9 Maggio 2016

Responsabilità civile dei magistrati e ius superveniens: l’abrogazione del c.d. filtro di ammissibilità non ha efficacia retroattiva

di Elisa Bertillo Scarica in PDF

Cass. 15 dicembre 2015, n. 25216 – Pres. Salmé – Est. Barreca
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Responsabilità civile dei magistrati – Filtro di ammissibilità – Abrogazione – Efficacia retroattiva – Esclusione (l. 23 aprile 1988, n. 117, risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, art. 5; l. 27 febbraio 2015, n. 18, disciplina della responsabilità civile dei magistrati, art. 3) 

[1] In materia di responsabilità civile dei magistrati, la sopravvenuta abrogazione dell’art. 5 della l. 23 aprile 1988, n. 117 – ad opera dell’art. 3, comma 2, l. 27 febbraio 2015, n. 18 – non esplica efficacia retroattiva, sicché l’ammissibilità della domanda di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, proposta sotto il vigore della norma abrogata, deve essere delibata alla stregua della disciplina previgente. 

CASO
[1] Con ricorso depositato il 7 ottobre 2013, viene proposta, ai sensi della legge 13 aprile 1988, n. 117, una domanda di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie nei confronti dello Stato Italiano.

Con decreto del 31 ottobre 2014, il Tribunale dichiara inammissibile la domanda, ai sensi dell’art. 5 della legge predetta, nel testo applicabile ratione temporis.

Con decreto del 20 gennaio 2015, la statuizione viene confermata dalla Corte d’appello di Trento.

Il ricorrente propone ricorso in Cassazione, notificato in data 19 febbraio 2015 e depositato in data 26 febbraio 2015.

Il 19 marzo 2015 entra in vigore la l. 27 febbraio 2015 di riforma della responsabilità civile dei magistrati, che, per ciò che qui rileva, abroga l’art. 5 della legge del 1988. La norma prevedeva il c.d. filtro di ammissibilità e disciplinava lo svolgimento di una prima fase in camera di consiglio al fine di vagliare l’ammissibilità della domanda di risarcimento, che poteva essere esclusa qualora non fossero rispettati i termini e i presupposti di legge, nonché in caso di palese infondatezza (per un approfondimento sulla riforma, sia consentito rinviare a E. Bertillo, La riforma della responsabilità civile dei magistrati, in www.eclegal.it/it/responsabilita-civile-magistrati).

Si pone, quindi, la questione dell’applicabilità dello ius superveniens ai giudizi in corso al momento dell’entrata in vigore della legge di riforma.

 

SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione rigetta il ricorso, affermando che la norma sopravvenuta non è applicabile ai giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore.

 

QUESTIONI
[1] Secondo la tesi sostenuta dal ricorrente, l’applicabilità dell’art. 3, comma 2, della l. n. 18/ 2015, di abrogazione dell’art. 5 l. 117/1988, ai giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore, dovrebbe desumersi dalla natura processuale sia della norma abrogata sia della norma abrogativa. Il riconoscimento di tale natura imporrebbe di applicare il principio tempus regit actum, con conseguente immediata applicabilità della nuova disciplina, che esclude lo svolgimento del giudizio di ammissibilità dell’azione risarcitoria, dal momento che la legge di riforma non contiene disposizioni di carattere transitorio.

La Cassazione riconosce il carattere processuale delle norme in questione, ma ritiene che l’applicazione del principio tempus regit actum comporti conseguenze diametralmente opposte a quelle sostenute nella memoria del ricorrente.

Il principio tempus regit actum trova, secondo la dottrina tradizionale (in merito e per l’opposto principio del tempus regit processum v., da ultimo, R. Caponi, «Tempus regit processum» ovvero autonomia e certezza del diritto processuale civile, in Giur. it., 2007, 689 ss.), recepita dalla giurisprudenza (v. Cass. 24 settembre 2012, n. 16227, Foro it., Rep. 2012, voce Straniero, n. 135; 15 febbraio 2011, n. 3688, Giust. civ., 2012, I, 2813; 20 settembre 2006, n. 20414, Foro it., Rep. 2006, voce Esecuzion in genere, n. 83; 12 maggio 2000, n. 6099, Giust. civ., 2001, I, 1927, con nota di M. Gatti), fondamento nell’art. 11 delle preleggi, secondo cui «la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo». In forza di tale principio, gli atti del processo traggono validità ed efficacia dalla legge in vigore al tempo in cui sono compiuti. Ne consegue che, in caso di successione di norme processuali nel tempo, da una parte, le nuove disposizioni sono immediatamente applicabili ai processi pendenti con riguardo a tutti gli atti da compiere, dall’altra, gli atti compiuti nel vigore della disciplina abrogata rimangono validi ed efficaci.

Con peculiare riferimento al caso di specie, l’atto processuale oggetto dell’art. 5 della legge 117 del 1988 è la domanda introduttiva della lite, che la norma assoggettava ad un giudizio di ammissibilità, ora abrogato. Se la norma sopravvenuta si applicasse immediatamente si avrebbe che la domanda presentata nel vigore della disciplina preesistente, verrebbe ammessa secondo la disciplina sopravvenuta. Pertanto, si applicherebbe quest’ultima, con effetto retroattivo, ad un atto processuale compiuto prima della sua entrata in vigore, in palese contrasto con il principio tempus regit actum.