24 Settembre 2019

I poteri dell’amministratore di accedere alle unità private, in caso di lavori necessari ed urgenti ed il dovere di collaborazione dei condomini

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, II^ Sez. civile, Sentenza  n. 212429 agosto 2019 – Pres. Antonio Oricchio – Cons. Rel. Giuseppe Dongiacomo

Art. 843 c.c. – Art. 1130 c.c. – Art. 1131 c.c. – Art. 360 c.p.c.

L. n. 134 del 2012; L. n. 220 del 2012

Il condominio ha il diritto di provvedere alla riparazione e alla manutenzione dei beni comuni dell’edificio ed ha l’obbligo di farlo onde evitare danni alle proprietà esclusive dei condomini e dei terzi e che, ove manchi la collaborazione dei condomini all’esercizio di tale diritto, l’amministratore può agire in giudizio, in rappresentanza del condominio, per fare valere tale diritto, sia in sede cautelare ( ex art. 1130 n. 4 c.c.) che di merito ( ex art. 1131 c.c.). La facoltà che il regolamento di condominio attribuisca all’amministratore di accedere negli appartamenti o nei locali chiusi quando, per guasti verificatisi nell’interno dei medesimi, vi sia l’assoluta urgenza e l’inderogabile necessità di evitare senza indugio danni all’edificio e agli altri condomini, non esclude, pertanto, che l’amministratore, ove lo ritenga, abbia senz’altro il potere, anziché di accedere direttamente forzando le porte di chiusura, di chiedere ed ottenere dal giudice, anche in via d’urgenza la tutela giudiziaria.

FATTO

Il caso in esame ha ad oggetto una vicenda condominiale in cui  l’intasamento di un sifone posizionato all’interno di una cantina di proprietà di alcuni condomini, provocava la fuoriuscita di liquami in alcuni appartamenti soprastanti. L’amministratore, dopo aver avvisato i condomini proprietari della cantina in cui si  trovava l’ostruzione e nell’inerzia di questi ultimi, i quali non consentivano l’ingresso alla cantina di loro proprietà, otteneva in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c., il provvedimento del Tribunale per poter accedere ad essi locali ed eseguire i lavori necessari, ed in seguito instaurava un giudizio di merito nei confronti dei  ridetti proprietari, rei di non avere consentito l’accesso ai locali per l’urgente intervento di riparazione del guasto,  per accertare l’esistenza del diritto cautelato; questi ultimi, a loro volta, resistevano e proponevano domanda riconvenzionale per i danni asseritamente subiti all’interno della cantina alle suppellettili ivi conservate.

In primo grado, il tribunale  accoglieva la domanda del condominio e rigettava la  riconvenzionale proposta dai convenuti per il risarcimento; anche il giudice di secondo grado, confermava la legittimità della condotta dell’amministratore di fronte alla conclamata inerzia ed attiva collaborazione dei condomini, proprietari della cantina.

I soccombenti proponevano ricorso dinanzi la Suprema Corte di Cassazione.

SOLUZIONE

La Corte rigettava il ricorso proposto dai condomini condannandoli a rimborsare le spese di lite.

QUESITI

La vicenda rileva diversi aspetti interessanti, inerenti il ruolo dell’amministratore, le attribuzioni ed i limiti dei suoi poteri conservativi, così come ampiamente delineati dalle nuove disposizioni, articoli 1129, 1130 e 1131 c.c. (L.220/12).

Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’errata applicazione dell’art. 843 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

L’articolo in questione riguarda una compressione del diritto di proprietà: l’accesso al fondo in deroga al principio di preclusione all’accesso da parte di terzi in determinate situazioni. Il proprietario deve consentire l’accesso e il passaggio attraverso il fondo al fine di costituire o riparare un muro o altra opera propria. Qualora il proprietario si dovesse opporre a tale accesso, e quindi a tale necessità, la questione deve essere risolta in sede giudiziaria mediante sentenza dichiarativa del giudice, in ossequio sempre ai principi di inviolabilità ed esclusività del diritto di proprietà. L’accesso compiuto nonostante l’opposizione del proprietario è, infatti, inammissibile, configurandosi come tipico “attentato” al possesso, tutelabile mediante azione possessoria di reintegrazione; proprio perché tale articolo difende le compressioni del diritto del titolare.

Il caso in esame riguarda l’estrinsecazione dei poteri dell’amministratore in situazioni marginali o comunque di grave necessità, nel caso di specie, la fuoriuscita di liquami e l’inerzia dei proprietari dell’appartamento di consentire accesso ed ispezione alle proprie unità, al fine di riparare il guasto.

Il principio esplicato dagli ermellini risulta essere ispirato alla massima generale del c.d. “prudente apprezzamento”: il condominio in persona dell’amministratore ha il diritto e l’obbligo di deliberare e di eseguire opere di riparazione e manutenzione a protezione e garanzia delle proprietà comuni al fine di evitare danni alle proprietà esclusive dei condomini e dei terzi.

Nella fattispecie in esame, peraltro, il diritto già riconosciuto dalla legge all’amministratore di avvalersi di poteri di conservazione sulle cose comuni a tutela della collettività condominiale, veniva avvalorato all’interno dell’art.12 del Regolamento di condominio: “l’amministratore ha la facoltà di avvalersi dei mezzi in uso per accedere all’appartamento o nei locali chiusi quando, per guasti verificatisi all’interno dei medesimi, vi sia l’assoluta urgenza e inderogabile necessità di evitare senza indugio danni all’edificio ed agli altri condomini.”

Nel caso in cui vi sia poca o assente collaborazione da parte dei condomini, l’amministratore può agire in giudizio, in rappresentanza del condominio, non necessitando di un’autorizzazione assembleare per far valere tale diritto, sia sede cautelare che di merito, citando uniforme giurisprudenza, Cass. Civile  n. 3522 del 2003, la quale precisa che in determinate condizioni, l’amministratore può agire in giudizio per fare valere tale diritto bypassando la sede assembleare, compiendo quindi atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio.

Quanto sopra citato viene annoverato all’interno dell’art. 1130, n.4. c.c., nonché l’obbligo dell’amministratore di compiere azioni rilevanti per i beni comuni condominiali. A questo punto è possibile considerare che l’accesso al fondo, del 843 c.c., sia un’estensione degli obblighi e dei doveri dell’amministratore di salvaguardare le parti comuni dell’edificio alla luce anche della L. n. 220 del 2012, la quale ha fortemente innovato, il ruolo ed i poteri dell’amministratore rispetto al passato.

Sempre nel caso in esame, la giustificazione del ricorso alla tutela d’urgenza si era resa necessaria a causa del comportamento non collaborativo da parte dei proprietari della cantina, ove insisteva il sifone e quindi l’intervento necessario ed urgente da eseguirsi, con il che entrambi i giudizi di merito, avevano ritenuto i condomini “non collaboranti”, corresponsabili nella causazione dei danni riscontrati anche nella di loro cantina ed in ordine ai quali avevano avanzato domanda riconvenzionale per il risarcimento nei confronti del condominio.

Anche in sede di legittimità, la Suprema Corte ha rigettato il motivo di gravame sottoposto dai ricorrenti ed inerenti l’inutile gravosità della proposizione del ricorso d’urgenza a fronte dell’esplicito potere di accesso alle unità private in caso di necessità ed urgenza, riconosciuto all’amministratore di condominio dalla norma del regolamento di condominio, poiché: “la facoltà che il regolamento di condominio attribuisca all’amministratore di accedere negli appartamenti o locali chiusi quando per guasti verificatisi nell’interno dei medesimi, vi sia assoluta urgenza ed inderogabile necessità di evitare senza indugio danni all’edificio e agli altri condomini, non esclude, pertanto, che l’amministratore ove lo ritenga, abbia senz’altro il potere, anzicchè accedere direttamente forzando le porte di chiusura, di chiedere ed ottenere dal giudice, anche in via d’urgenza, la necessaria tutela giudiziaria”; con conseguente onere di rimborso delle spese legali, a carico della parte che ha determinato con la propria condotta il ricorso all’Autorità giudiziaria ed in ragione della soccombenza alle liti pronunciata dal giudice, così come, peraltro accertato, ne caso di specie, dal giudizio di merito successivamente instaurato sulla legittimità del provvedimento cautelare ottenuto.

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