesso dell’interpretazione dell’art. 173 L. F. ed in particolare sull’istituto degli “atti in frode” il cui compimento determina la revoca dell’ammissione al concordato.

E opportuno osservare preliminarmente che, nell’ambito del dettano normativo, la nozione di “atti di frode” rappresenta una categoria aperta, una figura non tipizzata e residuale di revoca del concordato posta dal legislatore a fianco di una serie di fatti specificamente individuati (quali l’occultamento o dissimulazione dell’attivo ovvero l’omissione, omessa denuncia di uno o più crediti, o ancora l’esposizione di passività insussistenti cfr. L. Fall., art. 173, comma 1, primo periodo) il cui contenuto di dettaglio è stato riempito da una corposa produzione giurisprudenziale.

Sono quindi riconducibili alla categoria degli “atti in frode”, rilevanti ai sensi dell’art. 173 L. Fall., situazioni tra loro variegate, tuttavia caratterizzate, secondo la giurisprudenza, sotto il profilo oggettivo, da due tratti caratterizzanti, rilevabili anche nel caso in esame.

 “L’atto in frode” si configura infatti qualora (i) una circostanza relativa alla proposta di concordato viene taciuta nella sua materialità ovvero pure esposta in modo non adeguato e compiuto, come successivamente venuta alla luce in esito alle verifiche ed analisi compiute dal commissario giudiziale; (ii) e tale deficit informativo è di per sé idoneo ad alterare la cognizione informativa dei creditori e quindi a incidere in modo significativo sulla valutazione compiuta dagli stessi (cfr., tra le altre, Cass. n. 25458/2019; Cass. n. 16858/2018; Cass. n. 30537/2018; Cass. n. 14552/2014).

La fattispecie degli “atti in frode” di cui all’art. 173 L. Fall. non coincide, quindi, con quella degli “atti in frode ai creditori”, di cui agli artt. 64 e ss. L. Fall., ossia di quei comportamenti volontari idonei a pregiudicare le aspettative di soddisfacimento del ceto creditorio, ma esige che la condotta del debitore fosse volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè situazioni che, da un lato, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e, dall’altro, siano state “accertate” dal commissario giudiziale, cioè da lui “scoperte”, essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori.

Sul piano soggettivo, ossia quello relativo al profilo “fraudolento” dell’intendimento di compiere l’atto, la giurisprudenza ha sottolineato che ai fini della rilevanza del comportamento è sufficiente anche la mera consapevolezza di avere taciuto nella proposta o nei suoi allegati circostanze rilevanti ai fini dell’informazione dei creditori, senza che occorra la presenza di una dolosa preordinazione (cfr., tra le altre, Cass. n. 25458/2019 e Cass. n. 15695/2018).

La giurisprudenza ha altresì precisato che tale comportamento viene ad assumere rilevanza nella prospettiva della sua mera “potenzialità decettiva”, non già necessariamente in quella dell’effettiva consumazione della condotta, posto che il dettato dell’art. 173 “non richiede che, una volta accertata la presenza di atti di frode, venga dato spazio a successive valutazioni dei creditori” (Cass. n. 30537/2018); la norma, in altri termini, ferma la rilevanza del comportamento alla oggettiva potenzialità del carattere “falsificante” dell’atto, non richiede, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, il verificarsi di un concreto pregiudizio (non rilevando, cioè, che “l’inganno si sia effettivamente realizzato“, Cass. n. 14552/2014).

Ne consegue che, ai fini della revoca dell’ammissione al concordato, rilevano solo le circostanze non espressamente o adeguatamente indicate nella proposta, ovvero nei suoi allegati, che abbiano una valenza decettiva tale da pregiudicare il consenso informato dei creditori ancorché annotati nelle scritture contabili.

Nella vicenda in esame il giudice di merito ha accertato (ricordiamo con valutazione in fatto che si sottrae a inammissibili tentativi di rivisitazione in sede di giudizio di legittimità) un ammanco di rimanenze di magazzino in relazione al quale la società Alfa s.r.l. non aveva fornito idonee delucidazioni e giustificazioni nella proposta e negli allegati della stessa.

La stessa Alfa, ancorché richiesta, non aveva fornito l’indicazione dell’esatta consistenza dei beni oggetto del magazzino, né aveva consentito agli organi della procedura di effettuare una verifica sulla base di idonea documentazione dei beni. La ricorrente aveva, invece, tentato di documentare la consistenza del proprio magazzino attraverso una richiesta di esibizione della contabilità di altra società, affittuaria dell’azienda, della società proponente.

Tale richiesta, però, era stata ritenuta inammissibile dal Tribunale di prime cure, in quanto volta a supplire carenze dell’attività istruttoria gravante su Alfa.

In applicazione dei principi sopra illustrati, gli Ermellini hanno quindi ritenuto rilevante, ai fini della revoca del concordato ex art. 173 L. Fall., il comportamento omissivo tenuto dalla società Alfa, in quanto idoneo ad alterare la cognizione informativa dei creditori e quindi a incidere in modo significativo sulla valutazione della proposta compiuta dagli stessi.