25 Gennaio 2022

Le procedure di vendita fallimentare di cui all’art. 107, co. 2, L.F.

di Ludovica Carrioli, Avvocato

Corte di Cassazione, sent. 26 agosto 2021, n. 23476

Massima: “In caso di vendita coattiva immobiliare effettuata direttamente dal giudice delegato del fallimento, è valida anche l’offerta ribassata per non oltre un quarto rispetto al prezzo fissato nella relativa ordinanza, potendo allora il predetto giudice, in caso di unicità di offerta, aggiudicare il bene a tale offerente, ove sussistano i presupposti di cui all’art.572 co.3 c.p.c. novellato, applicabile ratione temporis, in particolare dando conto che non ricorre seria possibilità di conseguire un prezzo superiore per effetto di una nuova vendita, secondo i limiti di compatibilità dell’istituto, che costituisce un elemento normativo integrante il provvedimento”. 

Disposizioni applicate: artt. 107 – 108 l.fall.; art. 572 c.p.c. 

Parole chiave: vendita fallimentare – giudice delegato

CASO

La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione di un decreto del Tribunale di Taranto che, in accoglimento del reclamo proposto dal socio accomandatario della società Alfa s.n.c. fallita, aveva disposto l’annullamento ex art. 108 l.fall. dell’aggiudicazione immobiliare in favore dell’unico offerente, che aveva presentato una offerta inferiore al prezzo base d’asta, per meno di un quarto.

In particolare, il reclamante aveva domandato l’annullamento dell’aggiudicazione in forza dell’art. 108 l.fall., per ritenuta violazione della legge di gara. Secondo la tesi propugnata dal socio accomandatario, infatti, per il regolamento di vendita doveva ritenersi ammissibile un’offerta ribassata di non oltre un quarto rispetto al prezzo a base d’asta solo in ipotesi di pluralità di offerenti e di successiva gara tra essi, al contrario ciò non era possibile in caso di unico offerente, poiché l’ordinanza di vendita fissava un prezzo, a pena di esclusione dalla gara, non inferiore a quello indicato nel bando.

Il Tribunale tarantino aderendo alla tesi difensiva del reclamante, aveva ritenuto violata la lex specialis del procedimento fissata dal giudice delegato conseguentemente annullando l’aggiudicazione.

Ritenendo l’illegittimità del decisum del tribunale tarantino, l’aggiudicatario impugnava il decreto del Tribunale di Taranto per violazione dell’art. 572, co. 3, c.p.c., assumendo che il giudice a quo avesse erroneamente trascurato che l’aggiudicazione diretta a prezzo ribassato – quale modalità prevista dalla norma – era stata dal giudice motivata, sull’assenza di pregiudizio del debitore, per via della unicità dell’offerta e dell’avvenuto esperimento infruttuoso di altre vendite, tenuto conto altresì che il prezzo-base era lo stesso dell’incanto precedente.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, in riforma della decisione del Tribunale di Taranto, ha cassato il decreto ritenendo dunque legittima l’aggiudicazione per come disposta dal giudice delegato in favore dell’unico offerente.

QUESTIONI

Il provvedimento in commento si concentra – per la parte principale e oggetto del presente commento – sul procedimento di vendita fallimentare, nell’ipotesi di cui all’art. 107, comma 2, l.fall., vale a dire la vendita effettuata dal giudice delegato “secondo le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili”.

[1] Prima di scendere nel merito della pronuncia in esame, occorre fissare taluni principi cardine che regolano il sistema delle vendite competitive in ambito fallimentare, come “regolate” dall’art. 107 l.fall, norma che, piuttosto che fissare le regole di un vero e proprio procedimento, sancisce taluni principi cardine ai quali le vendite devono informarsi, siano esse gestite dal curatore, siano esse gestite dal giudice delegato (si parla, infatti, di “norma cornice”).

Innanzitutto, la “vendita competitiva” è un procedimento connotato dall’apertura alla competizione tra gli offerenti, per selezionare il migliore tra essi.

Per selezionare il migliore offerente, la vendita competitiva deve avere le seguenti caratteristiche: (i) un sistema incrementale di offerte e, dunque, la contestuale gara tra tutti gli offerenti, così da raggiungere il prezzo più alto nel minor tempo possibile; (ii) la  massima apertura al pubblico dei potenziali interessati e la trasparenza del procedimento; (iii) un adeguato sistema di pubblicità, per consentire la massima informazione degli interessati e la compressione dei margini di discrezionalità degli organi della procedura; (iv) regole prestabilite (nel programma di liquidazione di cui all’art. 104-ter, come previsto dall’art. 107, l.fall.).

Qualora vengano rispettate tali regole, deve predicarsi la legittimità della gara (sia essa più deformalizzata, sia essa nelle forme del codice di rito).

L’unico limite all’aggiudicazione è quello del raggiungimento del “giusto prezzo”: diversamente, può essere disposta, da parte del giudice delegato, anche la sospensione delle operazioni di vendita ai sensi dell’art. 108, co. 1 l.fall., laddove “il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto tenuto conto delle condizioni di mercato”.

Tuttavia, il “giusto prezzo”, non si identifica necessariamente con il valore di perizia o con il prezzo a base d’asta, dovendosi tenere conto, in particolare, dell’interesse del mercato al bene oggetto di vendita.

A tal proposito, il Tribunale di Ivrea, con sentenza dell’11 ottobre 2012, in ilcaso.it, ha ritenuto che la manifestazione più frequente e tipica della ravvisabilità di una notevole sproporzione tra il prezzo di aggiudicazione e quello effettivamente conseguibile è costituita dalla effettuazione di una nuova offerta. In particolare, “Come la presenza di una nuova offerta (anche tardiva) può indurre il giudice a riscontrare l’ingiustizia del prezzo di aggiudicazione, così la mancanza assoluta di offerte più alte (anche tardive) può indurre lo stesso giudice a ritenere che il prezzo di aggiudicazione sia effettivamente quello congruo in quanto determinato dalle “condizioni del mercato”.

[2] Fatta tale premessa, passiamo all’esame della pronuncia della Corte.

Il punto di partenza è la funzione dell’ordinanza di vendita, che fissa le regole sulle quali la gara dovrà basarsi e assurge, quindi, a lex specialis. In quanto tale, ricorda la Corte, l’ordinanza deve informarsi al principio di “necessaria immutabilità delle iniziali condizioni del subprocedimento di vendita, da ritenersi di importanza decisiva nelle determinazioni dei potenziali offerenti e, quindi, del pubblico di cui si sollecita la partecipazione, perché finalizzata a mantenere – per l’intero sviluppo della vendita forzata – l’uguaglianza e la parità di quelle condizioni tra tutti i partecipanti alla gara, nonché l’affidamento di ognuno di loro sull’una e sull’altra e, di conseguenza, sulla trasparenza assicurata dalla coerenza ed immutabilità delle condizioni tutte” (Cass.  29 maggio 2015, n. 11171).

E ciò, appunto, a tutela del principio della competitività, della massima informazione, della massima partecipazione, nonché della parità di trattamento e della trasparenza sopra ricordati.

Giocoforza, risulta “inefficace l’offerta presentata con modalità difformi da quelle stabilite nell’ordinanza che dispone la vendita, a nulla rilevando che la difformità riguardi prescrizioni dell’ordinanza di vendita stabilite dal giudice di sua iniziativa, ed in assenza di una previsione di legge” (Cass. 24 luglio 2012, n. 12880).

Dunque, per capire se l’aggiudicazione annullata dal Tribunale di Taranto fosse effettivamente illegittima, occorre verificare se vi sia stato uno scollamento tra il decisum del giudice delegato sulla aggiudicazione e le regole cristallizzate nella lex specialis.

Come ricordato in apertura del presente paragrafo, nel caso di specie, si verteva in ipotesi di vendita ex art. 107, co. 2, l.fall., e dunque esperita dal giudice delegato, trovando applicazione, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura civile sull’espropriazione forzata, ivi incluso l’art. 572, co. 3, c.p.c., ai sensi del quale “Se il prezzo offerto è inferiore al prezzo stabilito nell’ordinanza di vendita in misura non superiore a un quarto, il giudice può far luogo alla vendita quando ritiene che non vi sia seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita e non sono state presentate istanze di assegnazione ai sensi dell’art. 588”.

Tale norma è volta a stemperare la rigidità del meccanismo di vendita, qualora in cui il bene non abbia mercato, arginando il rischio di indire, a tempo potenzialmente indeterminato, nuove gare successive, con aggravio di costi in termini temporali ed economici e, dunque, a detrimento dell’interesse dei creditori.

Seppur ammessa, la possibilità di aggiudicazione ad un prezzo inferiore rispetto a quello a base di gara, è connotata da due limiti: da una parte, l’offerta non deve essere inferiore di un quarto del prezzo base, d’altra parte, non devono essere state proposte istanze di assegnazione ex art. 588 c.p.c.

Rispettate tali prescrizioni, dunque, nulla preclude l’aggiudicazione ad un prezzo inferiore, ferma la necessaria adeguata motivazione del provvedimento del giudice, il quale dovrà dar conto che “non vi sia una seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita“.

[3] Fissati i principi dell’immutabilità della lex specialis e i confini dell’aggiudicazione ad un prezzo inferiore, la Corte analizza la fattispecie concreta per verificare se, ed in quali limiti, l’aggiudicazione disposta dal giudice delegato dovesse ritenersi, o meno, illegittima.

Il primo elemento da analizzare verte, dunque, sull’eventuale scollamento tra aggiudicazione e legge di gara.

Nel caso di specie, come osservato dalla Corte, l’ordinanza di vendita prevedeva che il prezzo offerto non potesse essere inferiore a quello indicato nell’ordinanza di vendita, pena l’esclusione dell’offerente dalla gara e, al contempo, “con inequivoco riferimento proprio al dettato del novellato art.572 co.3, c.p.c.”, disciplinava l’ipotesi della pluralità delle offerte, già indicando che alla competizione conseguente si sarebbe pervenuti sulla base dell’offerta più alta, anche se inferiore a quella base, purché essa non scendesse sotto la fascia massima di riduzione, e cioè un quarto.

Come logica inferenza, dunque, l’ordinanza di vendita si è conformata, nel suo dato letterale, all’art. 572, co. 3, c.p.c., presupponendo e organizzando preventivamente la gara sulla base di un’eventuale offerta, evidentemente ammissibile e valida, inferiore al prezzo a base di gara ma di non oltre un quarto.

In tale ottica, dunque, la Corte di Cassazione – non aderendo all’impostazione del Tribunale di Taranto –riconosce la legittimità dell’aggiudicazione ad un prezzo inferiore a quello a base di gara nei limiti del quarto, sia in caso di unica offerta sia in caso di pluralità di offerte, poiché “in entrambi i casi, la modifica normativa [e, cioè, l’art. 572, co. 3, c.p.c.] s’impernia – con evidente intento acceleratorio del risultato di liquidazione giudiziale – sull’estensione della base degli interessati, prescrivendo una condizione qualificata di sufficienza economica dell’offerta, ancorché inferiore al prezzo minimo dell’ordinanza di vendita”.

La Corte, peraltro, sottolinea che le condizioni partecipative fissate dal giudice della vendita coattiva “possono solo giustapporsi o integrare quelle già normativamente disciplinate, senza però sovvertirle in punti essenziali che, come con chiarezza stabilisce il novellato art.572 co.3 c.p.c., stabiliscono con la riforma uno statuto di partecipazione alle aggiudicazioni pubbliche compiutamente codificato in termini di allargamento della platea degli interessati all’acquisto e di velocizzazione del rispettivo procedimento, in vista di un prevalente obiettivo a che il miglior prezzo si formi senza detrimento dell’interesse alla sua massimizzazione tanto per i creditori che per il debitore in un tempo ragionevole e ravvicinato; la norma, in altri termini, prende atto che l’astratto perseguimento del prezzo giusto va intermediata con la constatazione delle effettive accertate condizioni di interesse del mercato all’acquisto, per le quali il giudice del processo esecutivo è garante, nelle condizioni di trasparenza tipizzate ed in quelle che si è dato con i provvedimenti di programmazione liquidatoria, dell’assicurazione del più pronto risultato satisfattivo, che è invero la funzione dell’espropriazione forzata in generale”.

Inoltre, nel caso di specie, l’aggiudicazione all’unico offerente non poteva ritenersi neanche affetta da omessa motivazione, poiché il giudice delegato aveva dato conto di conformarsi al precetto dell’art. 572 co. 3 c.p.c. mettendo in evidenza che proprio l’unicità dell’offerta e i previ numerosi esperimenti di vendita (al medesimo prezzo a base d’asta, andati anche deserti) giustificavano una prognosi infausta (o non migliorativa) ove si fosse voluto proseguire con una nuova vendita.

Conclusivamente, la Corte ritiene non sussistente l’interesse del debitore ad impugnare il provvedimento di aggiudicazione in assenza di lesione di un proprio interesse, sussistente soltanto per l’ipotesi di allegazione di un particolare pregiudizio, ovvero di allegazione di un vizio di regolarità della procedura di vendita, ciò che è da escludersi nel caso di specie.

Per tali ragioni, la Corte afferma il seguente principio di diritto: «in caso di vendita coattiva immobiliare effettuata direttamente dal giudice delegato del fallimento, è valida anche l’offerta ribassata per non oltre un quarto rispetto al prezzo fissato nella relativa ordinanza, potendo allora il predetto giudice, in caso di unicità di offerta, aggiudicare il bene a tale offerente, ove sussistano i presupposti di cui all’art.572 co.3 c.p.c. nove/lato, applicabile ratione temporis, in particolare dando conto che non ricorre seria possibilità di conseguire un prezzo superiore per effetto di una nuova vendita, secondo i limiti di compatibilità dell’istituto, che costituisce un elemento normativo integrante il provvedimento».

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