11 Luglio 2023

Il fallimento del debitore non preclude la prosecuzione del giudizio per l’accertamento dei crediti ammessi con riserva

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2022, n. 29934 – Pres. Frasca – Rel. Iannello

Parole chiave: Fallimento – Sentenza di primo grado che accerta il credito nei confronti del debitore fallito emessa prima della dichiarazione di fallimento – Ammissione al passivo con riserva del credito – Impugnazione della sentenza di primo grado – Riassunzione del processo interrotto nei confronti del curatore – Efficacia della sentenza che decide l’impugnazione nei confronti del fallimento

[1] Massima: “Ove, a seguito dell’impugnazione della sentenza di rigetto (anche parziale) della domanda da parte del creditore, il giudizio, interrottosi per la dichiarazione di fallimento del debitore, sia proseguito dal curatore o nei confronti dello stesso, la sentenza di accertamento del credito eventualmente emessa in riforma di quella di primo grado è destinata a spiegare efficacia nei confronti del fallimento, allo stesso modo di quella di rigetto dell’impugnazione proposta o proseguita dal curatore in caso di accoglimento della domanda in primo grado”.

Disposizioni applicate: r.d. 267/1942, artt. 43, 51, 52, 96

CASO

I locatori di alcuni immobili agivano in giudizio nei confronti del conduttore, titolare di un’impresa individuale, per ottenere il pagamento dei canoni insoluti e dell’indennità di occupazione spettante fino alla data del rilascio, nonché il risarcimento dei danni subiti; la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Roma, che aveva accolto solo parzialmente le domande degli attori, veniva impugnata da questi ultimi.

Nelle more del giudizio di appello, interveniva la dichiarazione di fallimento del conduttore e la conseguente interruzione del processo, che veniva riassunto dai locatori.

Costituitosi in giudizio il curatore, la Corte d’appello di Roma dichiarava improcedibile il giudizio, in virtù di quanto disposto dall’art. 51 l.fall. (a mente del quale, dal giorno della dichiarazione di fallimento, nessuna azione individuale esecutiva o cautelare può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento, salvo che una disposizione di legge lo consenta): infatti, sebbene il giudice delegato avesse ammesso con riserva i crediti dei locatori ai sensi dell’art. 96, comma 2, n. 3), l.fall. (che ha riguardo ai crediti accertati con sentenza pronunciata prima del fallimento e non ancora passata in giudicato), aveva poi autorizzato il curatore a costituirsi nel giudizio riassunto nei suoi confronti al fine di sollecitare la declaratoria di improcedibilità delle domande proposte dai locatori appellanti.

Per la Corte d’Appello di Roma, in buona sostanza, doveva darsi prevalenza alla volontà del giudice delegato espressa nell’ultimo provvedimento assunto.

I locatori impugnavano la sentenza così resa, lamentando l’illogicità della conclusione cui erano pervenuti i giudici di secondo grado.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che il provvedimento con cui il giudice delegato autorizza il curatore a costituirsi nel giudizio di impugnazione promosso dal creditore che abbia visto solo parzialmente accolte le domande proposte nei confronti del debitore dichiarato fallito dopo la pronuncia della sentenza gravata e il cui credito sia stato conseguentemente ammesso al passivo con riserva, non può valere a individuare un criterio di competenza diverso da quello fissato dall’art. 96 l.fall.

QUESTIONI

[1] Pendente, in grado di appello, il giudizio promosso dai locatori per ottenere il pagamento di quanto ancora dovuto e il risarcimento dei danni subiti, sopraggiungeva la dichiarazione di fallimento del conduttore, che determinava l’interruzione del processo.

I locatori, avendo visto solo parzialmente accolte in primo grado le loro domande, avevano impugnato la sentenza emessa dal Tribunale di Roma e, nel contempo, avevano insinuato al passivo il credito avente titolo in essa, ammesso con riserva ai sensi dell’art. 96 l.fall.; riassunto il giudizio di secondo grado nei confronti del curatore, questi si costituiva, chiedendo che venisse emessa declaratoria di improcedibilità.

La Corte d’appello di Roma accoglieva tale richiesta, con sentenza cassata con la pronuncia che si annota.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, l’art. 96, comma 2, n. 3), l.fall. prevede l’ammissione al passivo con riserva dei crediti accertati con sentenza non ancora passata in giudicato, pronunciata prima della dichiarazione di fallimento, con possibilità per il curatore di proporre o di proseguire il giudizio d’impugnazione.

In questo modo, il legislatore, sulla scia di quanto disponeva il previgente art. 95, comma 3, l.fall. (a mente del quale, se il credito risultava da sentenza non ancora passata in giudicato, per escluderne l’ammissione al passivo era necessaria l’impugnazione), ha inteso realizzare un contemperamento equitativo tra l’interesse di chi abbia già ottenuto un provvedimento – sia pure non ancora definitivo – che riconosca l’esistenza del proprio credito ad avvalersene per la partecipazione al concorso e quello contrapposto (ed eventuale) degli altri creditori a pretenderne l’accertamento secondo le norme dettate dagli artt. 93 e seguenti l.fall.

In deroga alla competenza funzionale del giudice fallimentare in ordine alla verifica della sussistenza di crediti nei confronti del fallito, dunque, ne è stata individuata una facente capo al giudice ordinario, ferma restando, tuttavia, la necessità che il creditore presenti domanda di ammissione al passivo, anche al fine di notiziare gli organi fallimentari dell’esistenza della sentenza.

Questa deroga, risalente – come detto – al previgente comma 3 dell’art. 95 l.fall., era funzionale a prevenire che fossero radicati e pendenti una pluralità di processi vertenti sullo stesso oggetto, essendosi reputato preferibile che, qualora fosse già stata pronunciata una sentenza prima della dichiarazione di fallimento, l’accertamento del credito proseguisse davanti all’organo competente per l’impugnazione.

La giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, precisato che il creditore vittorioso in primo grado non può riassumere nei confronti del curatore il giudizio d’appello interrotto per l’intervenuto fallimento del debitore appellante, ma, ove intenda partecipare al concorso fallimentare, deve fare valere nella sede concorsuale le ragioni riconosciute a suo favore dalla sentenza appellata, rimanendo a carico del curatore l’onere di coltivare il giudizio d’impugnazione nel caso in cui il giudice delegato ritenga di non ammettere il credito.

Al contrario, nel caso in cui – come accaduto nella fattispecie esaminata dalla pronuncia che si annota – la sentenza non ancora passata in giudicato non abbia accertato la pretesa del creditore, rigettando o accogliendo solo parzialmente la sua domanda, il giudizio di impugnazione può essere proseguito o riassunto anche su istanza del creditore nei confronti del curatore, legittimato non solo a proporre l’impugnazione, ma anche a subirla.

Da questo punto di vista, è stato evidenziato che, ai sensi dell’art. 52 l.fall., la dichiarazione di fallimento del debitore preclude la proposizione o la prosecuzione di azioni individuali da parte dei creditori, esplicandosi così la vis actractiva di tutte le controversie che trovano, direttamente o indirettamente, la loro ragione ontologica e funzionale nel fallimento dinanzi al giudice delegato e al tribunale fallimentare; ciò, tuttavia, non vale quando la dichiarazione di fallimento sia intervenuta successivamente alla pronuncia di una sentenza di primo grado che abbia rigettato, anche solo in parte, la domanda proposta dal creditore.

In questo caso, prevale la regola dapprima dettata dall’art. 95, comma 3, l.fall. e che ora si evince dall’art. 96, comma 2, n. 3), l.fall., in virtù della quale, ove il credito di cui sia stata chiesta l’ammissione al passivo risulti da sentenza non ancora passata in giudicato, il rigetto dell’istanza richiede necessariamente che la sentenza sia stata impugnata.

Questa disposizione, la cui ratio consiste nell’evitare che la sentenza pronunciata prima della dichiarazione di fallimento diventi irretrattabile per effetto della sua mancata impugnazione, dev’essere interpretata estensivamente, in modo da comprendere i crediti oggetto di accertamento negativo da parte della sentenza di merito non ancora passata in giudicato.

Di conseguenza, se, a seguito dell’impugnazione della sentenza di rigetto (anche parziale) della domanda del creditore, il giudizio interrottosi per la dichiarazione di fallimento del debitore sia proseguito dal curatore o nei suoi confronti, la sentenza di accertamento del credito eventualmente emessa in riforma di quella di primo grado o di rigetto dell’impugnazione è destinata a spiegare efficacia nei confronti del fallimento.

La sentenza di primo grado intervenuta prima della dichiarazione di fallimento è, dunque, titolo per insinuarsi al passivo e non può essere travolta da una dichiarazione di improcedibilità della domanda, pena la violazione dell’art. 96 l.fall., che consente di avvalersi della pronuncia per insinuarsi al passivo, ferma restando la facoltà del curatore di proseguire l’impugnazione.

Poiché all’improcedibilità della domanda conseguirebbe la caducazione del titolo ottenuto e la necessità di avviare una nuova azione nei confronti del fallimento, un simile esito si porrebbe in contrasto con la regola dettata dall’art. 96 l.fall., che consente a chi ha ottenuto una sentenza favorevole, sebbene non ancora divenuta definitiva, di avvalersene per insinuarsi al passivo, rimettendo al curatore la scelta se contrastare o meno quel titolo attraverso l’impugnazione.

La medesima regola, ovviamente, non vale nel caso in cui il fallimento intervenga prima dell’introduzione dell’azione promossa dal creditore o anche successivamente, ma nel corso del giudizio di primo grado, prima che venga pronunciata alcuna sentenza.

Alla luce di questi principi, l’affermazione in base alla quale dall’autorizzazione alla costituzione in giudizio concessa al curatore dal giudice delegato, apparentemente finalizzata a ottenere la declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione proposta dai locatori, doveva evincersi l’individuazione della procedura concorsuale quale sede in cui andavano accertate le loro pretese è stata dichiarata manifestamente errata in iure, giacché, a fronte di una chiara indicazione emergente dall’art. 96 l.fall. in ordine al giudice competente a vagliare l’impugnazione, il provvedimento autorizzatorio del giudice delegato – che costituisce espressione di una funzione di giurisdizione volontaria e non decisoria – non può esplicare effetti nei confronti del terzo creditore, al di fuori dei rapporti tra organi della procedura e difensore nominato dal curatore, né tantomeno vincolare il giudice avanti al quale è stato radicato e pende il gravame.

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