12 Aprile 2022

Requisiti di legittimità del recesso della banca dal rapporto di apertura di credito

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

La giurisprudenza di legittimità ha fornito utili indicazioni per verificare la legittimità del recesso della banca dal rapporto di affidamento in conto corrente, sintetizzabili come segue:

in caso di recesso di una banca dal rapporto di credito a tempo determinato in presenza di una ‘giusta causa’ tipizzata dalle parti del rapporto contrattuale, il giudice non deve limitarsi al riscontro obiettivo della sussistenza o meno dell’ipotesi tipica di giusta causa ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie (ad. es., in assenza di inadempimenti, indici di insolvenza o sconfinamenti), tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali un’apertura di credito viene normalmente convenuta (Cass. n. 4538/1997: alla stregua del principio secondo cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede ex art. 1375 c.c., non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benché pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari; Cass. n. 9321/2000; Cass. n. 17291/2016);

il debitore il quale agisca per far dichiarare arbitrario l’atto di recesso di una banca dal rapporto di affidamento di credito e, in particolare, per far affermare che il recesso non sia stato rispettoso della regola della “giusta causa” (in quanto prevista dal contratto stipulato dalle parti) ha l’onere di allegare che le giustificazioni date dalla banca non risultano ragionevoli, dimostrando, ad es., la sufficienza della propria garanzia patrimoniale, così come residuata dopo gli atti dispositivi compiuti (Cass. n. 4538/1997; Cass. n. 17291/2016);

la banca per esercitare il suo diritto di recesso non deve accertare (e dimostrare) che sussista un vero e proprio stato di insolvenza dei debitori in quanto, in tal modo si richiederebbe ad essa, irragionevolmente, di recuperare il proprio credito quando questo sia divenuto addirittura irrecuperabile; nel dubbio sulla valutazione del patrimonio residuo, ed in mancanza di ulteriori allegazioni di allarme circa la solvibilità dei debitori, il giudice deve quantomeno disporre una CTU estimativa, allo scopo di verificare, sia pure indirettamente, l’affermazione dell’esistenza di indici apprezzabili relativi al comportamento arbitrario della banca.

La Cassazione ha precisato, dunque, che la banca deve esercitare il diritto di recesso in conformità ai principi di correttezza e di buona fede (espressione del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.). Qualora, invece, il recesso sia esercitato in violazione dei citati principi di correttezza e buona fede, si configura un’ipotesi di “abuso del diritto”, inteso quale limite funzionale all’esercizio dello stesso, da cui scaturisce l’obbligo di risarcire il danno causato dal c.d. “recesso abusivo”. Ai fini della valutazione dell’esercizio del recesso da parte della banca, si deve verificare se lo stesso rappresenti la naturale conseguenza di una complessiva valutazione del merito creditizio, che gli intermediari sono tenuti a effettuare, nel qual caso è esercitato in modo legittimo; diversamente, quando il recesso è invece frutto di scelte ex abrupto da parte dell’istituto di credito, lo stesso è esercitato in modo irragionevole.

È giustificato il recesso in presenza di condotte, poste in essere dal cliente, idonee ad incrinare la fiducia nei successivi adempimenti ai propri obblighi. In un rapporto come quello di apertura del credito bancario in conto corrente, è proprio il grado di solvibilità del cliente ad orientare legittimamente le scelte della banca circa il mantenimento o la revoca degli accreditamenti concessi, a fronte di comportamenti e circostanze tali da legittimare, secondo le regole degli affari, l’allarme dell’istituto di credito sulla solvibilità del cliente, e, quindi, da giustificare la legittima revoca degli affidamenti.

In definitiva, il recesso dal rapporto di apertura di credito con la richiesta di restituzione dell’importo finanziato e la sospensione di ulteriore credito, da parte della banca, è lecito quando la decisione sia rispettosa della disciplina legale e convenzionale, né essa sia censurabile alla stregua del generale principio della buona fede, in quanto non risulti integrata la pretestuosità delle motivazioni addotte dall’istituto bancario.