19 Luglio 2016

Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e autosufficienza del ricorso in Cassazione

di Giorgia Vulpiani Scarica in PDF

Cass. civ., sez. lav., 30 maggio 2016, n. 11130

Lavoro subordinato – Licenziamento disciplinare – Rilascio porto d’armi – Uffici medico legali abilitati – Ambulatori privati – Esclusione

Impugnazioni civili – Ricorso per Cassazione – Motivi di ricorso – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti – Condizioni

(cod. proc. civ. artt. 360, co. 1, n. 5)

Impugnazioni civili – Ricorso per Cassazione – Motivi di ricorso – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti – Condizioni – Autosufficienza ricorso

(cod. proc. civ. artt. 360, co. 1, n. 5, 366, 369)

Impugnazioni civili – Appello – Specificità dei motivi

(cod. proc. civ. artt. 342, 434)

[1] In tema di rilascio del porto d’armi, va escluso che tra gli uffici medico legali competenti ad effettuare gli accertamenti dei requisiti psicofisici, ai sensi dell’art. 3 d.m. 28 aprile 1998, rientrino anche gli ambulatori privati dei medici abilitati alla libera professione, trattandosi di una funzione caratterizzata da cadenze procedimentali che richiedono l’intervento di un ufficio pubblico.

[2] Il ricorrente che denunci per Cassazione l’insufficiente giustificazione logica dell’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, poiché è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile

[3] Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto.

[4] È inammissibile l’atto d’appello che risulti totalmente avulso dalla censura di quanto affermato dal primo giudice e si limiti ad illustrare la tesi giuridica già esposta in primo grado.

CASO

Un medico dell’ASL proponeva ricorso avverso il licenziamento disciplinare irrogato per aver rilasciato un certificato per l’autorizzazione al rilascio/rinnovo di porto d’armi. Il ricorso veniva rigettato dal Tribunale, con successiva conferma in appello,  che escludeva che l’ambulatorio privato del medico abilitato alla libera professione rientrasse tra gli “uffici medico legali” competenti al rilascio dell’autorizzazione ex art. 3 D.M. 28 aprile 1998.

Il soccombente proponeva ricorso in Cassazione con dieci motivi che possono essere così riassunti: a) violazione e falsa applicazione del D.M. 28 aprile 1998 disciplinante la materia; b) omesso esame di fatti decisivi per il giudizio riguardanti l’inconsapevolezza del medico di svolgere un’attività non consentita, la mancanza della lesione del vincolo fiduciario per estraneità della condotta addebitata al rapporto di lavoro con l’azienda sanitaria e la sproporzione tra fatto contestato e sanzione; c) violazione dell’art. 434 c.p.c. per la declaratoria di inammissibilità del motivo di impugnazione relativo all’eccezione di sproporzione tra fatto contestato e sanzione irrogata.

SOLUZIONE

La Corte rigetta il ricorso per i seguenti motivi: a) aderisce all’interpretazione del D.M. 28 aprile 1998 operata dai giudici di merito; b) ritiene le censure di merito non accoglibili in quanto il ricorrente:

– ha individuato come decisivi fatti non idonei a garantire che, ove adeguatamente valutati, avrebbero determinato un esito del giudizio diverso,

– non ha indicato in quale atto del giudizio precedente abbia dedotto la questione;

  1. c) conferma l’inammissibilità per mancanza di specificità del motivo di appello in quanto privo di un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione.

QUESTIONI

La pronuncia in commento coglie l’occasione per confermare alcuni noti orientamenti in tema di impugnazioni civili e nella specie in punto di: a) limiti di sindacabilità del provvedimento impugnato ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.; b) autosufficienza del ricorso e onere di trascrizione degli atti e/o documenti su cui si fonda il motivo di ricorso; c) specificità dei motivi di appello.

Rispetto alla prima questione, come noto, con la novellazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, è deducibile per cassazione il vizio di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

Le Sezioni Unite (Cass., sez. un., 7 aprile 2014 n. 8053; Cass.., sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881; Cass., sez. un. 16 maggio 1992 n. 5888) hanno chiarito la portata della disposizione:

1) è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attenga all’esistenza della motivazione in sé come risulta dal testo della sentenza e si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (ex multis, Cass., sez. III, 7 aprile 2016 n. 6787;  Cass., sez. un., 7 gennaio 2016 n. 67; Cass., sez. VI, 1 ottobre 2015 n. 19677; Cass., sez. VI, 23 settembre 2015 n. 18817; Cass., sez. VI, 6 luglio 2015 n. 13928; Cass. 8 ottobre 2014 n. 21257; Cass., sez. VI, 16 luglio 2014 n. 16300);

2) l’omesso esame deve riguardare un fatto storico la cui esistenza risulti dal testo della  sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (v. anche Cass., sez. lav., 9 luglio 2015 n. 14324; Cass., sez. I, 5 marzo 2014 n. 5133);

3) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio ove il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione da parte del giudice (v. anche Cass., sez. lav., 9 luglio 2015 n. 14324).

In ogni caso, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’art. 360, co. 1, n. 5 non conferisce sotto nessun aspetto alla Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo il solo controllo, sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto, delle valutazioni compiute dal giudice dell’appello (v. Cass., sez. III, 28 giugno 2016, n. 13257).

La sentenza in esame, tuttavia, si limita ad affermare che le censure di merito del ricorrente sono inadeguate rispetto all’osservanza dei suesposti principi, in quanto individuano come decisivi fatti, al contrario, inidonei a determinare, ove adeguatamente valutati, un diverso esito del giudizio. Sulla base di tale considerazione, inoltre, la Corte afferma che il ricorrente che denunci per cassazione l’insufficiente giustificazione logica dell’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove deve prospettare una spiegazione dei fatti e delle risultanze istruttoria con una logica alternativa che appaia come l’unica possibile (v. Cass., sez. I, 23 dicembre 2015 n. 25927).

Rispetto alla seconda questione la S.C. ribadisce come il ricorrente abbia l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto (v. Cass., sez. un., 4 febbraio 2014 n. 2399). Sul punto si riscontrano pronunce discordanti sulla questione se l’onere di indicazione si sostanzi o meno nella trascrizione dell’atto (v. Cass., sez. I, 13 maggio 2016 n. 9888; Cass., sez. VI, 30 ottobre 2015 n. 22185; Cass., sez II, 23 febbraio 2012 n. 2730;). Di recente è intervenuto il Protocollo d’intesa del 7 dicembre 2015 che ha escluso l’onere di trascrizione integrale degli atti o documenti ai quali si riferisce il ricorso (v. Donzelli, Il protocollo d’intesa sulle regole redazionali degli atti del giudizio di cassazione in materia civile).

Quanto all’ultima questione, la sentenza in commento conferma la declaratoria di inammissibilità del motivo di appello riproponendo l’orientamento della Cassazione secondo cui l’onere della specificazione dei motivi di appello esige ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ. che la manifestazione volitiva dell’appellante trovi un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione della pronuncia impugnata e che le ragioni sulle quali si fonda il gravame debbano essere esposte in modo da contrapporre le argomentazioni dell’appellante a quelle svolte nella sentenza di prime cure per incrinarne il fondamento logico-giuridico (v., tra le più recenti, Cass., sez. II, 12 febbraio 2016 n. 2855; Cass., sez. II, 13 ottobre 2015 n. 20496; Cass., sez. VI, 22 settembre 2015 n. 18704).