23 Gennaio 2018

Alle Sezioni Unite la questione relativa ai tempi della riproposizione in appello di domande ed eccezioni non accolte

di Enrico Picozzi Scarica in PDF

Il presente lavoro dà conto di una recente pronuncia di legittimità (Cass., sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29499), che ha devoluto alle Sezioni Unite la problematica concernente i limiti temporali della riproposizione ex art. 346 c.p.c. in riferimento agli appelli introdotti nel sistema processuale anteriore alla novella del 2005 (l. 80 del 2005)

  1. Il caso e la questione processuale sollevata da Cass., sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29499

La Cassazione (Cass., sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29499) torna ad occuparsi della riproposizione di domande ed eccezioni non accolte in appello, devolvendo alle Sezioni Unite la risoluzione di una questione che le stesse non hanno affrontato nelle recenti pronunce (cfr. Cass., S.U., 12 maggio 2017, n. 11799; Id., 19 aprile 2016, n. 7700) in cui hanno altresì compiutamente delineato l’effettivo ambito di applicazione dell’istituto, vale a dire quella dei limiti temporali della medesima riproposizione.

Questa, in sintesi, la vicenda da cui trae origine la problematica sollevata dalla pronuncia in commento. I genitori di Tizio agivano in proprio e per conto del figlio al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati da Caio, durante una settimana bianca. I genitori di Caio, a loro volta, chiedevano, in via principale, il rigetto della domanda avversaria ed in via subordinata spiegavano, da un lato, domanda di regresso nei confronti dell’istituto scolastico organizzatore della settimana bianca e, dall’altro lato, domanda di manleva nei confronti di due società assicuratrici. Il tribunale adito rigettava la pretesa risarcitoria, considerando assorbite le domande proposte in via subordinata.

La Corte d’Appello, investita del gravame da parte dei soccombenti, accoglieva l’impugnazione e dichiarava inammissibili le domande spiegate in via condizionata, poiché non costituenti oggetto di apposito appello incidentale.

La Terza Sezione, a seguito di ricorso proposto dagli originari convenuti, potrebbe cassare con rinvio la pronuncia d’appello, essendo all’evidenza insussistente la necessità di proporre impugnazione incidentale nei riguardi delle domande assorbite (soprattutto alla luce degli insegnamenti delle menzionate Sezioni Unite), nondimeno solleva officiosamente un’altra questione. Infatti, pur ritenendo sufficiente la riproposizione delle domande avanzate in via subordinata, in quanto ritualmente assorbite, ravvisa un’ulteriore ipotesi di inammissibilità, collegata al fatto che la riproposizione era avvenuta tardivamente, ossia non rispettando il termine previsto per la tempestiva costituzione dell’appellato (venti giorni prima dell’udienza di comparizione).

Occorre infine precisare che la questione dell’esistenza o meno di limiti temporali all’esercizio della facoltà di cui all’art. 346 c.p.c. viene rimessa alle Sezioni Unite con particolare riferimento alla disciplina dell’appello vigente fra il 30 aprile 1995 e il 1 marzo 2006, regolata, come è noto, dalla l. n. 534/1995.

  1. Orientamento favorevole all’ammissibilità della riproposizione fino all’udienza di precisazione delle conclusioni: argomentazioni

Proprio alla luce di quest’ultima notazione, la problematica sollevata dalla Terza Sezione, va necessariamente esaminata ripercorrendo la giurisprudenza di legittimità sviluppatasi in relazione agli appelli regolati, ratione temporis, dalla l. n. 534/1995.

Va peraltro osservato che, prima dell’entrata in vigore di quest’ultimo regime normativo, e più precisamente in relazione agli appelli proposti in un momento anteriore al 30 aprile 1995, la Suprema Corte (cfr. Cass., sez. II, 29 agosto 1991, n. 9231; Cass., sez. II, 24 agosto 1991, n. 9080) era solita affermare che la riproposizione potesse avvenire sino all’udienza di precisazione delle conclusioni: affermazione, che ben si conciliava con la morfologia di un processo – quello d’appello modellato sul giudizio di primo grado – sostanzialmente privo di preclusioni.

L’orientamento appena descritto (facoltà di reiterare domande ed eccezioni non accolte sino all’udienza di p.c.) manteneva ferma la propria vitalità (cfr. Cass., sez. III, 12 gennaio 2006, n. 413; Cass., sez. lav., 19 luglio 2005, n. 15123; Cass., sez., III, 23 settembre 2004, n. 19126; Cass., sez. III, 20 marzo 2001, n. 4009), pur a seguito delle profonde modifiche, soprattutto sul piano delle barriere preclusive, introdotte dapprima dalla l. n. 353/1990 e successivamente dalla l. n. 534/1995.

La conferma di tale posizione, in un assetto processuale, come detto, significativamente mutato, veniva a fondarsi sui seguenti argomenti (puntualmente espressi da Cass., sez. III, 10 agosto 2004, n. 15427).  In primo luogo, si richiamava una «giurisprudenza pressoché consolidata» sul punto; in secondo luogo, si soggiungeva che la norma che disciplina la costituzione in appello, ossia l’art. 347 c.p.c., nel prevedere che «la costituzione in appello avviene secondo le forme e termini per i procedimenti davanti al tribunale», rinviava solamente all’art. 166 c.p.c. (costituzione del convenuto in primo grado), ma non anche all’art. 167 c.p.c., integrato dall’art. 180 c.p.c., allora vigente, che rispettivamente imponevano, a pena di decadenza, la proposizione di domande rinconvenzionali e chiamate di terzo nei venti giorni anteriori all’udienza di prima comparizione ed il rilievo di eccezioni in senso stretto nei venti giorni anteriori all’udienza di trattazione. Sicché, nessuna preclusione poteva maturare per la parte non appellante (principale o incidentale), che, nel costituirsi in appello, non avesse tempestivamente riproposto, nei suddetti termini, domande ed eccezioni assorbite.

Ma che la disciplina delle barriere preclusive, ricavabile dal combinato disposto di cui ai menzionati artt. 167 e 180, co. 2, c.p.c. non potesse applicarsi in appello, si desumeva pure dalla circostanza che in quest’ultimo grado di giudizio non si rinveniva la distinzione, altresì presente in primo grado, fra udienza di comparizione e udienza di trattazione.

  1. Critiche e possibile soluzione del problema

Ora, le argomentazioni sinteticamente ricordate sono state confutate dall’ordinanza di rimessione della Terza Sezione. In questa direzione, infatti, si è anzitutto evidenziato che la consolidata giurisprudenza volta ad ammettere la riproposizione sino all’udienza di precisazioni delle conclusioni si era sviluppata con particolare ed esclusivo riferimento ad un modello processuale in cui non esistevano preclusioni, con la conseguenza che non poteva valere in relazione ad un sistema processuale, qual è quello risultante dalle riforme del ’90 e del ’95, rigorosamente imperniato su rigide barriere preclusive.

Inoltre, si è rilevato che l’art. 347 c.p.c., nel richiamare «le forme e i termini» previsti per la costituzione in primo grado ha voluto necessariamente includere anche le decadenze di cui all’art. 167 c.p.c., giacché, diversamente opinando, non si comprenderebbe a quali sanzioni processuali andrebbe incontro l’appellato che non rispettasse i suddetti “termini” di costituzione.

Dunque, muovendo da tali critiche premesse e dalla constatazione che, nella struttura dell’appello vigente, ratione temporis, tra il 30 aprile 1995 ed 1 marzo 2006, non risultava altresì replicata e replicabile la distinzione fra udienza di prima comparizione ed udienza di trattazione, presente invece in primo grado, la pronuncia in commento tenta di offrire una soluzione alla problematica concernente i limiti temporali della riproposizione. Soluzione, occorre ribadirlo, valevole solamente per i giudizi di appello introdotti nell’arco temporale intercorrente fra il 30 aprile 1995 ed il 1 marzo 2006.

Più precisamente, stando alle conclusioni raggiunte dall’ordinanza n. 29499, si dovrebbe distinguere a seconda che l’oggetto della riproposizione siano, da un lato, le domande (incluse le chiamate di terzi) oppure, dall’altro lato, le eccezioni di rito e/o di merito in senso stretto. Nel primo caso, infatti, le domande sarebbero riproponibili, pena la loro rinuncia, solamente con la comparsa di riposta tempestivamente depositata nei venti giorni anteriori all’udienza di prima comparizione; nel secondo caso, invece, non potendosi estendere all’appello la previsione del previgente art. 180, co. 2, c.p.c., alla luce del quale le eccezioni rilevabili ad istanza di parte dovevano essere sollevate nei venti giorni anteriori all’udienza di trattazione – poiché, come più volte osservato, la distinzione fra udienza di comparizione ed udienza di trattazione, non si rinveniva in fase di gravame –, le eccezioni in discorso sarebbero riproponibili sino all’udienza di precisazione delle conclusioni.

  1. Considerazioni sulla soluzione proposta dall’ordinanza n. 29499

L’opzione interpretativa suggerita dalla Terza Sezione, quale possibile soluzione della questione devoluta alle Sezioni Unite, sembra in linea di principio condivisibile.

Nella stessa, infatti, riecheggia la posizione già espressa dalla giurisprudenza di legittimità in materia di rito del lavoro (cfr. Cass., sez. lav., 23 giugno 2009, n. 14673; Cass., sez. lav., 7 settembre 2007, n. 18901; Cass., 16 luglio 1996, n. 6426), stando alla quale le domande ed eccezioni non accolte devono essere tempestivamente riproposte con la memoria di risposta, di cui all’art. 436, c.p.c., pena la loro inevitabile rinuncia.

La soluzione, inoltre, è senz’altro più coerente con l’irrigidimento delle barriere preclusive avallato dalle riforme processuali degli anni ’90 e con l’esigenza, già in passato autorevolmente espressa in dottrina (cfr. Attardi, Note sull’effetto devolutivo dell’appello, in Giur. it., 1961, IV, 150), di evitare una disparità di trattamento fra l’appellante, cui è inibito introdurre nuove censure rispetto a quelle già formulate con l’atto di appello, e l’appellato, cui invece (seguendo l’orientamento espresso al paragrafo 2) sarebbe consentito riproporre domande ed eccezione ritualmente assorbite sino all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Desta, tuttavia, qualche perplessità il differente regime temporale, concepito dalla Terza Sezione, per l’esercizio della facoltà di riproposizione a seconda che l’oggetto di quest’ultima siano domande oppure eccezioni.

È ben vero che, nel modello processuale vigente, ratione temporis, fra il 30 aprile 1995 ed il 1 marzo 2006, non era possibile individuare un’unitaria barriera preclusiva per le domande ed eccezioni, atteso che per le prime valeva la regola dell’art. 167 c.p.c., mentre per le seconde quella ricavabile dall’art. 180, co. 2, c.p.c. Tuttavia, all’illimitata riproponibilità (sino all’udienza di precisazione delle conclusioni) delle eccezioni in senso stretto, si sarebbe potuto preferire una riproposizione che non avrebbe potuto superare il referente temporale della prima udienza di comparizione ex art. 350 c.p.c.: il che, oltre ad essere più coerente con il principio della ragionevole durata del processo, avrebbe sin da subito favorito la delimitazione dell’oggetto della cognizione del giudice d’appello.

Meno dubbi dovrebbe invece sollevare il tema in esame, se riferito agli appelli introdotti dopo la riforma del 2005 (l. 80/2005), vale a dire nella vigenza dell’attuale sistema normativo: e dunque si auspica che le Sezioni Unite possano pronunciarsi pure su quest’ultimo aspetto, al fine di completare idealmente un percorso ermeneutico già avviato con i fondamentali insegnamenti di Cass. n. 7700/2016, cit., e Cass., 11799/2017, cit.

Almeno tre indici normativi, infatti, sembrano far propendere per un inevitabile collegamento, sul piano temporale, della facoltà di cui all’art. 346, c.p.c. alla tempestiva costituzione in appello.

In primo luogo, l’individuazione, dopo la summenzionata riforma del 2005, di un’unitaria barriera preclusiva tanto per le domande quanto per le eccezioni, vale a dire venti giorni anteriori all’udienza di comparizione e trattazione, stando alla previsione dell’art. 167 c.p.c., indirettamente richiamato dall’art. 347 c.p.c.

In secondo luogo, le sopravvenute disposizioni di cui agli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., in materia di filtro in appello, che presuppongono una immediata definizione dell’oggetto della cognizione del giudice d’appello, affinché questi possa pronunciare l’ordinanza di inammissibilità del gravame; così come un’analoga esigenza di immediata fissazione dell’oggetto del giudizio di impugnazione si ricava dal combinato disposto di cui agli artt. 352, ult. co., e 281 sexies c.p.c., che consentono la definizione del processo d’appello in un’unica udienza. Esigenza che sarebbe inevitabilmente frustrata, ove si condividesse la tesi che correla la riproposizione all’udienza di precisazione delle conclusioni.