12 Aprile 2023

Disconoscimento della sottoscrizione dell’assegno posto a base del precetto e verificazione di scrittura privata

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2022, n. 27381 – Pres. De Stefano – Rel. Guizzi

Massima: “In caso di opposizione a precetto fondato su assegno bancario, l’autenticità della relativa sottoscrizione può essere contestata mediante il disconoscimento ex art. 214 c.p.c. (con conseguente onere del creditore opposto che intenda valersi del titolo esecutivo stragiudiziale di chiederne la verificazione ai sensi dell’art. 216 c.p.c.), senza che ciò sovverta le regole sull’onere probatorio applicabili a tale giudizio, trattandosi dell’ordinario strumento processuale idoneo a contrastare l’apparenza di esecutività del titolo, fondata sulla genuinità della sottoscrizione, contestata dal suo supposto autore”.

CASO

Una società cui erano stati consegnati quattro assegni intimava precetto di pagamento alla debitrice, che proponeva opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., contestando l’autenticità dei titoli in forza dei quali era stato minacciato l’avvio dell’azione esecutiva e, in particolare, disconoscendo le sottoscrizioni ivi apposte.

Più precisamente, veniva sostenuto che, nell’ambito dei rapporti commerciali intercorsi tra le parti, la società che aveva intimato il precetto aveva preteso, a fronte di ritardi nei pagamenti, il rilascio di quattro assegni a garanzia privi di firma, che erano stati successivamente compilati e completati in modo abusivo e, quindi, portati all’incasso.

L’opposizione veniva accolta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza confermata dalla Corte d’appello di Napoli, che ribadiva la tempestività del disconoscimento dei titoli operato dall’opponente nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di prime cure e l’inidoneità dell’istanza di verificazione svolta dalla società opposta, che non aveva indicato i relativi mezzi di prova od offerto scritture di comparazione, escludendo che gravasse sull’opponente l’onere di provare la falsità delle firme apposte sugli assegni.

Avverso la sentenza di secondo grado veniva proposto ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che, nell’ambito di un giudizio di opposizione a precetto intimato sulla base di assegno, il disconoscimento della sua sottoscrizione è idoneo a determinare il venire meno dell’efficacia dello stesso quale titolo esecutivo, dal momento che l’opposizione non integra un’impugnazione del titolo e non si esaurisce con la sua contestazione, ma consiste in un’azione volta a sovvertire l’apparenza dell’esecutività del titolo, fondata sulla genuinità di una sottoscrizione contestata dal suo supposto autore, sicché non occorre che questi proponga querela di falso, mentre spetta al creditore dimostrare la sussistenza dei presupposti per promuovere l’esecuzione forzata.

QUESTIONI

[1] L’assegno, al pari della cambiale, oltre a integrare prova scritta idonea a consentire l’emissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ai sensi dell’art. 642 c.p.c., costituisce esso stesso titolo esecutivo, che legittima l’immediato avvio dell’espropriazione forzata.

Per assumere tale efficacia, tuttavia, occorre che l’assegno rechi tutti i requisiti prescritti, a pena d’invalidità, dall’art. 1 r.d. 1736/1933, fatta salva l’applicazione delle regole suppletive dettate dal successivo art. 2 per ovviare alla mancanza di alcuni di essi e preservare, in questo modo, la validità del titolo.

Da questo punto di vista, data di emissione e sottoscrizione sono elementi assolutamente essenziali, non surrogabili mediante il ricorso a elementi integrativi di carattere presuntivo o esterni al titolo.

Essendo frequente che l’assegno venga emesso senza l’indicazione della data o con data incompleta a scopo di garanzia, la giurisprudenza ha – a più riprese – affermato la sua insanabile nullità, giacché la legge attribuisce all’assegno bancario (a differenza della cambiale, alla quale è tradizionalmente riconnessa la natura di strumento di credito), la funzione di mezzo di pagamento, sicché l’accordo sotteso alla sua emissione si pone in contrasto con le norme imperative dettate dagli artt. 1 e 2 r.d. 1736/1933 e dà luogo a un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce dei criteri enunciati dall’art. 1343 c.c.

Un assegno si reputa privo di data sia quando essa manchi, sia quando risulti illeggibile, sia quando non possa considerarsi certa, impedendo di stabilire se il traente avesse la capacità di emetterlo al momento dell’emissione e che il termine di presentazione per il pagamento decorra, trasformando così l’assegno in uno strumento di credito. In questo senso si è espressa, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2023, n. 6342, che, onde escludere la sanzione di nullità del titolo, ha dichiarato l’irrilevanza della distinzione tra alterazione e correzione dello stesso, per un triplice ordine di ragioni: vuoi perché l’art. 68 r.d. 1736/1933 parla genericamente di alterazioni del testo e il criterio discretivo tra alterazioni e correzioni è stato elaborato allo scopo di considerare irrilevanti solo quelle insuscettibili di pregiudicare gli obbligati diretti e di regresso, mentre l’incertezza della data dell’assegno è di per sé idonea a ledere gli interessi del traente, impedendo di stabilire se il credito cartolare sia prescritto oppure no; vuoi perché, essendo l’assegno un titolo di credito astratto, la letteralità è requisito dell’obbligazione e non del documento, sicché l’incertezza del dato letterale rende incerta e, quindi, inesistente l’obbligazione; vuoi perché il principio di letteralità non consente di distinguere tra modifiche apportate intenzionalmente, per errore o per intenti lodevoli piuttosto che inconfessabili, ma determina il venire meno dell’esistenza stessa di un’obbligazione cartolare a fronte di qualsiasi modifica del contesto letterale del titolo, che riguardi elementi essenziali e che sia tale da renderli irrimediabilmente incerti.

Qualora, invece, l’assegno non sia privo di data, ma ne rechi una successiva a quella in cui è stato effettivamente emesso, il titolo non può ritenersi nullo (anche perché gli artt. 31 e 121 r.d. 1736/1933 contemplano espressamente una simile ipotesi), ma non potrà comunque valere come titolo esecutivo, dovendosi considerare con bollo irregolare, senza che abbia, a tale fine, rilievo la successiva eventuale regolarizzazione fiscale (in questo senso, di recente, Cass. civ., sez. VI, 30 novembre 2022, n. 35192).

Nella fattispecie esaminata dalla sentenza che si annota, le contestazioni riguardavano le sottoscrizioni dei quattro assegni in forza dei quali era stato intimato precetto di pagamento, che la destinataria dell’intimazione sosteneva non essere a lei riconducibili e che erano, pertanto, state disconosciute, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., con l’atto introduttivo dell’opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c.

A tale riguardo, l’opponente aveva dedotto che i quattro assegni erano stati rilasciati a garanzia e privi di firme, essendo stati compilati e completati abusivamente, in un momento successivo, dalla società che aveva intimato il precetto: un tanto, secondo i giudici di legittimità, integra uno specifico e inequivoco disconoscimento dell’autenticità delle sottoscrizioni che, per consolidato orientamento, non richiede il rispetto di formule sacramentali o vincolate.

Tale disconoscimento è idoneo, nell’ambito di un giudizio di opposizione a precetto, a privare di efficacia l’assegno (o la cambiale), in virtù di quanto stabilito dagli artt. 214 e 216 c.p.c., non essendo necessaria la proposizione di una querela di falso: spetterà al creditore proporre eventuale istanza di verificazione, dal momento che, per effetto del disconoscimento, viene contestata non già la regolarità formale del titolo esecutivo, bensì la sua stessa esistenza.

Per la verità, secondo parte della giurisprudenza, poiché dall’opposizione a precetto fondato su titolo cambiario scaturisce un ordinario giudizio di cognizione, nel quale l’attore deve provare i fatti costitutivi del proprio diritto, mentre al convenuto spetta la prova di quelli estintivi o modificativi, colui che si oppone a un’esecuzione promossa per un credito fondato su una ricognizione di debito, insita nell’emissione di una cambiale o di un assegno, deve provare i fatti che tolgono valore al riconoscimento del debito preesistente e sottostante all’emissione del titolo, ivi compresa la denunciata non autenticità della sottoscrizione, non essendo, all’uopo, sufficiente il suo disconoscimento in via incidentale ex art. 214 c.p.c.

Nella sentenza annotata, tuttavia, si è ritenuto di dare continuità all’opposto indirizzo, secondo cui, ai fini della distribuzione degli oneri probatori nei giudizi di opposizione esecutiva, bisogna avere riguardo alla posizione sostanziale delle parti rispetto al rapporto dedotto in giudizio e non al fatto – meramente estrinseco e casuale – che la lite sia stata iniziata dall’una o dall’altra parte.

In quest’ottica, pur essendo vero che, quando l’esecuzione è promossa contro il soggetto contemplato nel titolo esecutivo, spetta a quest’ultimo, quale opponente, fornire la prova del fatto che rende inopponibile o inesigibile, nei suoi confronti, la pretesa azionata, va tenuto conto delle peculiarità proprie dell’esecuzione intrapresa sulla base di un titolo stragiudiziale e, di riflesso, dell’esecuzione a precetto che si innesti su di essa. In simile evenienza, infatti, non si impugna – se non in via atecnica – il contratto o il negozio o il provvedimento cui l’ordinamento attribuisce efficacia esecutiva indipendentemente da un accertamento giudiziale, né l’opposizione si esaurisce o coincide con la sua contestazione, ma si promuove un’azione volta a sovvertire l’apparenza dell’esecutività del titolo a favore di chi da esso risulta essere creditore, per scongiurare che quest’ultimo possa avvalersene.

Pertanto, poiché non viene contestato il diritto in sé, come consacrato nel titolo, ma la sussistenza, in capo al creditore, del diritto di agire esecutivamente, non vi è ragione di escludere che chi nega la genuinità della sottoscrizione di un titolo di credito possa giovarsi del disconoscimento previsto dall’art. 214 c.p.c., che rende la scrittura disconosciuta inidonea a produrre effetti nei confronti del suo apparente autore, salvo che l’autenticità della sottoscrizione non sia dimostrata all’esito del procedimento di verificazione, promosso da parte di colui che ha interesse a utilizzare la scrittura.

In definitiva, il debitore opponente che intende contrastare l’esecuzione promossa in suo danno in forza di un titolo di credito, può limitarsi a disconoscerne la provenienza da sé medesimo, essendo a quel punto onere del creditore fornire la prova del fatto che l’azione esecutiva poteva essere promossa, instando per la verificazione dell’autenticità della sottoscrizione e della sua concreta riferibilità all’autore apparente, onde eliminare qualsiasi incertezza che possa impedire al titolo di continuare a esplicare la propria efficacia esecutiva.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Processo penale, efficienza e garanzie