26 Ottobre 2015

Codice del consumo: azione di classe e ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione

di Francesco Porcari Scarica in PDF

Cass. 24 aprile 2015, n. 8433


Scarica la sentenza

Consumatori e utenti – Azione di classe – Ordinanza di inammissibilità – Ricorso per cassazione – Ammissibilità – Rimessione alle sezione unite.
(Cod. proc. civ., art. 360, 376; d.leg. 6 settembre 2005 n. 206, codice del consumo, a norma dell’art. 7 della l. 29 luglio 2003 n. 229, art. 140 bis).

[1] La questione concernente l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza, resa in sede di reclamo dalla Corte d’appello, che dichiara inammissibile l’azione di classe, dev’essere rimessa al primo presidente della Corte di cassazione, affinché valuti l’opportunità di assegnarla alle sezioni unite.

CASO
[1] La questione attinente alla ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost. dell’ordinanza di inammissibilità dell’azione di classe prevista dall’art. 140-bis codice consumo, è stata già risolta da Cass. 15 giugno 2012, n. 9772, in Foro it., 2012, I, 2304, con commento di A.D. De Santis secondo cui l’ordinanza che, in sede di reclamo, dichiara l’inammissibilità della domanda azionata con l’azione di classe è fondata su una delibazione sommaria che, in quanto tale, non è idonea al giudicato sostanziale, non preclude la riproposizione della domanda in via ordinaria e, fatta eccezione per il capo relativo alla pronuncia sulle spese e sulla pubblicità, non è ricorribile per cassazione. Di contrario avviso è la decisione in epigrafe, che determina così il contrasto tra le sezioni semplici e postula la rimessione al primo presidente della Corte per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite.

SOLUZIONE
[1] Nell’ordinanza interlocutoria in esame, la Corte si discosta dal precedente orientamento osservando che: a) la norma consumeristica prevede, in caso d’inammissibilità dell’azione di classe, solo la salvezza dell’azione individuale, ma non la riproponibilità di quella collettiva; b) l’azione ex art. 140 bis codice consumo, non può liquidarsi come «una mera forma processuale di tutela dei diritti, alternativa ed equipollente rispetto all’azione individuale», di talché essa non avrebbe mai i caratteri della decisorietà e della definitività, stante la sicura proponibilità in via successiva della domanda individuale; c) la pronuncia sull’ammissibilità dell’azione collettiva non si fonda su una delibazione sommaria assunta allo stato degli atti; d) non sembra appagante l’argumentum a contrario utilizzato da Cass. n. 9772/2012, cit., secondo cui dal momento che altre azioni di classe per gli stessi fatti non possono proporsi dopo che la prima sia stata dichiarata ammissibile, a contrario la riproponibilità deve ritenersi ammessa nel caso di dichiarazione di inammissibilità.

QUESTIONI
[1] La decisione sull’ammissibilità della domanda di classe è un provvedimento sui generis, dato che essa prende la forma dell’ordinanza, «modificabile o revocabile in ogni tempo» se ammissiva (cfr. art. 140 bis, comma 11°, cod. cons.), ma, se d’inammissibilità, suscettibile di definire il giudizio. Secondo la ricostruzione abbracciata dalla prima sezione della S.C., l’ordinanza negativa, pur se «decisoria», come ad esempio nel caso di rigetto della domanda per «manifesta infondatezza», non sarebbe mai «definitiva», ben potendo lo stesso attore riproporre la domanda, vuoi deducendo nuove prove, vuoi allegando nuovi fatti (anche se già esistenti all’epoca della prima istanza), vuoi strutturando diversamente la domanda (anche solo in punto di diritto).

Si sottolinea, inoltre, che in ogni caso siffatta decisione si fonda su una «delibazione sommaria» finalizzata «a una pronuncia di rito» che sarebbe «idonea soltanto a condizionare la prosecuzione di quel giudizio di classe». Il provvedimento in esame, invece, dubita che si tratti di una valutazione «sommaria» solo perché la norma prevede la sanzione d’inammissibilità nel caso della domanda «manifestamente infondata». Si replica, infatti, da un lato, che la manifesta infondatezza può evidenziarsi anche in esito a un giudizio a cognizione piena (non essendovi quindi alcuna relazione esclusiva tra sommarietà del procedimento e manifesta infondatezza della domanda) e, dall’altro, che la tecnica utilizzata dal legislatore dell’art. 140-bis, comma 6°, cit., è identica a quella dell’art. 360-bis c.p.c. (la Corte dichiara inammissibile il ricorso «quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione» dei principi del giusto processo), che nessuno ha mai considerato un giudizio sommario (cfr. in argomento Cass. sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051, in Foro it., 2012, I, 3333 ss.). Inoltre, la definitività del rigetto per inammissibilità non è esclusa dalla possibilità di agire successivamente sul piano individuale; si rileva, infatti, che l’azione di classe è uno strumento di tutela affatto peculiare, con una sua insostituibile finalità, sì da non poterlo svilire a mera «forma processuale alternativa a quelle ordinarie», posto che esso è l’unico in grado di esercitare sul professionista una «maggiore pressione economica e psicologica».

In conclusione, la Corte, rilevando nell’ordinanza d’inammissibilità i caratteri della decisorietà (non sommaria) e della definitività, ritiene opportuno, al fine di prevenire un contrasto di giurisprudenza, rimettere la questione al primo presidente per valutare un intervento delle sezioni unite.