3 Maggio 2018

Le vendite fallimentari e la loro compatibilità con il modello telematico del codice di rito

di Roberta Metafora Scarica in PDF
  1. Il programma di liquidazione.

Stando al 1° comma dell’art. 104 ter, entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario e in ogni caso non oltre centottanta giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento, il curatore predispone il programma di liquidazione dell’attivo; esso, ai sensi del 2° comma dello stesso articolo, «costituisce l’atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell’attivo».

Se è vero che il curatore ha un ampio margine di movimento per quanto riguarda la programmazione e l’attuazione delle modalità liquidative, è però indiscutibile che dette scelte devono essere orientate alla massima tutela degli interessi dei creditori. Proprio per tale motivo, è attualmente previsto che il comitato dei creditori debba approvare il programma di liquidazione, eventualmente proponendo modifiche al programma (5° comma).

Inoltre, per effetto della riforma del 2015 (d.l. 83/2015), sono stati previsti tempi stringenti per la redazione ed attuazione del programma di liquidazione, all’evidente scopo di ridurre la durata della procedura. A questa logica vanno ricondotte non solo la previsione del primo comma citato, ma anche le norme (del pari introdotte dal d.l. citato) per la quale costituisce giusta causa di revoca del curatore il mancato rispetto, senza giustificato motivo, sia del termine di centottanta giorni per la redazione del programma sia dei termini stabiliti nel programma stesso (art. 104 ter, 1° comma e 10° comma).

Dopo la riforma del 2006-2007 si è dunque di molto ridotto il ruolo del giudice delegato: spetta a codesto organo controllare il contenuto e la legittimità del documento e quindi dei singoli atti in esso contenuti; egli non potrà esprimere giudizi di merito sulle scelte compiute dal curatore (ed approvate dal comitato), mentre dovrà verificare la rispondenza del programma alle norme di legge e alle prassi. Soltanto dopo tale attenta e meticolosa verifica il giudice delegato renderà esecutivo il programma di liquidazione e per conseguenza autorizzerà tutte le attività analiticamente dettagliate nel documento (sulla natura dell’autorizzazione del g.d. v. Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2017, 240-241).

Come si desume già dalla semplice lettura dell’art. 104 ter, il programma di liquidazione presenta un contenuto assai complesso; tra le varie attività che ne sono oggetto vi è anche l’indicazione delle condizioni della vendita dei singoli cespiti.

  1. La pubblicità delle vendite e il Portale delle Vendite Pubbliche.

Stando all’art. 107 l. fall., le vendite devono svolgersi con sistemi competitivi al fine di poter far concorrere più soggetti interessati all’asta e per conseguenza ricavare maggiori risorse.

Ciò impone una ampia e capillare divulgazione delle informazioni attinenti alla vendita.

Fino ad oggi la pubblicità effettuata su mezzi di informazione operanti in un’area territoriale ridotta non permetteva una vera ed effettiva competizione tra gli offerenti. E’ stato infatti notato che i portali dei tribunali riportano solo i beni venduti da quello specifico ufficio ed anche i siti dei gestori pubblicitari privati, non avendo convenzioni stipulate con tutti i tribunali, non sono in grado di offrire una informazione completa ed esauriente (Crivelli, Il portale delle vendite pubbliche e le vendite forzate telematiche nelle procedure concorsuali, in Fall., 2018, 402).

Per ottenere dei risultati migliori dalle vendite fallimentari e quindi una maggiore soddisfazione dei creditori, si è reso necessario sperimentare nuove frontiere di divulgazione delle informazioni, con nuovi servizi paralleli e minori costi per i cittadini; a tale scopo, il legislatore della riforma del 2015 ha aggiunto nel 1° comma dell’art. 107 un ultimo periodo secondo cui «al fine di assicurare la massima informazione e partecipazione degli interessati» è previsto in capo al curatore, prima dell’asta, l’obbligo di effettuare la pubblicità prevista dall’articolo 490, 1°comma, c.p.c.

Tale obbligo, previsto anche per le vendite disposte a seguito di concordato preventivo, permette di rendere superare gli angusti confini previsti in passato.

L’inserimento dell’avviso di vendita sul Portale delle Vendite Pubbliche (PVP) consente infatti un’ampia diffusione della notizia e una conseguente ampia partecipazione; peraltro, tale forma di pubblicità si applica in via generalizzata, riguardando tutti i beni mobili e immobili, nonché tutte le tipologie di vendita e quindi anche quelle eseguite direttamente dal curatore ex art. 107, 1° comma o dal liquidatore ed è altresì prevista per la procedura delle offerte concorrenti di cui all’art. 163 bis l. fall.

L’introduzione di tale nuova forma di pubblicità non determina però la scomparsa delle precedenti modalità, che pertanto continueranno a convivere con la pubblicità tramite portale delle vendite pubbliche; stando all’art. 490 c.p.c., infatti, la vendita di beni immobili o di mobili registrati del valore superiore a 25.000 euro va pubblicizzata anche su appositi siti internet individuati dal Ministero in base all’art. 173 ter disp. att. c.p.c.; inoltre, la stessa norma (ma il principio è stato ribadito anche più di recente, dall’art. 1, comma 648 bis, l. 302/2017) stabilisce che il giudice può, su istanza dei creditori procedente o intervenuti muniti di titolo, disporre che l’avviso sia inserito una o più volte sui quotidiani di informazione locali aventi maggiore diffusione nella zona interessata o, se opportuno, sui quotidiani di informazione nazionali.

Per la pubblicazione sul PVP è dovuto un contributo dell’importo di 100 euro (e laddove la vendita sia disposta in più lotti, il contributo per la pubblicazione è dovuto per ogni lotto). Dunque, in caso di procedure fallimentari, sarà il curatore a provvedere al versamento di tale contributo; in caso di fallimento “senza fondi”, al pari di quanto accade per le esecuzioni individuali, occorrerà procedere alla prenotazione a debito, come d’altronde risulta anche dall’art. 146, 2° comma del T.U. sulle Spese di giustizia (d.P.R., n. 115/2002).

Sin qui la disciplina è del tutto identica a quella prevista per le vendite forzate codicistiche.

Diversa è invece la sanzione per il mancato versamento del contributo; mentre nel processo esecutivo individuale è prevista l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 631 c.p.c., in caso di omesso versamento del contributo o di sua mancata prenotazione a debito, la sanzione sarà a carico del curatore, il cui ritardo o omissione sarà causa di responsabilità.

  1. Le vendite fallimentari: caratteri generali.

Prima della riforma del 2006, l’art. 105 l. fall. stabiliva quale regola generale in materia di vendite fallimentari l’applicazione delle disposizioni del codice di procedura civile relative al processo esecutivo. Per i mobili l’art. 106 l. fall. affidava al giudice delegato la scelta tra vendita ad offerte private oppure all’incanto, mentre per gli immobili l’art. 108 prevedeva la vendita con incanto o senza incanto a norma del codice di procedura civile, sempre innanzi al giudice delegato.

Come accennato, la riforma del 2006 ha completamente mutato il quadro normativo di riferimento, limitandosi ad affermare nell’art. 107 l. fall. che, le vendite e gli altri atti di liquidazione sono effettuati dal curatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati; lo stesso curatore, poi, può prevedere che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili.

Laddove si tratti di beni di modesto valore, vi è infine per il curatore l’obbligo di delegare le operazioni di vendita ad operatori esperti.

Salvo quest’ultima eccezione, spetta dunque al curatore la scelta tra la procedura prevista dal codice di procedura civile e quella c.d. «deformalizzata»: unico criterio che deve orientare tale scelta discrezionale è quello di consentire la vendita nel più breve tempo possibile e con il massimo realizzo.

Dunque, il curatore è pieno ed incontrastato dominus del procedimento di vendita, libero di scegliere lo strumento che egli preferisce e che ritiene più idoneo al raggiungimento dell’obiettivo del massimo realizzo.

Nei dieci anni e più dall’introduzione del novellato art. 107, in quasi tutti i tribunali italiani le vendite fallimentari (i.e. quelle mobiliari e immobiliari) seguono le regole della vendita senza incanto, con varie semplificazioni o agevolazioni che non erano o che ancora non sono previste nel codice di rito.

Ovviamente quanto appena riferito vale solo ed esclusivamente nelle ipotesi in cui la vendita venga posta in essere dal curatore o da un suo delegato; nel caso in cui il curatore chieda al g.d., ai sensi dell’art. 107, 2° comma, di procedere lui stesso alle vendite, quest’ultimo dovrà procedere alla liquidazione dei beni “secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili”, quindi, secondo un “modello chiuso”.

Accanto a dette vendite, c.d. endofallimentari, è possibile procedere a vendite c.d. extra-fallimentari, ad opera del giudice dell’esecuzione; ciò si verifica nel caso di subentro (facoltativo) del curatore in una procedura esecutiva in corso su beni di compendio, ai sensi dell’art. 107, 6° comma, l. fall. (laddove invece il curatore scelga di non subentrare si avrà l’improcedibilità dell’esecuzione in quanto, ai sensi dell’art. 51 l. fall. e la vendita si avrà secondo le modalità c.d. endofallimentari).

  1. Le tipologie di vendite endo-fallimentari e la loro compatibilità con il modello telematico del codice di rito

Come accennato, il legislatore ha previsto che le vendite endofallimentari possano essere eseguite: a)- nelle forme dell’esecuzione forzata; b)- direttamente dal curatore, eventualmente affidando specifiche attività ad altri professionisti o soggetti specializzati, purché le procedure di vendita adottate rispettino i principi della competizione fra offerenti.

Come già osservato, il legislatore non ha disciplinato in via dettagliata la normativa riguardante le vendite fallimentari, in quanto è proprio la genericità del dato normativo a permettere l’utilizzazione di ogni modello astrattamente ipotizzabile onde ottenere la massimizzazione del risultato.

Un sintomo della flessibilità e indeterminatezza delle forme della vendita fallimentare è rappresentato anche dalla attribuzione al curatore del potere di vendere tramite «soggetti specializzati». Il curatore, infatti, potrà avvalersi non solo dei professionisti legittimati alla liquidazione dei beni nell’esecuzione forzata individuale, ma anche, oltre a notai, avvocati e dottori commercialisti di cui all’art. 179 ter disp. att. c.p.c., di figure differenti, quali i consulenti finanziari e quelli immobiliari.

Laddove il curatore opti per il modello codicistico, si può notare che il ricorso alle regole del processo esecutivo comporta di per sé una vendita con procedura competitiva. In altre parole, il curatore, per il fatto stesso di aver adottato tale forma, può ritenere soddisfatto l’onere di individuare la procedura competitiva di liquidazione, trattandosi di procedure competitive definite tali dal legislatore.

Il richiamo degli schemi classici predisposti dal codice porta in via automatico anche il rinvio alle norme sulla vendita telematica. Dunque, il giudice delegato potrà scegliere tra le tre modalità di vendita telematica – sincrona, asincrona e mista – (su cui v., si vis, Metafora, La vendita forzata telematica e il Portale delle Vendite Pubbliche, in questa Rivista, 6 febbraio 2018).

Del pari, «anche la scelta del gestore è rimessa alla scelta del giudice, conformemente alla disciplina generale e nell’ottica di un controllo giudiziale maggiormente garantista» (Crivelli, op. cit., 405, il quale, condivisibilmente, esclude che la scelta in questione spetti al curatore; contra Leuzzi, Vendite telematiche e procedure concorsuali, in www.inexecutivis.it, 4, il quale osserva che il riconoscimento in capo al curatore del ruolo di protagonista della liquidazione concorsuale comporta che alla responsabilità per le sue scelte debba accompagnarsi almeno il potere di selezionarne i mezzi per il conseguimento dei risultati prefissati).

Dunque, allorché il curatore decida di rinviare alle norme del codice di rito civile sulle espropriazioni singolari, scatta senz’altro l’obbligo di procedere alla liquidazione del bene nelle forme telematiche, a meno che il g.d. non ritenga che il modulo telematico possa rivelarsi pregiudizievole per gli interessi della massa e per il sollecito svolgimento della procedura fallimentare, nel qual caso opererà la clausola di salvaguardia di cui al citato art. 569, 4° comma, c.p.c., che, come è noto, esclude il ricorso alla vendita telematica laddove essa sia «pregiudizievole per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura».

Laddove il curatore scelga di procedere egli stesso alla vendita, eventualmente delegandola ad altri soggetti specializzati, deve escludersi l’obbligatorietà delle forme telematiche.

Il curatore, come già rilevato, è libero di scegliere le modalità di vendita che reputa più opportune, con il solo vincolo della competitività.

Che tale sia conclusione più corretta (quasi ai limiti dell’ovvio) si desume dalla circostanza che alle vendite gestite dal curatore l’applicazione della disciplina prevista dal codice è limitata ai richiami specifici, come dimostra lo stesso testo dell’art. 107, 1°comma, l. fall. laddove dispone l’applicabilità degli artt. 569, 3° comma, terzo periodo; 574, 1° comma, 2° periodo; 587, 1° comma, 2° periodo, c.p.c.

Dunque, è possibile che il curatore decida di evitare l’applicazione dei meccanismi telematici di cui al D.M. n. 32/2015, optando per la vendita analogica.

Vi è però da chiedersi cosa accada laddove il curatore scelga al contrario di avvalersi dei modelli telematici della vendita sincrona, asincrona o mista. Qui nasce un problema, assai spinoso e di non facile soluzione, cui nella presente sede può solo accennarsi.

Affinché vengano rispettate le esigenze di certezza, efficacia e completezza, il modello codicistico della vendita telematica prevede che «l’offerta per la vendita telematica… [sia] redatta e cifrata mediante un software realizzato dal Ministero… messo a disposizione degli interessati da parte del gestore della vendita telematica», e inoltre che «l’offerta… [sia] trasmessa mediante la casella di posta elettronica certificata per la vendita telematica. La trasmissione sostituisce la firma elettronica avanzata dell’offerta». Ora, così stabilendo, è evidente che la procedura sia stata concepita per le vendite in materia di esecuzione individuale, integralmente gestita (in via diretta o mediata) da un giudice, che invece nella procedura fallimentare non è più previsto, salvo nel caso in cui il curatore gli abbia delegato il procedimento di vendite.

Sennonché, escludere il ricorso alle modalità telematiche sembra tuttavia antieconomico, oltre che anacronistico: occorre perciò prevedere una disciplina ad hoc. In attesa di un intervento legislativo in materia, la dottrina che si è occupata del problema ha suggerito di ricorrere alla disposizione alternativa dell’art. 12, 5° comma, in base al quale «l’offerta, quando è sottoscritta con firma digitale, può essere trasmessa a mezzo di casella di posta elettronica certificata anche priva dei requisiti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera n)» (Crivelli, op. cit., 408).

Insomma, le peculiarità che contraddistinguono le vendite concorsuali rendono difficile un adattamento puro e semplice del meccanismo del codice di rito. Credo tuttavia che, in mancanza di un intervento del legislatore, si possa e si debba fare il più possibile per applicare la nuova realtà telematica della vendita forzata anche all’ambiente fallimentare e ciò proprio allo scopo di rendere competitiva la fase liquidatoria.