5 Gennaio 2020

Processo esecutivo e ne bis in idem: la Cassazione chiarisce quando un’esecuzione forzata può dirsi conclusa e quando è, invece, possibile procedere nuovamente in executivis

di Giuliano Stasio Scarica in PDF

Cass. civ. sez. III, 13 novembre 2019, n. 29347, Pres. De Stefano, Rel. Tatangelo

Esecuzione forzata – Ne bis in idem – Obbligo di fare – Irretrattabilità dei risultati processo esecutivo

MASSIMA

Il processo esecutivo definito può dar luogo alla cd. irretrattabilità dei suoi risultati (e, di conseguenza, all’applicazione del cd. principio del ne bis in idem) esclusivamente laddove esso si sia concluso con l’attuazione concreta dell’obbligo posto in esecuzione, secondo la conformazione ad esso data in sede esecutiva; quindi: trattandosi di espropriazione, con l’attribuzione al creditore del ricavato della vendita a totale soddisfazione del suo credito; trattandosi di obblighi di fare, con l’attuazione materiale dell’obbligo contenuto nel titolo, secondo le modalità concrete disposte dal giudice dell’esecuzione; trattandosi di obblighi di consegna o rilascio, con la consegna o il rilascio della cosa dovuta. Nelle ipotesi in cui il procedimento esecutivo non abbia tale esito, può al più ipotizzarsi una estensione del cd. principio del ne bis in idem, laddove il giudice dell’esecuzione abbia espressamente dichiarato insussistente il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, abbia in qualche modo dichiarato l’obbligo non eseguibile oppure lo abbia ritenuto già completamente eseguito (nell’espropriazione ciò potrà avvenire, ad esempio, in caso di liquidazione del credito posto in esecuzione in modo difforme dalla pretesa del creditore e/o di assegnazione dichiarata satisfattiva benché inferiore all’importo oggetto di intimazione; altrettanto potrà avvenire, nell’esecuzione diretta, per il caso della espressa dichiarazione di impossibilità di attuazione o della espressa dichiarazione di avvenuta completa attuazione in concreto dell’obbligo di fare).

CASO                                            

Nel 1999 veniva posta in esecuzione una sentenza definitiva di condanna contenente l’ordine di arretramento di un fabbricato.

Il tecnico nominato dal giudice dell’esecuzione depositava una relazione in cui, contestualmente alla redazione del progetto esecutivo, invitava le parti, alla luce di alcune difficoltà esecutive, a raggiungere un accordo bonario. Non si procedeva all’esecuzione materiale dei lavori, poiché le parti davano corso a delle trattative, che non andavano a buon fine.

Dopo circa 8 anni, nel 2010, il creditore chiedeva – mediante ricorso al giudice dell’esecuzione – l’attuazione dell’obbligo di fare, senza contestare le modalità indicate in illo tempore dal tecnico nominato dal giudice dell’esecuzione.

Il debitore resistente proponeva opposizione, che veniva accolta dal Tribunale di Lecce per violazione del principio del ne bis in idem e la decisione confermata nel 2017 dalla Corte di Appello di Lecce.

Il creditore proponeva allora ricorso in Cassazione per due motivi di ricorso, che venivano esaminati congiuntamente dalla Corte: (i) violazione e falsa applicazione degli artt. 612, 613, 614 e 615 c.p.c. e 2931 c.c.; (ii) violazione e falsa applicazione dell’art. 617 c.p.c. e art. 2931 c.c., nonché per omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti e motivazione contraddittoria, illogica e carente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

SOLUZIONE

La Corte, in accoglimento di entrambi i motivi di ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione all’esecuzione proposta dal debitore resistente.

La Suprema Corte, infatti, ha definito la portata del principio del ne bis in idem all’interno del processo esecutivo, precisando che questo – come nel caso di specie – non potrà venire in gioco quando il procedimento precedente non si sia di fatto concluso, a prescindere da un’espressa dichiarazione di estinzione dell’esecuzione.

QUESTIONI

La pronuncia cassata, così come la precedente del Tribunale, è frutto di un evidente abbaglio, correttamente rilevato dalla Cassazione.

La Corte d’appello aveva confermato la sentenza di primo grado richiamando un precedente della Cassazione (Cass., n. 23182/2014), in cui si affermava il principio per cui “nel processo di esecuzione di obblighi di fare o di non fare, dal principio di irretrattabilità dei risultati del processo esecutivo discende la definitività della constatazione di chiusura della procedura esecutiva, contenuta nel verbale delle operazioni dell’ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all’ordinanza del giudice dell’esecuzione, sempreché il verbale e l’ordinanza non siano stati impugnati per vizi concernenti la non conformità di quanto eseguito o disposto rispetto al titolo esecutivo; ne consegue che, sopravvenuta la definitività della constatazione della chiusura della procedura esecutiva, al creditore procedente, che pure ritenga non perfettamente eseguito il comando giudiziale, resta preclusa la facoltà di azionare ulteriormente il medesimo titolo esecutivo”.

Come specificato anche in parte motiva, in quel caso parte esecutata si opponeva nei confronti di una procedura esecutiva per obblighi di fare promossa successivamente all’esaurimento di altra e precedente, che il creditore lamentava non essere stata perfettamente adempiuta e completata. La Cassazione, allora, aveva affermato che eventuali vizi dell’ordinanza determinativa delle modalità di esecuzione possono essere fatti valere mediante rituale impugnazione, mentre – in applicazione del principio del ne bis in idem – non sarà possibile chiedere nuovamente l’attuazione dell’obbligo stesso, poiché il titolo era già stato eseguito e l’esecuzione si era compiuta e chiusa con l’attuazione dell’obbligo, ancorché difformemente rispetto alle aspettative del creditore procedente.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, invece, l’obbligo di fare non era mai stato eseguito, poiché durante il primo, assai risalente, procedimento del 1999 erano state definite unicamente le modalità attuative, senza che queste fossero in alcun modo poste in essere, nemmeno parzialmente, essendovi state lunghe e vane trattative inter partes. Pertanto, come statuito dalla Suprema Corte, a prescindere dalla presenza o meno di una dichiarazione d’estinzione del procedimento, il principio del ne bis in idem non potrà venire in alcun modo in gioco e il creditore avrà il diritto di mettere in esecuzione l’obbligo di fare, fintanto che non risulti prescritto per decorso del termine decennale dell’actio iudicati ex art. 2953 c.c.

A questo punto, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte aveva già tutti gli elementi necessari per decidere la causa nel merito e per rigettare l’opposizione proposta dal debitore. La Cassazione, però, probabilmente alla luce della rarità di precedenti simili, ha colto l’occasione per risolvere altre due questioni sull’applicazione del principio del ne bis in idem al processo esecutivo.

La prima questione riguarda la possibilità di chiedere la modifica delle modalità esecutive dell’obbligo di fare. Nonostante nel caso di specie il creditore non avesse chiesto alcuna modifica alle modalità attuative disposte dal giudice dell’esecuzione nel corso del primo procedimento, la Corte ha ritenuto opportuno precisare che, quando il primo procedimento esecutivo sia stato abbandonato, si sia estinto o sia comunque divenuto improcedibile, il creditore avrà altresì la possibilità di chiedere nuovamente ex art. 612 c.p.c. la fissazione delle modalità esecutive dell’obbligo. Al contrario, se il primo procedimento sia rimasto pendente, il creditore sarà vincolato alle modalità esecutive già fissate in precedenza, salvo il potere di chiedere successive modificazioni ove insorgessero difficoltà materiali ex art. 613 c.p.c.

La seconda questione viene affrontata con l’enunciazione del principio di diritto, nel quale la Corte ha specificato, per ciascun tipo di esecuzione forzata, il momento in cui gli esiti del processo esecutivo divengono irretrattabili, con conseguente applicazione del principio ne bis in idem: per gli obblighi di fare ciò avverrà solo con l’attuazione materiale dell’obbligo contenuto nel titolo; per i casi di espropriazione, ciò avverrà con l’attribuzione al creditore del ricavato della vendita a totale soddisfazione del suo credito; per gli obblighi di consegna o rilascio, ciò avverrà con la consegna o il rilascio della cosa dovuta.

Inoltre, precisa infine la Corte, il principio del ne bis in idem si applicherà anche quando il giudice dell’esecuzione abbia espressamente dichiarato insussistente il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata o abbia dichiarato l’obbligo non eseguibile oppure lo abbia ritenuto già completamente eseguito. Al contrario, quando il processo esecutivo – come nel caso di specie – non raggiunga il suo esito fisiologico semplicemente perché esso non venga coltivato, per inerzia dell’ufficio e/o delle parti, per abbandono, per estinzione o comunque per qualunque motivo che non implichi una valutazione del giudice dell’esecuzione relativa alla “consumazione” del diritto di procedere ad esecuzione forzata (per avvenuta sua attuazione o per sua radicale mancanza), non sussisterà alcuna preclusione per il creditore a riproporre nuovamente l’esecuzione del titolo.