3 Marzo 2020

Vendita di beni di consumo e difetto di conformità: il consumatore può esperire l’azione risarcitoria in via autonoma qualora i rimedi primari di cui all’art. 130 Cod. Cons. siano impossibili o eccessivamente onerosi

di Emanuela Ruffo, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. Seconda Sent., 20/01/2020, n. 1082, Pres. Manna, Est. Tedesco

Vendita beni di consumo – Consumatore – riparazione o sostituzione impossibile o eccessivamente onerosa – Domanda di risarcimento danno

[1]In tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove la riparazione o la sostituzione risultino, rispettivamente, impossibile ovvero eccessivamente onerosa, va riconosciuto al consumatore, benché non espressamente contemplato dall’art. 130, comma 2, cod. consumo, ed al fine di garantire al medesimo uno standard di tutela più elevato rispetto a quello realizzato dalla Direttiva n. 44 del 1999, il diritto di agire per il solo risarcimento del danno, quale diritto attribuitogli da altre norme dell’ordinamento, secondo quanto disposto dall’art. 135, comma 2, del cod. consumo.

Disposizioni applicate

Art. 1494 c.c., art. 130 cod. consumo, art. 135 cod. consumo

CASO

L’attore citava in giudizio la ditta dalla quale aveva acquistato una partita di larice, posizionata nell’orditura del tetto del fabbricato di sua proprietà, poi rivelatasi difettosa a causa di un anomale restringimento derivante dalla perdita di umidità delle perline dopo la posa.

L’attore agiva al fine di chiedere la condanna del convenuto all’eliminazione dei vizi e, in via subordinata, il risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza dei vizi del materiale fornito, consistenti nelle spese necessarie per il ripristino del tetto.

La ditta convenuta si costituiva chiamando in causa la società produttrice del materiale che la convenuta aveva rivenduto all’attore senza operare su di esso alcuna manipolazione.

Il Tribunale rigettava la domanda principale intesa a ottenere l’eliminazione dei vizi, ritenendo eccessivamente oneroso per il venditore l’intervento di ripristino, e accoglieva la domanda di risarcimento del danno. Il giudice di prime cure accoglieva altresì la domanda di garanzia proposta dal convenuto verso il terzo chiamato.

Il convenuto e la ditta produttrice chiamata in causa proponevano quindi appello, che veniva accolto. Il Giudice di secondo grado, partendo dalla considerazione che il rigetto della domanda di eliminazione dei vizi non aveva formato oggetto di impugnazione e, pertanto, sullo stesso si era formato giudicato interno sull’accertata eccessiva onerosità dell’intervento di ripristino, dichiarava che il danno conseguente al vizio del materiale aveva una rilevanza meramente estetica. Esso non poteva quindi consistere nella spesa occorrente per la riparazione del tetto, ma solo nel costo occorrente per eliminare le fessure o l’incidenza delle fessure sul valore dell’immobile. Tuttavia, considerato che in primo grado l’attore aveva chiesto solo la condanna al pagamento delle spese necessarie per il ripristino del tetto, accoglieva l’appello e condannava l’attore al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

La sentenza della Corte d’appello veniva quindi impugnata avanti la Corte di Cassazione per violazione e falsa applicazione dell’art. 1494 c.c. e degli artt. 130 e 135 del Codice del Consumo.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, diversamente da quanto stabilito dalla Corte d’Appello, conferma la possibilità per il consumatore di agire al fine di richiedere in via autonoma il risarcimento del danno subito, qualora i rimedi c.d. primari riconosciuti dal Codice del consumo (i.e. riparazione e sostituzione) siano impossibili o eccessivamente onerosi.

QUESTIONI

La disciplina della vendita di beni di consumo prevede all’art. 130 del Codice del consumo (cod. cons.) che in caso di difetto di conformità il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto. I rimedi della riparazione e della sostituzione possono essere chiesti a scelta dal consumatore, purché il rimedio richiesto non sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all’altro.

Le disposizioni speciali contenute nel Codice del consumo non contemplano espressamente il diritto al risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento a favore del consumatore.

È doveroso tuttavia evidenziare che il legislatore comunitario sembra aver appositamente omesso di intervenire sul punto con una norma ad hoc, con lo scopo di rinviare alle legislazioni nazionali in materia. Infatti, il Sesto Considerando della Direttiva comunitaria n. 44 del 1999 specifica quanto segue: “(considerando che) le principali difficoltà incontrate dai consumatori e la principale fonte di conflitti con i venditori riguardano la non conformità dei beni a quanto stabilito nel contratto; che è quindi opportuno ravvicinare le legislazioni nazionali relative alla vendita dei beni di consumo per quanto riguarda tale aspetto, senza però intervenire sulle disposizioni ed i principi delle legislazioni nazionali relativi alla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale”.

Al fine di creare un raccordo tra la disciplina speciale e la disciplina generale, in ottemperanza a quanto delineato dal Sesto Considerando sopra citato, il legislatore speciale ha previsto l’art. 135 cod. cons., il quale sancisce che le disposizioni del Codice del consumo non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico e che “per quanto non previsto dal presente titolo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita”.

È stato pacificamente riconosciuto che tale disposizione rappresenti un rafforzamento della tutela del consumatore, laddove a quest’ultimo vengono riconosciuti non solo i rimedi “speciali”, ma anche quelli generalmente previsti dall’ordinamento giuridico per il compratore.

In questo contesto, si riconosce la facoltà per il consumatore di agire in via risarcitoria qualora i rimedi della riparazione o della sostituzione siano impossibili o eccessivamente onerosi, senza necessariamente esperire le c.d. azioni edilizie (i.e. riduzione del prezzo e risoluzione del contratto).

In dottrina si è notato come l’esperibilità autonoma del risarcimento debba essere riconosciuta ogni qualvolta i rimedi primari siano impossibili, oppure non siano stati correttamente o tempestivamente eseguiti, e quindi in alternativa (e non in aggiunta) alle cd. azioni edilizie. Si parla in questo caso di risarcimento cd. sostitutivo. Secondo alcuni autori, parrebbe inoltre ammissibile il risarcimento del danno come rimedio accessorio rispetto agli altri previsti ex art. 130 cod. cons.. In questo caso il risarcimento del danno assumerebbe i caratteri di un diritto accessorio ad un rimedio principale e di conseguenza sarebbe sottoposto alla medesima disciplina di termini, vale a dire ex art. 132 cod. cons.. Si parla in questo caso di risarcimento cd. integrativo.

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione interviene sul punto, riconoscendo la facoltà del consumatore di chiedere il risarcimento del danno in via autonoma, qualora il rimedio della riparazione o della sostituzione risulti eccessivamente oneroso.

Secondo la Suprema Corte tale facoltà deve essere riconosciuta ammissibile non solo dalla lettura del citato art. 135 cod. cons., che rinvia alle disposizioni dell’ordinamento giuridico che consentano di attuare una maggiore tutela del contraente debole. Infatti, a tale conclusione si deve pervenire anche in considerazione del fatto che se al mero compratore è riconosciuta la facoltà di esercitare l’azione di risarcimento del danno in via autonoma, cioè senza chiedere né la risoluzione, né la riduzione del prezzo, a maggior ragione tale facoltà dovrà essere riconosciuta anche al consumatore, ciò allo scopo di assicurare all’acquirente di beni di consumo uno standard più elevato rispetto a quello ordinario. Diversamente, quest’ultimo finirebbe paradossalmente per avere una tutela minore rispetto al compratore.

I giudici di legittimità chiariscono inoltre che il risarcimento del danno ha lo scopo di porre il compratore in una posizione economicamente equivalente non a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse concluso il contratto, ma a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi (cfr. Cass. 4161/2015 e Cass. 1153/1995, secondo la quale “la circostanza che un determinato prodotto si riveli inidoneo ad essere adoperato secondo le modalità indicate dal venditore e possa esserlo solo con modalità più dispendiose ben può esser valutata dal giudice di merito ai fini del risarcimento del danno, oltreché sotto l’aspetto della riduzione del prezzo poiché quest’ultima ristabilisce l’equilibrio patrimoniale solo con riguardo al valore della cosa venduta ma non elimina il danno determinato dal venditore, consistente nel costo delle maggiori quantità di prodotto utilizzato e di manodopera impiegata”).

Secondo la ricostruzione della Cassazione, la Corte d’appello avrebbe correttamente riconosciuto l’esistenza del vizio e l’eccessiva onerosità della riparazione o sostituzione, ma si sarebbe limitata a circoscrivere l’azione risarcitoria nel danno non coperto dalla sostituzione eccessivamente onerosa (ovvero ai soli costi per eliminare le fessure o all’incidenza negativa sul valore della cosa), senza applicare i comuni principi del diritto interno in tema di azione risarcitoria proposta autonomamente, che impongono invece di risarcire tutto il danno emergente.

Merita infine osservare che, nel caso di specie, il giudice di secondo grado ha escluso, nonostante il riconoscimento del vizio, il risarcimento del danno a favore del consumatore, in quanto la specifica voce di danno (riconducibile per la Corte d’appello al minor valore estetico dell’immobile) non era stata formulata nella domanda giudiziale dell’attore. Anche sul punto la sentenza in esame è rilevante. La Corte infatti ha ribadito che in tema di responsabilità civile, la domanda con la quale un soggetto chieda il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, senza ulteriori specificazioni, si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta (cfr. Cass, civ. 20643/2016; Cass. civ. 7193/2015), senza che sia necessario per l’attore specificare le singole voci di danno.