26 Luglio 2016

È di trenta giorni il termine per impugnare il decreto di liquidazione del compenso all’ausiliario del giudice

di Mara Adorno Scarica in PDF

Corte Cost. 12 maggio 2016 n. 106

Ausiliari del giudice – Compenso – Decreto di liquidazione – Opposizione – Sommario di cognizione (procedimento) – Termine per impugnare – Fattispecie (Cost. art. 3, 24, 76, 111, 7° comma; cod. proc. civ., art. 702 bis e ss.; d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, art. 170; d. leg. 1° settembre 2011, n. 150, disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei riti, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 34, comma 17, e 15, comma 2).

[1] L’opposizione al decreto di liquidazione del compenso all’ausiliario è regolata nelle forme del rito sommario, ai sensi dell’art. 15, d. leg. 150/2011, e, in quanto tale, è assoggettata al termine decadenziale di trenta giorni previsto per l’appello avverso l’ordinanza di cui all’art. 702 ter c.p.c.

Il caso

[1] Proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento che dichiara inammissibile l’opposizione al decreto di liquidazione del compenso al custode nominato nel corso di una procedura di espropriazione immobiliare per inosservanza del termine perentorio (di «venti giorni dall’avvenuta comunicazione») di cui all’art. 170 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, la Suprema corte (Cass. 1° aprile 2015, n. 6652, in https://www.eclegal.it/questione-di-legittimita-costituzionale-della-normativa-sul-compenso-degli-ausiliari-del-giudice/, con nota di E. Bertillo, Questione di legittimità costituzionale della normativa sul compenso degli ausiliari del giudice) rimette la questione al vaglio della Consulta censurando la legittimità costituzionale dell’art. 34, 17° comma, e dell’art. 15, 2° comma, d. leg. 150/2011 nella parte in cui risulta abrogato, per effetto di dette disposizioni, l’inciso «entro venti giorni dall’avvenuta comunicazione» contenuto nell’art. 170 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115.
A fondamento dell’ordinanza di rimessione, la Corte denuncia la normativa censurata per eccesso di delega, in relazione all’art. 76 Cost., nonché per violazione degli artt. 3, 24 e 111, 7° comma, Cost.
In un altro procedimento di opposizione a decreto di liquidazione del compenso spettante all’ausiliario del giudice, il Tribunale di Bergamo con ordinanza del 4 maggio 2015 (riportata in Foro it., Le banche dati, archivio Merito ed extra) sottopone al sindacato di costituzionalità analoga questione di legittimità dell’art. 34, 17° comma, d. leg. 150/2011, per contrasto con l’art. 76 Cost.

La soluzione

[1] Il sospetto di incostituzionalità della normativa denunciata, prospettato negli stessi termini da ambedue i rimettenti, deriva dalla soppressione, da parte del legislatore delegato con l’art. 34, 17° comma, d. leg. 150/2011, del termine originariamente previsto per la proposizione dell’opposizione al decreto di liquidazione del compenso all’ausiliario, a cui non è seguita alcuna indicazione nell’art. 15 d. leg. 150/2011 di detto termine di decadenza. Con la conseguenza che la possibilità di poter ora proporre sine die l’opposizione in esame vìola l’art. 76 Cost. per aver ecceduto gli obiettivi fissati dal legislatore delegante, limitati alla riconduzione del presente giudizio nelle forme del rito sommario.
La Corte costituzionale, dopo aver trattato congiuntamente le ordinanze di rimessione, vista l’identità della censura prospettata, dichiara non fondata la questione, in quanto la premessa da cui muovono entrambi i rimettenti mette in luce «una non completa ricognizione del quadro normativo di riferimento». Ai sensi dell’art. 15, 1° comma, d. leg. 150/2011, il legislatore delegato ha, infatti, previsto che i giudizi di opposizione in materia di spese di giustizia siano regolati dal rito sommario. Ciò implica che il decreto di pagamento del compenso dovuto all’ausiliario – opponibile innanzi al capo dell’ufficio cui appartiene il magistrato che lo ha emesso – debba ritenersi assimilato all’ordinanza del giudice monocratico, appellabile ex art. 702 quater c.p.c.
In conclusione, spiega la Corte, l’«attrazione» dell’opposizione al decreto di liquidazione delle spese di giustizia al modello del giudizio sommario, fa sì che il termine per la relativa proposizione non sia più quello di venti giorni previsto in precedenza dall’art. 170 d.p.r. 115/2002, ma quello «di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento, di cui al citato art. 702 quater c.p.c.». Invero, detto termine va riferito tanto all’opposizione al decreto di pagamento delle spese di giustizia, quanto all’appello avverso l’ordinanza emessa ex art. 702 ter c.p.c., «per esigenze di omogeneità del rito, al quale i due (sia pur diversi) comparati procedimenti sono ricondotti».

Le questioni

[1] L’intervento della Corte costituzionale contribuisce alla risoluzione del contrasto che, fin dall’entrata in vigore della nuova normativa introdotta dal d. leg. 150/2011, ha fatto oscillare la dottrina, in merito alla (in)esistenza del termine per instaurare il giudizio di opposizione al decreto di pagamento delle spese di giustizia. Nella riscrittura dell’art. 170 d.p.r. 115/2002 il legislatore delegato non ha, infatti, riprodotto la previsione del termine di venti giorni, decorrente dalla comunicazione del provvedimento, per proporre l’opposizione. Pertanto, da un lato, vi è chi ritiene che spetti al legislatore colmare la lacuna attraverso l’individuazione di un nuovo termine di decadenza, per cui fino a quel momento l’opposizione può essere proposta senza alcun limite temporale (in tal senso, v. A. Carratta, La «semplificazione» dei riti e le nuove modifiche del processo civile, Torino, 2012, 66; F. Cossignani, Verso la semplificazione dei procedimenti civili? Considerazioni sparse sulle disposizioni in materia di riduzione e semplificazione dei riti d.lgs. n. 150/2011), in www.treccani.it, 2012, secondo cui, infatti, i termini decadenziali devono essere fissati espressamente dalla legge e non possono desumersi in via interpretativa); dall’altro, chi propone di colmare la lacuna continuando ad assoggettare l’opposizione al termine originario di venti giorni, stante l’attuale previsione di detto termine nell’art. 99 d.p.r. n. 115/2002, che contiene la disciplina di un procedimento – per contestare il decreto di rigetto dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio – perfettamente coincidente con quello previsto dall’art. 170 (M. Abbamonte, in Commentario alle riforme del processo civile dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, a cura di R. De Martino e A. Panzarola, Torino, 2013, sub art. 15, 220 s.; P.P. Lanni, in Codice di procedura civile commentato. La “semplificazione” dei riti e le altre riforme processuali 2010-2011, diretto da C. Consolo, Milano, 2012, sub art. 15, 207); vi è, inoltre, chi già individua profili di illegittimità costituzionale della normativa per violazione della delega, che doveva limitarsi a ricondurre i procedimenti civili ad uno dei modelli processuali prescelti, senza alterarne la struttura e la funzione proprie di ciascuno di essi (cfr. M. Farina, in La semplificazione dei riti civili, a cura di B. Sassani e R. Tiscini, Roma, 2011, sub art. 15, 145).
Prima della odierna pronuncia, il Ministero della Giustizia ha proposto un’analoga soluzione in una nota emanata il 7 novembre 2012, ove chiarisce che «è da ritenersi che il termine per la proposizione di un’eventuale opposizione al decreto di pagamento ex art. 170 d.p.r. 115/02, vada individuato in quello espressamente previsto per il procedimento sommario di cognizione e, quindi, in quello di trenta giorni dall’avvenuta comunicazione (v. art. 702 quater c.p.c.)».