4 Aprile 2018

I principali orientamenti della giurisprudenza di legittimità per l’anno 2017 sul processo di esecuzione

di Roberta Metafora Scarica in PDF
  1. Introduzione.

Allo scopo di meglio orientare gli operatori giuridici nell’interpretazione e applicazione delle norme e principi giuridici, l’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione anche per l’anno appena trascorso ha elaborato una Rassegna delle principali decisioni della giurisprudenza di legittimità in materia civile (oltre che penale).

La Rassegna si presenta particolarmente preziosa nell’ambito del processo esecutivo, in quanto volta a chiarire e precisare l’ambito di operatività di istituti interessati negli ultimi anni da reiterati e assai incidenti interventi riformatori legislativi.

Di seguito verranno perciò riportate tra le molte pronunce segnalate dall’Ufficio del Massimario quelle che appaiono di particolare interesse.

  1. Titolo esecutivo.

La Suprema Corte, ribadita l’immanenza nel processo esecutivo del principio nulla executio sine titulo (v. Cass., Sez. Un., 10939/2017), secondo la quale presupposto del processo di esecuzione è l’esistenza di un titolo esecutivo che incorpori un diritto certo, liquido ed esigibile, senza che possano venire in rilievo profili cognitori di accertamento dell’obbligazione, con conseguente esclusione della possibilità di prospettare in sede di opposizione a precetto questioni di giurisdizione, non potendosi individuare altro giudice competente sulla materia diverso dal giudice civile), afferma che detto principio va inteso in senso dinamico, per cui la sopravvenuta caducazione del titolo − quale effetto dello sviluppo del giudizio di cognizione in cui esso si è formato o dei gradi di impugnazione − travolge gli atti esecutivi compiuti in forza dello stesso, privati ex tunc di ogni efficacia (Cass., Sez. 6-3, n. 20789/2017).

Caratteristica imprescindibile del titolo esecutivo è la sua autosufficienza, ovvero la necessaria idoneità di esso ad individuare compiutamente il comando da attuare, senza bisogno di ulteriori attività di accertamento cognitivo, tendenzialmente bandite (salve le pur significative deroghe) nell’ambito del processo esecutivo. Pertanto, in tema di esecuzione forzata fondata su titolo esecutivo giudiziale, ove il giudice della cognizione abbia omesso di indicare la specie degli interessi che ha comminato, limitandosi alla generica qualificazione degli stessi in termini di “interessi legali” o “di legge”, si devono ritenere liquidati soltanto gli interessi di cui all’art. 1284 c.c., in ragione della portata generale di questa disposizione, rispetto alla quale le altre ipotesi di interessi previste dalla legge hanno natura speciale (Cass., Sez. 3, n. 22457/2017, in questa Rivista, 13 febbraio 2018, con nota di E.A. Daniele, La qualificazione generica degli interessi comminati nel titolo esecutivo giudiziale in termini di “legali” o “di legge” rende dovuti solo gli interessi di cui all’art. 1284 c.c.).

Quanto poi alle vicende successorie che possono interessare il titolo esecutivo, è stato di recente affermato che il titolo esecutivo giudiziale emesso in favore di una società non perde efficacia in caso di estinzione della stessa per cancellazione dal registro delle imprese, sicché esso può essere fatto valere, al fine di esercitare il relativo diritto a procedere ad esecuzione forzata, dalla persona fisica nei cui confronti si integra il fenomeno successorio derivante dall’estinzione (Cass., Sez. 3, n. 20155/2017).

Ex latere debitoris, con riferimento a vicenda di assai frequente verificazione, pacifica la natura parziaria della responsabilità del singolo condomino per le obbligazioni (di natura contrattuale) contratte dal condominio (Cass., Sez. 6-3, n. 8150/2017), è stato affermato che l’esecuzione nei confronti del singolo condomino, sulla base di titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio, postula la preventiva notificazione del titolo − anche in caso di decreto ingiuntivo, non essendo applicabile in tale ipotesi l’art. 654 c.p.c. − e del precetto al singolo condomino contro cui si intende procedere e può avere luogo esclusivamente nei limiti della quota millesimale dello stesso. Qualora il creditore ometta, in precetto, di specificare la misura della quota oppure intimi il pagamento dell’importo totale portato dal titolo ad un solo condomino, quest’ultimo può proporre opposizione all’esecuzione, deducendo di non essere affatto condomino o contestando la misura della quota allegata dal creditore: nel primo caso, l’onere di provare il fatto costitutivo della qualità di condomino spetta al creditore ed in mancanza il precetto deve essere dichiarato inefficace per l’intero; nel secondo caso, invece, è lo stesso opponente a dover dimostrare l’effettiva misura della propria quota condominiale, ai fini della declaratoria di inefficacia dell’atto di precetto per l’eccedenza, ed in mancanza l’opposizione non può essere accolta, restando efficace l’intimazione per l’intera somma (Cass., Sez. 3, n. 22856/2017, in questa Rivista, 6 febbraio 2018, con nota di G. Bovenzi, Omessa specificazione nel precetto della quota millesimale del debito: nel giudizio di opposizione all’esecuzione spetta al condomino la prova della relativa misura).

  1. Precetto.

Per quanto attiene al precetto, sulla premessa che esso concreta una mera minaccia di esecuzione, finalizzato alla realizzazione del diritto portato dal titolo attraverso l’adempimento spontaneo dell’obbligato, la Cassazione esclude la applicabilità al precetto (salva espressa previsione contraria della legge come, ad esempio, l’art. 125 c.p.c.) della disciplina dettata per gli atti processuali, e la possibilità di una sua notificazione a mezzo del servizio postale ad opera di qualunque ufficiale giudiziario, senza limitazioni territoriali, ai sensi dell’art. 107, comma 2, del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 (Cass., Sez. 3, n. 18759/2017).

È stato inoltre affermato con riguardo ai requisiti di contenuto-forma del precetto che esso non è nullo se in concreto comunque idoneo al raggiungimento dello scopo, costituito dall’assegnare al debitore un termine per l’adempimento dell’obbligazione nascente dal titolo e dal preannunciare, per il caso di mancato adempimento, l’esercizio dell’azione esecutiva; pertanto, l’omessa indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo non determina la nullità del precetto quando l’esigenza di individuazione del titolo risulti comunque soddisfatta attraverso altri elementi contenuti nel precetto stesso, la cui positiva valutazione da parte del giudice di merito può essere utilmente ancorata al successivo comportamento del debitore (Cass., Sez. 6-3, n. 15316/2017).

  1. Espropriazione mobiliare.

Particolare interesse riveste, in tema di espropriazione di partecipazioni in società a responsabilità limitata, la decisione resa da Cass., Sez. 3, n. 20170/2017, la quale, chiamata a decidere sui criteri di risoluzione del conflitto tra creditore pignorante ed acquirente della partecipazione, ha concluso per l’applicabilità dell’art. 2914, num. 1, c.c., dettato per i beni mobili iscritti in pubblici registri (e non aventi consistenza corporale, nel caso della quota sociale), e ne ha desunto la inefficacia nei confronti del creditore procedente delle alienazioni iscritte nel registro delle imprese successivamente all’iscrizione del pignoramento, irrilevante essendo lo stato soggettivo di buona fede dell’acquirente, attesa l’inapplicabilità dell’art. 2470, comma 3, c.c., disciplinante la diversa situazione del conflitto tra plurimi acquirenti della medesima partecipazione sociale.

  1. Espropriazione presso terzi.

In ordine all’oggetto dell’espropriazione, decidendo su questione di massima di particolare importanza, la Cassazione a Sezioni Unite (n. 1545/2017), premessa la totale equiparazione, ai fini della aggredibilità in executivis, di stipendi e salari percepiti in base a rapporti di lavoro pubblico e di lavoro privato e, quindi, la soggezione al generale limite di pignorabilità del quinto anche degli emolumenti aventi origine in rapporti di lavoro parasubordinato (disciplinati dall’art. 409, comma 1, num. 3, c.p.c.), ha ritenuto la pignorabilità, senza i limiti previsti dall’art. 545, comma 4, c.p.c., dei compensi spettanti per funzioni svolte in ambito societario all’amministratore unico o al consigliere di amministrazione di una s.p.a., in quanto soggetti legati da un tipo di rapporto che, in ragione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è riconducibile al lavoro parasubordinato.

Particolarmente interessanti da un punto di vista sistematico sono alcune decisioni riguardanti la posizione del terzo debitor debitoris nell’ambito del procedimento di espropriazione presso terzi. Come è noto, il terzo pignorato ricopre le vesti di ausiliario del giudice dell’esecuzione (salvo ad assumere la qualità di parte nell’eventuale incidente di accertamento dell’obbligo del terzo), tenuto ad una collaborazione con l’ufficio esecutivo. Tale posizione di collaboratore o ausiliario comporta, in caso di dichiarazione di quantità reticente o elusiva, idonea a favorire il debitore ed arrecare pregiudizio al creditore istante, la configurabilità a carico di detto terzo non già della responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c. (non rivestendo egli, al momento della dichiarazione, la qualità di parte), bensì della responsabilità aquiliana, ex art. 2043 c.c. per la lesione del credito altrui integrata dal ritardo nel soddisfacimento provocato con quel comportamento doloso o colposo. Detta azione di responsabilità può essere esperita in un giudizio autonomo e distinto rispetto alla procedura esecutiva, atteso che il subprocedimento incidentale regolato dall’art. 549 c.p.c. non configura condizione di proponibilità della domanda risarcitoria, potendo tutt’al più la mancata contestazione della dichiarazione del terzo rilevare come fatto colposo del creditore, valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c. (Cass., Sez. 3, n. 5037/2017).

Quanto alla dichiarazione di quantità che il terzo deve rendere ai sensi dell’art. 547 c.p.c., è stato di recente precisato che essa deve essere completa e dettagliata sotto il profilo oggettivo, in modo da consentire l’identificazione dell’oggetto della prestazione dovuta al debitore esecutato, compresi il titolo ed il quantum del credito pignorato; dal punto di vista soggettivo, invece, è necessario e sufficiente la menzione dei rapporti intrattenuti soltanto col soggetto evocato nell’atto di pignoramento come debitore sottoposto ad esecuzione, non estendendosi il dovere di collaborazione fino al punto di imporre la specificazione di rapporti correnti con soggetti diversi dall’esecutato, ancorché riconducibili, dal punto di vista economico, alla sua sfera patrimoniale (Cass., Sez. 3, n. 5037/2017). Detta dichiarazione è revocabile dal terzo pignorato per errore incolpevole sino all’emissione dell’ordinanza di assegnazione; se l’errore emerge successivamente, il terzo ha l’onere di proporre, nel termine ex art. 617 c.p.c., opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza stessa (Cass., Sez. 3, n. 10912/2017).

Atto conclusivo del procedimento di espropriazione presso terzi è l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c., determinante il trasferimento al creditore del credito spettante verso il terzo al debitore esecutato, la quale, in quanto disposta in pagamento pro solvendo e non pro soluto, ai sensi dell’art. 553 c.p.c., non è immediatamente estintiva del credito del debitore verso il terzo pignorato, all’uopo occorrendo che questi proceda al pagamento in favore del creditore assegnatario. Pertanto, laddove l’obbligato non adempia al credito portato nell’ordinanza di assegnazione, essa acquista efficacia di titolo esecutivo nei confronti del terzo ma soltanto dal momento in cui venga portata a conoscenza di quest’ultimo (ovvero con il decorso del termine eventualmente e specificamente stabilito nel provvedimento stesso), sicché, ove l’ordinanza, in difetto di preventiva comunicazione, venga notificata in forma esecutiva al terzo contestualmente al precetto, le spese sostenute per il precetto restano a carico del creditore intimante (Cass., Sez. 6-3, n. 19986/2017).

Avverso l’ordinanza di assegnazione del credito l’unico rimedio esperibile è l’opposizione agli atti esecutivi, anche quando l’ordinanza risolva questioni relative alla partecipazione dei creditori alla distribuzione della somma di cui il terzo si è dichiarato debitore (Cass., Sez. 6-3, n. 7706/2017). Sul punto, v. il focus di G. Ricci, Sui rimedi esperibili avverso l’ordinanza di assegnazione dei crediti ex art. 553 c.p.c., in questa Rivista, 8 luglio 2017.

  1. Espropriazione immobiliare.

In ordine al pignoramento immobiliare, è stato affermato che possibili invalidità del pignoramento scaturiscono da errori nella direzione soggettiva dell’atto oppure sui requisiti di contenuto – forma di individuazione della res staggita, trattandosi di elementi essenziali per la funzionalità e il raggiungimento dei fini istituzionali dell’espropriazione forzata, la cui esistenza, al pari delle condizioni dell’azione esecutiva e dei presupposti processuali, è oggetto della verifica officiosa ad opera del giudice dell’esecuzione.

Pertanto, laddove il pignoramento immobiliare venga notificato in danno in danno di un trust in persona del trustee, anziché di quest’ultimo in via immediata e diretta, esso deve ritenersi nullo giacché il trust è un ente privo di personalità giuridica, costituendo un mero insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, formalmente intestati al trustee, il quale è l’unico soggetto che, nei rapporti con i terzi, è titolare dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato (Cass., Sez. 3, n. 2043/2017).

Del pari è nullo l’atto di pignoramento notificato personalmente al debitore esecutato privo di capacità processuale, perché in stato di interdizione legale, specificando tuttavia che tale nullità − qualora il debitore interdetto, già costituito in proprio, e non in persona del tutore, legale rappresentante, riacquisti la capacità processuale in pendenza del processo esecutivo − è sanabile, con efficacia ex tunc e che tale sanatoria esclude l’invalidità dell’atto di pignoramento, ma non anche degli atti del processo esecutivo svolto in violazione del principio del contraddittorio, che va fatta valere con opposizione agli atti esecutivi da proporsi nel termine di venti giorni dalla data di cessazione dello stato di incapacità processuale.

Sotto il profilo oggettivo, la mancata o incompleta individuazione del bene aggredito in executivis, ove comporti assoluta incertezza in ordine allo stesso, inficia l’atto di pignoramento di nullità non suscettibile di sanatoria, perché impedisce di pervenire alla vendita del bene, cioè all’esito fisiologico del processo: la deduzione del vizio, afferendo alla regolarità formale della procedura e non al diritto di procedere ad esecuzione, configura motivo di opposizione agli atti esecutivi, la quale, tuttavia, sfugge alla preclusione derivante dal termine ex art. 617 c.p.c., per essere l’opposizione proponibile contro ogni atto dell’esecuzione successivo al pignoramento (Cass., Sez. 6-3, n. 21379/2017).

La erronea indicazione, nell’atto di pignoramento e nella nota di trascrizione, dei dati identificativi dell’immobile staggito non è nemmeno sanabile mediante un pignoramento cd. “in rettifica”, dacché quest’ultimo, debitamente notificato e trascritto, assume la valenza di un nuovo pignoramento, del tutto distinto ed autonomo dal precedente e, come tale, opponibile ai terzi dalla data di trascrizione del secondo atto notificato, con salvezza dei diritti acquistati dai terzi con atti trascritti medio tempore (Cass., Sez. 3, n. 05780/2017).

Quanto poi alla diatriba relativa al momento di perfezionamento del pignoramento, è stato affermato che il dies a quo per il deposito dell’istanza di vendita − decorrente, secondo il dettato dell’art. 497 c.p.c., dal «compimento» del pignoramento − va riferito, nella struttura complessa e a formazione progressiva del pignoramento immobiliare, alla data di notificazione dell’atto ex art. 555 c.p.c. (Cass., Sez. 3, n. 18758/2017, in questa Rivista, 31 ottobre 2017, con nota di Petronzi, La tempestività del deposito dell’istanza di vendita, la quale ha precisato che il termine decorre dal perfezionamento di tale notifica, non operando il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario dell’atto).

  1. Opposizioni esecutive: aspetti procedimentali.

In ordine alla struttura dei giudizi oppositivi, la giurisprudenza di legittimità ribadisce ancora una volta che essi si articolano in due fasi: la prima, di carattere necessario, introdotta da un ricorso diretto al giudice dell’esecuzione e svolta nelle forme del rito camerale (richiamato dall’art. 185 disp. att. c.p.c.) conclusa da un’ordinanza – avente natura e contenuto cautelare – che decide sull’istanza di sospensione della procedura (ovvero, nell’ipotesi di opposizione agli atti esecutivi, di adozione dei provvedimenti indilazionabili), statuendo altresì sulle spese della fase sommaria; la seconda, meramente eventuale, svolta innanzi al giudice competente ai sensi dell’art. 27, comma 2, c.p.c., secondo le modalità (inerenti, innanzitutto, la forma dell’atto introduttivo) del processo ordinario di cognizione (ovvero, nei casi previsti dall’art. 618 bis c.p.c., secondo il rito speciale) avente ad oggetto il merito della lite e definita con sentenza idonea al giudicato.

Dalla illustrata connotazione delle opposizioni esecutive come giudizi unitari a bifasicità eventuale discendono, in linea di logica coerenza, i seguenti corollari:

a)- il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione definisce la fase sommaria omettendo la fissazione del termine per instaurare il giudizio di merito non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione, in quanto privo del carattere della definitività, potendo la parte introdurre autonomamente il giudizio a cognizione piena (Cass., Sez. 6-3, n. 9652/2017) oppure richiedere al giudice dell’esecuzione, con istanza ex art. 289 c.p.c., l’integrazione dell’ordinanza con la fissazione del termine (Cass., Sez. 6-3, n. 3082/2017);

b)- la pendenza della lite è fissata dal deposito del ricorso introduttivo della fase sommaria e ciò: b1)- ai fini dell’applicazione del termine semestrale d’impugnazione della sentenza conclusiva del giudizio, previsto dall’art. 327 c.p.c., nella formulazione novellata della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Cass., Sez. 3, n. 9352/2017), nonché b2)- ai fini della rilevabilità di ufficio dell’estinzione del giudizio di merito sull’opposizione per tardiva riassunzione dello stesso ai sensi dell’art. 307, ultimo comma, c.p.c., come modificato sempre dalla l. n. 69 del 2009 (Cass., Sez. 3, n. 5608/2017);

c)- qualora l’ordinanza conclusiva della fase cautelare assegni un termine ne ultra quem per l’introduzione del giudizio di merito che sia indeterminato o inapplicabile nella decorrenza, nella durata e nella scadenza e pertanto da considerarsi omesso o giuridicamente inesistente, è tempestiva l’autonoma introduzione del giudizio di merito eseguita dalla parte interessata nel termine di legge (Cass., Sez. 3, n. 5779/2017).

Una volta depositato il ricorso, esso deve essere poi notificato, unitamente al pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, con conseguente improcedibilità dell’opposizione quando detta notificazione sia del tutto mancata, non essendo consentito al giudice di assegnare all’opponente un termine perentorio entro il quale provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 c.p.c. (Cass., Sez. 6-3, n. 20637/2017).

Dalla rigorosa declinazione in cadenza bifasica dei giudizi oppositivi si fa discendere la negazione della impugnabilità diretta – né con l’opposizione agli atti esecutivi né con il ricorso straordinario per cassazione – delle ordinanze conclusive della prima fase, ancorché aventi contenuto impropriamente decisorio, dovendosi, in tale evenienza, dar corso esclusivamente alla fase di merito dell’opposizione. Seguendo quest’indirizzo, con riguardo all’esecuzione forzata per obblighi di fare, si è affermato che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c., che abbia assunto contenuto decisorio in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva, non può considerarsi − neppure quando abbia provveduto sulle spese giudiziali − come una sentenza conclusiva di un’opposizione all’esecuzione (e quindi impugnabile con i rimedi all’uopo previsti), consistendo essa nel provvedimento definitivo della fase sommaria di tale opposizione, sicché la parte interessata può tutelarsi introducendo il relativo giudizio di merito ex art. 616 c.p.c. (Cass., Sez. 3, n. 7402/2017).

  1. Opposizione all’esecuzione, opposizione agli atti esecutivi, opposizione di terzo all’esecuzione.

Con riguardo all’opposizione all’esecuzione, merita di essere ricordata solo Cass., Sez. 6-3, n. 20924/2017 (in questa Rivista, 23 gennaio 2018, con nota di R. Metafora, Il rilascio dell’immobile non determina la cessazione della materia del contendere dell’opposizione all’esecuzione, secondo cui nell’esecuzione per rilascio di immobile la conclusione della procedura esecutiva per spontanea riconsegna del bene da parte dell’esecutato (al solo scopo di evitare la coattiva attuazione della pretesa e non in base ad accordo tra le parti) non provoca la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione all’esecuzione, in quanto permane l’interesse dell’opponente ad una decisione sull’insussistenza del diritto del creditore a procedere ad esecuzione, il cui accertamento comporta la inefficacia degli atti compiuti e fa sorgere il diritto dell’esecutato a rientrare nella disponibilità del bene di cui sia stato illegittimamente spossessato.

Più variegato il quadro relativo all’opposizione agli atti esecutivi.

In merito al termine di decadenza per la proposizione dell’opposizione agli atti merita di essere ricordata Cass., Sez. 6-3, n. 18723/2017, secondo cui colui il quale propone opposizione agli atti oltre il termine di cui all’art. 617, comma 2, c.p.c. dall’ultimo atto del procedimento, invocandone la nullità per derivazione dal vizio di omessa notifica di un atto presupposto, è tenuto ad allegare e dimostrare quando, di fatto, ha avuto conoscenza di detto atto e di quelli conseguenti, in quanto l’opposizione deve ritenersi tempestiva solo se proposta nel termine di venti giorni da tale conoscenza di fatto.

Inoltre, nella controversia di opposizione agli atti esecutivi proposta nell’ambito di procedura di espropriazione presso il terzo proprietario sussiste litisconsorzio necessario tra creditore, terzo proprietario e debitore diretto, avendo anche quest’ultimo interesse al controllo di regolarità formale sullo svolgimento del processo esecutivo, implicando la decisione sull’opposizione effetti potenziali anche sulla propria situazione sostanziale (Cass., Sez. 3, n. 2333/2017).

In tema di opposizione di terzo all’esecuzione, è stata riconosciuta la legittimazione attiva: a)- al terzo che assuma di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati, oppure che si presenti come titolare di alcuni particolari diritti di credito ad efficacia reale, suscettibili di soddisfarsi sulla cosa oggetto dell’esecuzione, e dunque prevalenti sulla pretesa del creditore procedente, essendo al contrario escluso che detta opposizione possa essere proposta dal terzo che vanti un diritto di credito derivante da spese (per migliorie) sostenute per la cosa pignorata (Cass., Sez. 6-3, n. 26537/2017); b)- nelle esecuzioni in forma specifica, al terzo che lamenti una lesione derivante da un errore compiuto nel procedimento esecutivo. Viceversa, al terzo che lamenti una lesione della sua situazione soggettiva derivante (non già da un errore compiuto nel procedimento esecutivo bensì) dalla statuizione giudiziale azionata che abbia accertato un diritto incompatibile con quello da lui vantato spetta la tutela di cui all’art. 404 c.p.c. (Cass., Sez. 3, n. 07041/2017).

Ribadito il principio secondo cui il giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione costituisce un’azione di accertamento dell’illegittimità dell’esecuzione in rapporto al suo oggetto e di fronte al diritto vantato dal terzo, è stato affermato che la caducazione del titolo esecutivo produce l’effetto di rendere superflua l’invocata affermazione giudiziale sulla sottoponibilità dei beni ad espropriazione, cioè a dire concreta un’ipotesi di cessazione della materia del contendere per il verificarsi di un evento di indole processuale elidente l’interesse alla decisione sul merito della lite, con conseguente necessità di regolare le spese dell’opposizione secondo il criterio della soccombenza virtuale (Cass., Sez. 3, n. 6016/2017).

  1. Sospensione ed estinzione dell’esecuzione.

Particolarmente interessanti le decisioni in materia.

Tra esse particolare rilievo va attribuito a Cass., Sez. 3, 7043/2017, la quale, individuata la finalità deflattiva perseguita dal legislatore attribuendo alla sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c. la capacità potenziale di determinare effetti analoghi a quelli di un provvedimento (parzialmente) anticipatorio degli esiti della decisione di merito, ha ritenuto operante il meccanismo di “stabilizzazione evolutiva” della sospensione in estinzione ex art. 624, comma 3, c.p.c. in caso di mancata introduzione o riassunzione del giudizio di merito anche laddove il provvedimento di sospensione sia stato pronunciato per la prima volta dal tribunale in sede di reclamo, e non solo quando esso sia stato emesso direttamente dal giudice dell’esecuzione e non sia stato reclamato o sia stato confermato in sede di reclamo.

Ragioni di logica coerenza sistematica, in uno ad argomenti di stretto diritto positivo (la disciplina completa ed autosufficiente dettata dall’art. 624, comma 3, c.p.c., escludente l’applicabilità della regola sancita per il procedimento cautelare uniforme dall’art. 669 novies, comma 1, c.p.c.; il prodursi dell’inefficacia di tutti gli atti processuali in caso di estinzione del giudizio a cognizione piena, a mente dell’art. 310 c.p.c.) hanno poi indotto la medesima Sez. 3, n. 7043/2017 a ritenere il verificarsi dell’estinzione dell’esecuzione ex art. 624, comma 3, c.p.c. anche nell’ipotesi di estinzione del giudizio di merito sull’opposizione, pur tempestivamente introdotto o riassunto.

In ordine alle modalità di riattivazione dell’esecuzione sospesa su accordo delle parti ex art. 624 bis c.p.c., la Cassazione (Sez. 3, n. 6015/2017), muovendo dalla lacunosità del dato positivo ha escluso che per la regolamentazione della forma dell’atto riassuntivo e del modo di prosecuzione dell’esecuzione, possa applicarsi in via analogica l’art. 297 c.p.c., in considerazione dell’atteggiarsi in maniera semplificata del principio del contraddittorio nel processo esecutivo ed ha concluso nel senso che la parte interessata alla riassunzione è, a pena di inattività ex art. 630 c.p.c., tenuta unicamente al deposito di tempestivo ricorso diretto al giudice dell’esecuzione, dipanandosi l’ulteriore svolgimento della procedura attraverso adempimenti gravanti sull’ufficio esecutivo (segnatamente, la fissazione, da parte del giudice, della udienza di comparazione delle parti con decreto da comunicarsi alle parti a cura del cancelliere).

Superando le incertezze sorte in dottrina ed in giurisprudenza dopo la riforma del 2006, Cass., Sez. 3, n. 8683/2017, in questa Rivista, 28 novembre 2017, con nota di Quaranta, La riassunzione del processo esecutivo sospeso a seguito del rigetto in primo grado dell’opposizione, sulla premessa di attribuire natura cautelare al provvedimento di sospensione, ha affermato che l’art. 627 c.p.c., nella parte in cui prevede per la riassunzione del processo esecutivo il termine di sei mesi dal passaggio in cosa giudicata della sentenza di primo grado che rigetta l’opposizione all’esecuzione, intende stabilire il dies ad quem per detta attività, nel senso che la riassunzione deve compiersi non oltre tale momento (ovvero, se la sentenza viene impugnata, non oltre sei mesi dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetti l’opposizione), ma non identifica il momento di insorgenza del potere di riassumere, il quale va ricondotto alla pubblicazione della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione, in virtù del principio di immediata efficacia sancito dall’art. 282 c.p.c.

Infine, sull’estinzione del processo esecutivo, di assoluta rilevanza, per le notevoli ricadute pratico-operativi, risulta Cass., Sez. 3, n. 27545/2017, che ha attribuito al provvedimento di estinzione pronunciato dal giudice dell’esecuzione natura meramente dichiarativa dell’effetto estintivo (istantaneo) già prodotto al verificarsi delle condizioni stabilite dalla legge (nel caso esaminato, al momento del deposito dell’atto di rinuncia dell’unico creditore, con conseguente inidoneità ai fini della prosecuzione della procedura di interventi di altri creditori spiegati dopo tale momento).